Commissione inchiesta gioco legale: l’audizione del procuratore De Donno, l’avvocato Sambaldi e il dottor Baldazzi

“Ci eravamo soffermati sul rapporto con la criminalità organizzata, sui metodi; mi sono permesso di fare una casistica che deriva un po’ dall’esperienza, che quindi non fa riferimento a specifici casi concreti ma viene da una valutazione d’insieme del sistema. Dunque, come casistica: la manomissione e la clonazione delle schede di gioco e più in generale del software e dell’hardware riguarda in particolare gli apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, lettera a), e comma 7, lettera c) del TULPS. Ciò allo scopo di consentire alla filiera del gioco – dal produttore al noleggiatore, all’esercente – di conseguire un profitto pari all’ammontare dell’imposta evasa dovuta sull’ammontare delle giocate: sostanzialmente, quindi, un meccanismo di evasione dell’imposta. In alcuni casi si è trattato di apparecchi clandestini mai censiti dall’Amministrazione dei monopoli di Stato. L’apparecchio funzionava in assenza di collegamento alcuno alla rete telematica e dunque omettendo di trasmettere i dati al concessionario; in tal modo la partita era giocata in loco, ma di essa non rimaneva nessuna traccia. In altri casi i flussi di comunicazione dal dispositivo al sistema di elaborazione dei dati di gioco dei concessionari venivano sospesi, per cui in alcuni periodi il dispositivo funzionava ma non trasmetteva dati perché il collegamento era interrotto. In altri casi ancora la manomissione del sistema telematico è avvenuta mediante l’installazione nelle schede di congegni quali gli abbattitori, in tal modo modificando i dati relativi alle giocate, con conseguente sottrazione alla tassazione di gran parte dei ricavi della giocata. In altri casi si è accertato che mediante il blocco dei contatori della scheda elettronica i dispositivi elettronici venivano trasformati in slot con vincite in denaro, senza comunicare i dati delle giocate. Diverso tipo di alterazione, infine, è quello che riguarda il sistema di gioco, consistente in un abbassamento del payout e dunque della probabilità di vincita del giocatore, aumentando in tal modo la remuneratività dell’utilizzo illecito. Ovviamente questi dati nascono da analisi tecniche effettuate sui singoli strumenti, sui singoli marchingegni, sulle singole schede. Devo dire che c’è stato bisogno di fare accertamenti tecnici per capire questi meccanismi, che poi sono variati man mano che si comprendeva come funzionava il sistema di frode; è possibile, quindi, che ci sia stata una ulteriore evoluzione che ora mi sfugge. Quindi si può avere, sostanzialmente, il noleggio di apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, lettera a) fraudolentemente alterati in modo da eludere il pagamento del PREU mediante il distacco totale delle macchine dalla rete della concessionaria, ovvero attraverso la clonazione della smart card presente all’interno della scheda da gioco, ovvero mediante modifica software della scheda da gioco che permette di abbassare la percentuale di vincita anche mediante fraudolenta modifica dei software e della scheda esplicativa che illustra il gioco certificato dall’organismo preposto”.

E’ quanto ha affermato in audizione nella commissione parlamentare di inchiesta sul gioco illegale e sulle disfunzioni del gioco pubblico il Presidente del Comitato scientifico dell’Osservatorio Giochi, legalità e patologie dell’Eurispes Antonio De Donno accompagnato dall’avvocato Sambaldi e dal dottor Baldazzi.

“In secondo luogo, si possono avere congegni da intrattenimento di cui all’articolo 110, comma 7, lettera c), dotati di schede di gioco attraverso le quali, mediante alterazione del software di gioco lecito, ovvero introduzione di un doppio software, è possibile realizzare il gioco vietato del videopoker mediante apposito marchingegno – password, telecomando, compimento di particolari manovre per superare i sistemi di sicurezza – oppure di riprodurre il gioco delle slot machine fuori dal circuito controllato dall’amministrazione dei Monopoli. Quella che ho appena descritto è una casistica non esaustiva, che vuole essere solo esemplificativa, per far capire quali sono i più comuni metodi dei marchingegni che abbiamo rilevato, che hanno caratteristiche tecniche specifiche per cui io stesso non sono in grado di essere molto più approfondito; c’è bisogno di tecnici che capiscano di software, di hardware, di meccanismi telematici. Generalmente, nella concreta esperienza investigativa che è capitata, non sono interessate a tali compromissioni le videolottery di cui all’articolo 110, comma 6, lettera b). Ricordo che talora sono stati rinvenuti degli apparecchi del tutto illeciti che potevano apparire prima facie assimilabili agli apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, lettera b), ma in realtà poi, ad una verifica effettuata in loco, non erano collegati alla rete ADM; quindi si può desumere, rispetto a questo, nella concreta esperienza, che le videolottery sono comunque gli apparati che sono risultati – ripeto, almeno nella mia esperienza – più sicuri sotto il profilo dell’elusione. Detto questo, vorrei passare all’argomento di oggi, su cui con il permesso del Presidente lascerei molto spazio ai miei colleghi perché gli approfondimenti sono più tecnici; per quanto mi riguarda mi limiterò ad una sintetica valutazione d’insieme. Nell’ambito dell’attività svolta da Eurispes ci si è occupati principalmente, in primo luogo, di verificare sulla base dei dati conoscibili il livello di inferenza della criminalità organizzata nel settore dei giochi e delle scommesse, deducendone elementi a supporto della validità del sistema concessorio; in secondo luogo, di approfondire l’evoluzione giurisprudenziale interna di legittimità e di merito e della Corte di giustizia europea (non perché fosse in sé oggetto dell’analisi statistica ma perché la conoscenza del sistema è un presupposto necessario per poter poi calare i dati statistici. È quindi un presupposto della nostra attività, questo), deducendone quello che ho detto l’altra volta, cioè la sussistenza di un quadro interpretativo frastagliato e non omogeno che riflette una stratificazione normativa risultata talora priva di chiarezza, che si è riflessa nella stigmatizzazione operata dalla Corte di giustizia europea circa alcune clausole dei bandi e degli schemi di convenzione con i concessionari. Il terzo aspetto che abbiamo approfondito è stato l’impatto sul settore delle normative regionali, talora particolarmente restrittive, con particolare riferimento ad istituti quali il distanziometro e la compressione oraria dei volumi di gioco, deducendone in alcuni casi o generalmente una sostanziale ininfluenza nella prevenzione delle patologie del gioco d’azzardo, posto che questi sono i principali argomenti che abbiamo rappresentato alla valutazione, naturalmente, di esperti della politica. Il giocatore problematico, a differenza di quello sociale – lo abbiamo notato anche con l’ausilio di esperti – preferisce giocare in luoghi lontani dalla propria abitazione e dal luogo di lavoro dove non è agevolmente riconosciuto, perché quello è il suo obiettivo principale, ed è disponibile a raggiungere luoghi di gioco anche particolarmente distanti, mentre il giocatore sociale generalmente non è disponibile a spostarsi molto dal luogo di residenza. La compressione oraria degli orari di gioco, poi, può risultare persino controproducente nella misura in cui potrebbe indurre un giocatore compulsivo ad una maggiore frenesia di gioco, ad un aumento delle giocate nel più ristretto spazio di tempo consentito dalla normativa e quindi ad un aumento della pulsione al gioco. In ultimo, abbiamo approfondito il tema della ludopatia, anche alla luce dei dati forniti dall’Istituto superiore di sanità nell’anno 2018, e ciò ha consentito di pervenire ad un primo convincimento, al di là di tutte le problematiche che riguardano la riduzione dei volumi di gioco, i rapporti tra Intesa Stato-Regioni del 2017 e tutte le problematiche che emergeranno dalle relazioni dei miei collaboratori. Al di là di tutto questo, infatti, c’è un primo convincimento che ci è apparso chiaro: che si imponga una forte azione di monitoraggio del fenomeno, magari attraverso appositi osservatori regionali, nonché una forte azione di prevenzione da espletare attraverso un’informazione accurata relativamente ai rischi che possono derivare dalla pulsione al gioco sia in termini economici, di perdita economica, sia di probabilità di vincita o di perdita dei singoli giochi, perché un giocatore potrebbe essere indotto a rinunziare o a recedere se capisce esattamente quale sia il risultato potenziale o possibile della sua azione, e occorre altresì una grande azione di prevenzione, proprio per evitare l’esposizione al rischio di sviluppare patologie da dipendenza. Quindi, al di là degli aspetti che riguardano l’eccessiva offerta di gioco – che naturalmente sono di competenza del legislatore, regionale o nazionale; su questo noi non interveniamo, però segnaliamo questa esigenza – occorre anche svolgere una fortissima azione di informazione, di prevenzione, di preparazione del giocatore nell’approssimarsi al settore del gioco, perché sia abbastanza informato e quindi nelle condizioni di regolarsi nel migliore dei modi per prevenire il rischio di sviluppare patologie da dipendenze”, ha aggiunto.

“Tutti gli studi con proiezione territoriale che sono stati svolti dall’Osservatorio sono stati già messi a disposizione della Commissione e contengono una sezione dedicata appositamente ai fenomeni illeciti. Ciò sulla base dei dati che sono stati messi a disposizione, in alcuni casi anche elaborati, dalla Guardia di finanza, dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli, dalla Direzione investigativa antimafia e dalla Direzione nazionale antimafia, tutte autorità e istituzioni che da anni intrattengono rapporti di stretta collaborazione con l’Eurispes. Venendo al tema che il dottor De Donno mi ha assegnato, quello dell’efficacia della normativa interna nei rapporti con la normativa europea, va innanzi tutto precisato che questo tema non è oggetto di un capitolo o di una sezione specifica nell’ambito della documentazione che è stata messa a disposizione della Commissione, ma è un tema sul quale l’Osservatorio comunque ha svolto un’attività di analisi e di monitoraggio, essendo, come ha precisato anche il procuratore De Donno, un tema che si interseca strettamente con la legittimità del sistema concessorio e quindi anche con l’applicazione della normativa sanzionatoria per chi raccoglie scommesse senza i titoli abilitativi previsti. Un’altra precisazione preliminare riguarda il fatto che quello dell’efficacia della normativa interna in relazione alla normativa europea è un tema che si affianca a quello dei fenomeni illeciti, e ciò avviene non tanto quando guardiamo alla normativa generale sull’area del gioco pubblico, ma quando guardiamo ad un segmento normativo preciso e specifico, che è quello che disciplina la regolamentazione delle scommesse sportive. È noto che il sistema italiano è un sistema binario, per cui per svolgere l’attività lecita di raccolta delle scommesse nel nostro ordinamento sono necessari due titoli abilitativi: la concessione amministrativa, rilasciata dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli attraverso una gara pubblica europea; e la licenza di pubblica sicurezza, che invece è un titolo che viene rilasciato dalla questura territorialmente competente esclusivamente a quei soggetti che sono già in possesso della concessione amministrativa. Questo sistema binario ha superato il vaglio della Corte di giustizia, pur essendo un sistema che in qualche modo limita le libertà garantite dal Trattato – la libertà di prestazione di servizi e la libertà di stabilimento – in quanto la ragione giustificatrice, la ratio, della normativa italiana è quella di prevenire la degenerazione criminale. Quindi possiamo tranquillamente affermare che a livello europeo la normativa italiana nel settore delle scommesse, ma anche nel settore del gioco pubblico in generale, si regge, sta in piedi, nella misura in cui l’obiettivo primario è la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica declinati nella prevenzione della degenerazione criminale. Tuttavia, nonostante il sistema concessorio abbia superato il vaglio di legittimità sul piano generale, si può dire che il sistema regolatorio delle scommesse sportive è entrato in crisi sin dal momento della sua nascita, ovvero fin dal 1999, dall’anno del primo bando di gara per l’aggiudicazione delle concessioni. Questo perché, a fianco del canale costituito dai concessionari dello Stato, si è delineato e poi negli anni sviluppato, un canale parallelo costituito da centri di raccolta scommesse in collegamento con società con sede all’estero, con infrastrutture tecnologiche poste al di fuori dei confini nazionali, e quindi in totale spregio della normativa, senza sottoporsi ai controlli e alle prescrizioni stabilite dal legislatore italiano per la raccolta delle scommesse. Perché questo si è verificato? Quali sono le argomentazioni che hanno portato a questa situazione? Inizialmente queste società estere hanno invocato il diritto a raccogliere le scommesse in Italia sulla base dai titoli rilasciati dalle autorità amministrative del Paese di origine; su questo la Corte di giustizia ha affermato che non può trovare applicazione in questo settore il principio del mutuo riconoscimento dei titoli abilitativi. Tuttavia, le altre argomentazioni sollevate dalle società estere in parte hanno trovato ingresso. In particolare, si fa riferimento al carattere eccessivamente restrittivo, se non discriminatorio, ovvero proprio discriminatorio, di alcune clausole contenute nella convenzione di concessione. La convenzione di concessione, lo ricordo, è quell’atto che disciplina i rapporti tra autorità concedente e soggetto concessionario all’indomani dell’aggiudicazione della concessione”, ha aggiunto Sambaldi.

“Lo schema di convenzione di concessione fa parte integrante degli atti di gara, della documentazione dei bandi di gara, in quanto il concessionario, o meglio la persona, il soggetto giuridico interessato a partecipare ai bandi di gara, è tenuto a conoscere preventivamente le condizioni alle quali poi dovrà svolgere l’attività una volta aggiudicato il titolo. Nello schema di convenzione di concessione sono state individuate dalla Corte di giustizia alcune clausole ritenute discriminatorie o eccessivamente restrittive e la conseguenza di ciò è, per affermazione stessa della Corte europea, la non sanzionabilità penale di quei centri che sono risultati collegati a società estere discriminate nell’accesso al mercato italiano delle scommesse sportive. Si capisce che se l’attività dei centri collegati a società estere senza i titoli abilitativi richiesti, quindi senza concessione e senza licenza di pubblica sicurezza, è astrattamente configurabile come reato, anzi, non astrattamente, ma configura un’attività che rientra nella fattispecie penale e segnatamente all’articolo 4 della legge 401 del 1989, se la Corte di giustizia ha affermato la non sanzionabilità penale, ci siamo trovati di fronte ad una situazione di configurabilità del reato ma di non sanzionabilità. Per cui si sono verificati naturalmente sequestri e dissequestri dei centri, avvio di procedimenti penali e archiviazioni, avvio di processi penali e assoluzioni. La situazione quindi in estrema sintesi è questa, signor Presidente, perché il contenzioso tra lo Stato italiano e le società estere si è sviluppato nell’arco di un ventennio e ancora non è completamente risolto, anche se ha avuto degli andamenti oscillanti. Ricordiamo che il legislatore ha introdotto due procedure di regolarizzazione fiscale per emersione con le leggi di stabilità per il 2015 e il 2016, quindi ha comunque cercato di ricondurre questo fenomeno nell’alveo del sistemo concessorio. Il profilo che a nostro avviso è importante oggi evidenziare, in prospettiva del riordino normativo e guardando al futuro, è che la Corte di giustizia ha da sempre individuato il rimedio a questa situazione, ovvero l’apertura del mercato a quei soggetti che hanno patito una discriminazione. Ne deriva che il prossimo bando di gara, in prospettiva futura, diventa il motivo, lo strumento, per porre rimedio alle precedenti discriminazioni e diventa anche un momento normativo fondamentale in quanto dovrà essere un bando di gara estremamente rispettoso di tutti i principi europei come interpretati nelle numerose sentenze che la Corte di giustizia europea ha emanato in questa materia. Tutti avranno sentito parlare della sentenza Placanica del 2007, della sentenza Costa – Cifone, della sentenza Biasci, della sentenza Laezza: sono tante sentenze della Corte di giustizia tutte pronunciate relativamente alla compatibilità della normativa italiana in materia di accesso al mercato delle scommesse sportive con i principi europei. Visto che ho fatto accenno anche alla norma penale, un profilo che è stato sempre affrontato anche all’interno dell’Osservatorio in tutte le ricerche e che riguarda tutta l’area del gioco pubblico è quello della stratificazione normativa. Un aspetto con il quale lo stesso procuratore De Donno si è trovato a confrontarsi durante lo svolgimento della sua attività di pubblico ministero è quello proprio della stratificazione normativa anche della norma penale. L’Osservatorio da tempo invoca un riordino: anche la normativa sanzionatoria, sia l’articolo 4 della legge n.401 del 1989 ma anche l’articolo 110 del TULPS nella parte sanzionatoria, necessita assolutamente di una semplificazione. Tornando alla legge n.401 del 1989, ci sono alcune condotte che non si capisce se ricadano in una o in un’altra delle fattispecie penali che sono delineate dalla norma. Quindi, per facilitare l’attività dell’interprete e quindi anche il contrasto a tutte le forme di illegalità, a nostro avviso è fondamentale intervenire in termini di semplificazione e di chiarezza sulla norma dell’articolo 4 della legge n.401 del 1989. Chiuderei questo argomento per passare all’altro profilo rispetto al quale il dottor De Donno mi ha manifestato l’interesse da parte della Commissione, che è quello dell’infiltrazione mafiosa nel sistema concessorio. Si tratta di un tema che l’Osservatorio ha trattato in maniera specifica in una delle ricerche che sono state messe a disposizione, la ricerca sul territorio del Lazio, presentata a Roma nell’ottobre del 2019, dove vi è un capitolo specifico dedicato proprio alla normativa antimafia vigente relativamente al sistema concessorio. Già il procuratore De Raho durante l’audizione davanti a questa Commissione ha avuto modo di precisare che la normativa antimafia relativamente al gioco pubblico ha raggiunto dei livelli di specialità, nel senso che è particolarmente rigorosa e stringente, e ciò a dimostrazione di come il sistema concessorio presenti gli strumenti adeguati da un punto di vista di controllo antimafia. Si consideri che in base alla normativa vigente la documentazione antimafia è richiesta non soltanto per il legale rappresentante o per i membri del consiglio di amministrazione, ma anche per i soci persone fisiche che detengano una partecipazione superiore al 2 per cento nel capitale del patrimonio della società concessionaria. La documentazione antimafia è richiesta anche per il direttore generale e per i responsabili delle sedi secondarie. Quindi la normativa c’è, e l’abbiamo spiegato: mi sembra sia il capitolo 8 o 9 della ricerca sul territorio del Lazio che è stata messa a disposizione. In questa ricerca è contenuto anche un interessantissimo contributo del sostituto procuratore della Repubblica della DDA di Reggio Calabria, che è anche un componente del comitato scientifico dell’Osservatorio dell’Eurispes, il quale affronta anche con un certo tecnicismo gli aspetti legati all’infiltrazione mafiosa sia nell’area legale che nell’area illegale del gioco, facendo alcune considerazioni molto articolate. Mi limito in questa sede a evidenziare tre aspetti che a nostro avviso sono importanti: il primo è che la criminalità organizzata privilegia l’infiltrazione nell’area del gioco illegale rispetto al gioco legale. Questo perché l’area dell’illegalità è comunque caratterizzata dalla presenza di imprese poco strutturate e quindi più permeabili all’infiltrazione mafiosa. Aggiungiamo noi che le imprese che operano nell’ambito dell’area dell’illegalità hanno come obiettivo esclusivo il profitto, quindi sono completamente disinteressate alle derive del gioco dal punto di vista del consumatore. E quindi, sono in grado di adeguare la propria offerta di gioco utilizzando al massimo l’evoluzione tecnologica, senza criteri, senza parametri, senza controllo. Nell’area della legalità, invece, il predetto procuratore di Reggio Calabria ha evidenziato come tutti questi soggetti che sono conosciuti dall’Agenzia delle dogane e monopoli sottostanno ad un modello normativo, ad un modello organizzativo; esiste pertanto un parametro di verifica che consente di rilevare ogni anomalia che si possa verificare, ogni condotta illecita. Quindi, per la criminalità organizzata “investire” nell’area del gioco legale è sicuramente più rischioso e meno redditizio rispetto all’investimento nell’area dell’illegalità, in cui sappiamo, dalle relazioni che abbiamo studiato della Direzione nazionale antimafia, che le mafie si consorziano quando si parla di gioco illegale e condividono lo stesso know howaltamente tecnico su questa specifica materia. Mi fermerei qui, signor Presidente, rendendomi poi disponibile per eventuali e successivi approfondimenti con le domande. Naturalmente ho cercato di semplificare al massimo problematiche che sono molto complesse sulle quali poi, se ci fosse la possibilità di ulteriori approfondimenti in base alle esigenze della Commissione, ci mettiamo naturalmente a disposizione”, ha detto.

Ha poi aggiunto Baldazzi: “Il nostro istituto ha dedicato numerosissime ricerche all’area del gioco e da più di vent’anni ha seguito passo passo il percorso che ha portato lo Stato a organizzare e a normare l’offerta legale attraverso lo strumento delle concessioni. Ribadisco che l’elemento concessorio è valutato da Eurispes come una dimensione essenziale, non totalmente risolutiva degli aspetti dell’illegalità ma che sicuramente rappresenta un vincolo importante, una barriera di resistenza verso l’illegalità. Quindi, dicevo, abbiamo seguito tutto lo sviluppo della normativa, come pure l’andamento del mercato e le attività di controllo affidate all’Agenzia delle dogane e dei monopoli. Una precisazione: l’interesse del nostro istituto è venuto solo dalla constatazione della rilevanza che il settore dell’offerta dei giochi in Italia ha assunto e dall’esigenza di contribuire a depurare – questo è un elemento per noi importante – il pubblico dibattito da alcuni eccessi interpretativi che più che col piano della realtà hanno a che fare con le visioni culturali, perfettamente legittime, ma che in alcuni casi impediscono una lettura equilibrata delle problematiche che afferiscono alla regolamentazione dell’offerta. In premessa, dunque, vorrei ribadire che il nostro istituto non è arruolato in nessuna delle “curve da stadio” che talvolta coprono con le loro intemperanze una visione piana dei problemi e delle dinamiche sul tappeto, che ci sono e non mancano. Non si chieda quindi al nostro istituto di esprimere apprezzamenti o meno verso il fenomeno del gioco in chiave culturale o addirittura etica. L’attività di ricerca che abbiamo svolto mira solo a conoscere e a supportare, attraverso questi elementi di conoscenza, i decisori politici nel deliberare. Questa è la funzione che Eurispes sviluppa, in questo settore, ma in generale nell’analisi degli elementi della società italiana. Nel 2017 – qui ho un’ulteriore occasione per ringraziarlo – l’Eurispes ha creato l’Osservatorio sul gioco, legalità e dipendenze, presieduto dal magistrato Antonio De Donno. Attraverso l’Osservatorio sono state coordinate le produzioni di molti studi di carattere generale e areale che qui cito e che sono stati messi a disposizione della Commissione: quello sul gioco legale e contrasto delle dipendenze, uno studio generale, sotto l’egida del piano di comunicazione dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, del 2018; quello su gioco pubblico e dipendenze in Puglia, sempre del 2018; quello su gioco pubblico e dipendenze in Piemonte, del 2019; quello su gioco pubblico e dipendenze nel Lazio, del 2019; poi abbiamo il Bingo nella crisi del gioco legale, rischi e prospettive dell’offerta più social della galassia gioco, del 2020; e infine “Oltre il Covid 19: gioco pubblico e dipendenze in Sardegna”, del 2021. Cosa hanno di particolare queste singole ricerche l’una rispetto all’altra? Il filone dell’approfondimento della conoscenza è sempre lo stesso; ovviamente si coniuga con le specificità delle Regioni e delle aree che sono state prese in considerazione anche in relazione all’attività legislativa e normativa regionale e comunale, che a macchia di leopardo ha presentato comunque degli elementi di continuità che Eurispes ha preso molto in considerazione. L’impatto di queste ricerche nel pubblico dibattito e sull’attività concreta dei legislatori regionali è stato notevole e ha portato l’istituto ad essere audito, oltre che dalle Commissioni parlamentari, da numerosi consigli regionali – Piemonte, Puglia, Sardegna, Basilicata – e a ricevere richieste di materiali e di valutazioni da altri Consigli regionali: vado a memoria, la Campania e le Marche. L’istituto fin dal settembre 2017 ha valutato positivamente la firma dell’intesa Stato-Regioni e autonomie locali come una potenziale base di partenza per il riordino del settore, dovendo però subito dopo constatare la sua mancata applicazione. Mentre infatti ciò su cui si era impegnato il Governo – riduzione del numero di apparecchi di gioco, diminuzione dei punti di offerta – è stato in parte effettivamente realizzato e applicato, l’impegno delle Regioni e delle autonomie locali ad uniformarsi ai contenuti dell’intesa è rimasto a lungo disatteso, dando vita a quello che è stato definito il “federalismo del gioco” che ha minato la tenuta stessa complessiva dell’offerta e creato disparità territoriali in un settore in cui dovrebbe operare la riserva dello Stato. Sono stati infatti mantenuti avanzati strumenti ipoteticamente finalizzati alla riduzione del rischio di azzardopatie che però non hanno manifestato efficacia, rischiando al contrario di contribuire involontariamente all’ampliamento – qui ne abbiamo già parlato – dell’area del gioco illegale. Entro ora brevemente, per flash, sui temi che sono stati più di pubblico dibattito. Per ciò che attiene il cosiddetto distanziometro, le ricerche dell’Osservatorio hanno riscontrato la sua inefficacia e contraddittorietà, in quanto, come ha già detto il procuratore De Donno, la distanza dell’offerta di gioco dai luoghi di lavoro e di residenza del giocatore potenzialmente o realmente problematico – che è quello che ci preoccupa di più – più che ostativo risulta un fattore elettivo, perché si privilegia la riservatezza e l’anonimato quando si ha a che fare anche solo con la parziale consapevolezza del proprio problema psicologico. Questa posizione, che abbiamo espresso dopo lunghi studi nel 2018, è stata nello stesso periodo confermata dallo studio realizzato dall’Istituto superiore della sanità e noi più volte abbiamo messo a confronto le nostre valutazioni, perfettamente coincidenti con quanto espresso nella ricerca curata dall’Istituto superiore della sanità. Per quello che riguarda la compressione degli orari dell’offerta, l’istituto ha segnalato il rischio che nelle fasce consentite – molto spesso solo quelle serali – ad una minore presenza del giocatore sociale si contrapponga l’aumento di quella del giocatore problematico: una sorta di area off limits, dunque, di ghetto. Si è parlato di ghetto relativamente al distanziometro, con l’espulsione del gioco dalle aree urbane delle periferie; a nostro giudizio è possibile parlare di ghetto, di riserva indiana se vogliamo usare un altro termine, anche per quello che riguarda le fasce orarie dell’offerta del gioco. Comunque, il combinato disposto dei due strumenti che è stato avanzato in fotocopia da molte legislazioni regionali a cavallo della prima metà del decennio 2010-2020, quando è divenuto operativo, ha prodotto o rischiato di produrre una forte compressione dell’offerta di gioco legale e una tendenziale sua espulsione. L’Eurispes ha realizzato, per esempio, primo in Italia, la mappatura di alcune aree urbane – Lecce, Torino e Roma – sulla base di quello che le regolamentazioni regionali prevedevano al momento dell’entrata in vigore complessiva dei testi. Da queste mappature, che nessuno ha contestato, è risultata la pratica impossibilità di permanenza non di una quota rilevante, ma in assoluto dell’offerta del gioco legale in caso di applicazione dei distanziometri stabiliti dalle diverse Regioni. Faccio un esempio: nel Comune di Roma l’incastro tra il distanziometro regionale e quello comunale prevedeva, rispetto alla nostra mappatura, la possibilità di installare punti di offerta di gioco legale esclusivamente nella pineta di Castel Porziano. Può sembrare eccessiva questa affermazione: noi abbiamo segnalato alla Regione Lazio e al Comune di Roma gli esiti delle nostre ricerche e non abbiamo avuto risposte. La presenza di questa contraddizione tra quello che il legislatore in buona fede propone per andare incontro alle tematiche serie, serissime, della ludopatia e della azzardopatia, e la realtà che si riesce a ottenere è diventata consapevolezza da parte delle stesse amministrazioni regionali e all’avvicinarsi del momento in cui questi strumenti praticamente in tutta Italia sarebbero dovuti entrare in vigore il risultato è stato che queste scadenze sono state rinviate. Notizia di oggi: l’orientamento della commissione competente del Consiglio regionale della Calabria, che relativamente al suo distanziometro ha posposto l’entrata in vigore di questa normativa alla fine del 2024. Ma questo è successo praticamente in tutte o quasi tutte le Regioni man mano che ci si avvicinava a queste scadenze. Il distanziometro quindi rimane come elemento, se vogliamo come moloch, delle politiche di federalismo del gioco, ma viene dilazionato nel tempo e quindi non acquista una efficacia reale. Di queste dilazioni, di questi orientamenti, in alcuni casi Eurispes è stato in qualche misura corresponsabile, ha avuto un peso rilevante, che è stato da alcuni Consigli regionali, da alcune giunte, ufficialmente riconosciuto. Oltre ad affrontare in chiave tecnica gli aspetti delle normative vigenti in ambito europeo, nazionale, regionale e comunale, come è stato dimostrato anche dalle relazioni precedenti del procuratore De Donno e dell’avvocato Sambaldi, oltre che dall’avvocato Strata che fa parte della direzione dell’Osservatorio, l’Eurispes attraverso le sue ricerche ha effettuato diverse valutazioni dell’offerta sociosanitaria nei confronti delle ludopatie, del giocatore problematico e delle azzardopatie. Anche su questo il Paese mostra una situazione a macchia di leopardo: se si escludono alcune aree, come ad esempio la Sardegna, dove i dipartimenti delle dipendenze hanno una funzionalità effettiva che noi abbiamo potuto constatare, in generale l’offerta sociosanitaria dei dipartimenti, dei SERT e dei SERD, è tendenzialmente solo simbolica e non c’è nessun impatto concreto sia per quello che riguarda i numeri, sia per quello che riguarda le tecnologie, i modelli, i protocolli utilizzati. Questo probabilmente anche per l’assenza di risorse, che è un tema abbastanza diffuso per quello che riguarda le politiche del sociale, anzi, è sempre più diffuso nel nostro Paese. L’assenza di risorse è lamentata, insieme all’assenza del personale, da molti SERT e SERD in molte Regioni. Da questo punto di vista Eurispes ha segnalato un’opzione che non vuole apparire provocatoria, e che poi è stata anche in qualche misura ripresa non so se in chiave egemone dal dibattito sul riordino: ha segnalato l’opportunità di lasciare al territorio una quota del PREU, riservata oggi integralmente allo Stato centrale, proprio con la vocazione di interventi sulle fragilità sociali e quindi non solo su quelle legate al gioco patologico, ma anche a tante altre che esistono nelle nostre città e nelle nostre periferie. Negli ultimi anni, anche in relazione alla chiusura determinata dal Covid, l’istituto ha segnalato anche i rischi che l’ampliamento dell’area del gioco illegale prenda tanto più spazio quanto più si comprime l’offerta legale. Quando l’offerta legale non è stata possibile, per le chiusure del Covid, c’è stato comunque uno sviluppo ulteriore dell’illegalità. Oltretutto si avverte sempre di più uno shift tra il gioco legale e fisico e l’online, un settore quest’ultimo in cui lo Stato è poco attrezzato in termini di prevenzione, controllo e conseguentemente repressione. Considerando che l’online rappresenta la prima scelta per le generazioni più giovani, è quindi necessario attrezzarsi adeguatamente al contrasto dell’illegalità nel gioco online. In questo senso l’Istituto ha messo in rilievo e ha utilizzato l’esperienza – lo ha già citato l’avvocato Sambaldi – di quei settori della magistratura che hanno già manifestato adeguate skills in quest’ambito, in particolare l’esperienza della Procura della Repubblica di Reggio Calabria. È comunque sempre più diffusa e condivisa l’esigenza di un organico riordino del settore, anche per determinare cornici stabili per l’attività degli operatori che hanno difficoltà a programmare gli investimenti in una situazione caratterizzata da successive brevi proroghe delle concessioni. Poi è intervenuta, dicevo, la crisi del Covid e noi sappiamo che, qualunque sia il giudizio che se ne voglia dare, l’intera offerta del gioco riscontra ad oggi una diminuzione media complessiva del 20 per cento. Questo incide soprattutto sulle aziende di offerta del gioco più fragili e si stanno già notando parecchie chiusure. Tra l’altro, tornando un attimo indietro al progetto dell’intesa del 2017, gli obiettivi quantitativi e qualitativi dell’intesa, in parte soprattutto quelli quantitativi, sono stati in pratica raggiunti per il combinato disposto dell’attività delle politiche attive in questo senso, ma anche della crisi. Giorni fa valutavo, sulla base del registro RIES presso ADM, i vari numeri attuali dei luoghi dei punti di offerta di gioco: siamo già arrivati di fatto, senza volerlo o volendolo, ai numeri che l’intesa prospettava per il 2019. A mio giudizio, a nostro giudizio, a giudizio dell’Eurispes, purtroppo, se questo vale per la quantità non vale per la qualità, perché comunque nell’intesa era molto presente un’istanza politica anche culturale che tendeva alla riqualificazione dei punti di offerta del gioco legale, e su questo bisogna ancora fortemente intervenire. Tra l’altro, in ambito regionale e comunale si manifesta l’esigenza di un’attività di formazione degli addetti delle aziende di offerta di gioco legale che è stata in parte avanzata sulla base di alcuni contributi anche nazionali, ma a nostro giudizio senza produrre un protocollo che sia di reale utilità e di possibile condivisione in tutto il territorio nazionale. Oltretutto, ma questo non fa riferimento ad un potenziale ricatto occupazionale, Eurispes ha studiato in tutte le Regioni, attraverso l’analisi dei registri RIES, l’impatto occupazionale che questa industria comincia o comunque continua ad avere malgrado la crisi degli ultimi anni: è un impatto occupazionale interessante, importante, che è uno degli elementi da tenere in considerazione nel momento in cui auspicabilmente si passasse ad un riordino. Un riordino che deve essere legato ad una visione reale della situazione e che quindi deve rispondere più che altro ad una logica di riforma, a compendio per la costituzione di un sistema più apprezzabile o meno. ;olto tristemente, cioè che l’attività dei centri dei dipartimenti nell’area delle azzardopatie è sostanzialmente inesistente. Su questo riteniamo che si debba intervenire”.

“Sono in imbarazzo in quanto come istituto Eurispes noi apprezziamo molto quando ci accorgiamo di aver sbagliato qualcosa e quando qualcuno ce lo segnala. Apprezziamo molto un atteggiamento di corretta umiltà nel proporre le nostre analisi e apprezziamo molto il contraddittorio. Non apprezziamo – ma questo non significa che non possa avvenire, spesso avviene – che quello che noi produciamo in termini di ricerca sia potenzialmente contestato ex ante. Noi chiediamo, e poi citerò il caso specifico del Piemonte, di essere non apprezzati, neanche valutati, ma conosciuti, per i risultati delle nostre analisi. Al senatore Endrizzi volevo segnalare che sul Piemonte noi non ci siamo inventati nulla; se non, per quello che riguarda il rapporto tra compressione e illegalità, quello che ci è stato detto dalla Guardia di finanza che, nel periodo successivo all’emanazione della legge regionale allora in vigore, ci ha segnalato un aumento spropositato dei cosiddetti totem. Io non penso che la Guardia di finanza abbia detto cose errate. Comunque, noi non facciamo ricerche per attaccare qualcuno o qualcosa o per difendere qualcuno o qualcosa o qualche settore. Noi riportiamo attraverso le nostre analisi e le nostre ricerche quello che in questo caso i territori, anche contraddittoriamente, esprimono. In altri casi no. Quando diciamo (sulla base di ricerche fatte in cinque Regioni, di mappature di città in diverse regioni d’Italia) che il distanziometro – ottima misura dal punto di vista ideale – non può funzionare, vorremmo essere contraddetti sulla base di fatti reali. Abbiamo fatto delle mappature con dei periti, rivolgendoci ai geometri, non a fini intellettuali o personaggi ideologizzati in un senso o nell’altro. Se queste mappature sono sbagliate, chiediamo scusa. Ma se queste mappature ci dicono che a Torino, a Chieti, a Roma, o a Lecce, le regolamentazioni regionali poi non entrate in vigore impediscono, azzerano l’offerta legale, noi lo diciamo. Se ci sbagliamo, ditecelo”, ha detto.

“C’è un po’ di retorica quando io dico di essere in imbarazzo. In realtà non siamo imbarazzati, perché siamo sicuri della nostra correttezza e siamo assolutamente sicuri che alcune affermazioni che discendono dalle nostre ricerche sono al momento inappuntabili. Su altre, entriamo in un clima che è anche di contestazione reciproca tra aree culturali, politiche e ideali del tutto legittime, a cui non prendiamo assolutamente parte, perché un istituto di ricerca o è o non è; io mi permetto di pensare che Eurispes sia un istituto di ricerca che è, che c’è. E quindi noi vorremmo essere valutati e contestati e se ci fosse, ripeto, una contestazione che ci fa cambiare idea saremmo felicissimi di aver sbagliato e di essercene accorti. Però nell’area del gioco, per rispondere sempre al senatore Endrizzi, no: c’è stato un braccio di ferro che non è legato soltanto alla mancata emissione della regolamentazione e del decreto che doveva seguire all’intesa del 7 settembre 2017. Noi sappiamo, l’abbiamo segnalato in tutte le ricerche, che il Governo è stato inadempiente da quel punto di vista. Però non mi si dica, non ci si dica, che all’atteggiamento compromissorio delle strutture regionali manifestato intorno alla chiusura difficoltosa dell’intesa del 7 settembre 2017 ci sia stato un atteggiamento consequenziale da parte delle Regioni. Noi abbiamo riportato le interviste di rappresentanti regionali che quel giorno dicevano: che bella questa intesa, abbiamo finalmente raggiunto questa intesa; e che il giorno dopo nei giornali locali dicevano, del tutto legittimamente – fino a un certo punto per quello che riguarda il rapporto tra riserva dello Stato e riserva regionale – siamo per una politica di forte chiusura al gioco legale. Quindi queste contraddizioni sono nelle parole di alcuni soggetti e di alcune aree che sono entrate in contraddizione. E noi non segnaliamo questa cosa qui perché parteggiamo per una parte o per l’altra: la segnaliamo come oggettiva contraddizione. Il federalismo del gioco, tra l’altro, si è nutrito, e lo dico da cittadino italiano con un certo dispiacere, anche di una certa pigrizia da parte delle Regioni e questa non è un’accusa populistica, lo dico proprio da cittadino critico, perché se noi vediamo la successione delle regolamentazioni regionali, è stato un copia e incolla. E quando a me è capitato in alcuni contesti di Consigli regionali di chiedere, per dare un’informazione, non per provocare, da dove venissero gli elementi quantitativi che si congiungono, più o meno uguali dappertutto, al discorso del distanziometro, nessuno me lo sapeva dire. Gliel’ho detto io che il distanziometro è dal punto di vista dei metri, dei 300 o dei 500 metri, l’elaborazione di una legge provinciale di Bolzano che però riguardava l’inquinamento elettroacustico. Come spesso capita, un’amministrazione locale o nazionale deve avere un punto di partenza; bene. Io mi chiedo se l’inquinamento elettroacustico, che è una cosa molto seria, e il problema del gioco patologico, che è altrettanto serio, possano essere accumunati da uno stesso strumento, o da uno strumento analogo. Io penso che ce ne possano essere altri. Ma penso soprattutto che, quale che sia lo strumento che si applica, esso debba essere realistico. Io aspetto ancora che la Regione Lazio e il Comune di Roma, dove tra l’altro ad agosto c’è un’ulteriore scadenza dopo le dilazioni, mi dicano che non è vero che la mappatura del Comune di Roma che noi abbiamo fatto è sbagliata”, ha aggiunto.

“Il mio obiettivo prioritario ma non tattico, sostanziale, è che Eurispes non sia un elemento di polemica, non rappresenti un soggetto che si inserisce in una diatriba con posizioni che vengono considerate preconcette. Il mio obiettivo, e io credo che questo venga abbastanza fuori dalle nostre ricerche, è quello di dimostrare che, facendo decentemente il lavoro di un istituto di ricerca, suggeriamo alla nostra società, che indaghiamo da tanti punti di vista, alcuni strumenti di valutazione critica, di analisi, magari con l’orgoglio, un orgoglio ferito però da certi punti di vista, che alcune cose avrebbero potuto essere anche studiate direttamente dal settore politico, dalle amministrazioni. Per esempio, le mappature non le ha fatte mai nessuno. Mi chiedo: se tu legislazione regionale proponi uno strumento non vedi preventivamente come possa funzionare? Noi diamo dei contributi, solo questo, e non abbiamo nessun altro obiettivo che quello che può derivare positivamente dalla lettura, a sua volta critica, delle ricerche che avanziamo anche in questo settore. Voi sapete che Eurispes è impegnato in generale sul tema della legalità, sul tema della sanità, sul tema delle produzioni e del rinnovo tecnologico; la nostra attività è abbastanza distribuita sul territorio dell’analisi sociale. In questo settore noi abbiamo dato i nostri contributi; sappiamo di averne dati tanti, speriamo siano utili e ci fermiamo qui”, ha detto.

Ha sottolineato Sambaldi: “Solo una precisazione relativamente anche a questa attenzione particolare relativamente al rapporto tra legalità e illegalità: non è un caso che l’Osservatorio lo presieda un magistrato che si è occupato di importanti indagini in materia di raccolta abusiva di scommesse. Prima abbiamo citato già l’intervista in profondità al sostituto procuratore di Reggio Calabria. Si tratta di due magistrati che sono tutt’ora, peraltro, in attività e che si sono occupati di indagini specifiche. Quando si fa riferimento ai dati, purtroppo la tendenza è quella di andare a ricercare il dato del sequestro, il dato dell’aumento dell’illegalità. Riteniamo che in questa fase storica, guardando anche al riordino, la scelta politica sia netta. Il sistema del gioco pubblico è un sistema che tutela contro la diffusione, contro l’illegalità, o è un sistema che deve essere abolito e quindi si deve rinunciare ad un sistema legale del gioco pubblico? Il gioco pubblico, come ci hanno riferito i magistrati che noi abbiamo ascoltato, può essere, ed è, un presidio di legalità, per quei motivi che dicevamo, perché c’è un modello organizzatorio, perché c’è un parametro di verifica, ci sono dei controlli, delle verifiche. L’articolo 88 TULPS prevede dei controlli semestrali su chi gestisce esercizi che raccolgono le scommesse, di tutte le sale che sono dedicate al gioco in maniera specialistica, senza considerare poi il RIES e quindi le informative antimafie. Su tutto questo vi invito ad un approfondimento nelle ricerche che vi abbiamo messo a disposizione. Se il gioco pubblico, dicevo, è effettivamente un presidio di legalità, il problema non si deve porre dal lato della riduzione o meno dell’illegalità a seguito della restrizione del gioco legale. Poniamoci nell’ottica che c’è una politica che pensa di contrastare l’illegalità che di fatto esiste: è il secondo business per le mafie, e questo ce lo dice la Direzione nazionale antimafia, dopo gli stupefacenti. Se questo è il dato e il business principale delle mafie non è quello di tentare di infiltrare il gioco legale, ma è quello del business puro che si può costruire nell’area dell’illegalità, se questo è vero, allora miglioriamolo il sistema del gioco legale. Il gioco pubblico è sicuramente perfettibile; nessuno dice che possa essere esente dalle infiltrazioni, non sarebbe normale. Qualsiasi settore economico che generi profitti importanti è naturalmente allettante per un’infiltrazione mafiosa. Però pensare di attuare una politica di riduzione di contrasto all’illegalità attraverso l’indebolimento del sistema del gioco pubblico – ci siamo più volti confrontati all’Osservatorio dell’Eurispes – riteniamo che non sia una politica che possa guardare lontano. La scelta è quella se mantenere o meno il sistema del gioco pubblico, ma se si mantiene va rafforzato il più possibile contrastando al contempo e in maniera forte anche tutte le debolezze di questo sistema. Prima non ho avuto modo di approfondire, ma il sostituto procuratore della DDA di Reggio Calabria, nella sua intervista, fa anche riferimento ad alcune evidenze nelle indagini svolte che riguardano i maggiori tentativi di infiltrazione, non tanto nel sistema dei concessionari dello Stato, che abbiamo visto essere estremamente controllati, quanto nella filiera sottostante. Sappiamo benissimo che il concessionario è un soggetto giuridico distinto dalla rete dei punti che sono sul territorio, quindi è evidente che si tratta di soggetti che sono legati da contratti di servizi il cui contenuto minimo è stabilito dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli. Quindi è un rapporto, però contrattuale, dove c’è evidentemente una parte forte e una parte più debole, e questa parte debole è quella che sta sul territorio. Quindi è evidente che qualsiasi motivo di indebolimento dello stato economicofinanziario della rete si traduce in una maggiore esposizione e in un maggiore rischio di infiltrazione criminale. Questo l’abbiamo evidenziato nell’ultima ricerca sulla Sardegna, in cui abbiamo esaminato anche i profili e i riflessi del Covid, quindi della chiusura della rete sul territorio: è evidente che indebolire una rete di esercizi che ha dei costi fissi ma che non può svolgere la propria attività espone la rete stessa a maggiori rischi di infiltrazione criminale. Dal nostro punto di vista in questa fase, guardando al riordino, è forse utile risemplificare il quadro e ricordare che anche in materia di tutela della salute pubblica la competenza è concorrente e non c’è una competenza esclusiva delle Regioni. Quindi lo Stato si deve a nostro avviso riappropriare della propria competenza nel disegno della cornice dei principi generali, che può anche non condividere con le Regioni, perché la cornice dei principi generali dal punto di vista costituzionale spetta allo Stato centrale, e poi naturalmente, in virtù del principio della leale collaborazione, andare a disciplinare tutti gli altri aspetti. Naturalmente ci sono poi i profili di competenza esclusiva locale, che devono essere assolutamente rispettati. Però, dal punto di vista di quello che è il profilo qualitativo e quantitativo del principio generale, questo non può che spettare al legislatore nazionale. Io mi fermerei qua”.

Ha ultimato De Donno: “Vorrei chiarire che avevo già detto nella precedente audizione che la nostra indagine sul Piemonte fu fatta prima della modifica regionale, se non ricordo male, e poi è intervenuta la modifica normativa. Per quanto riguarda la metodologia usata, l’abbiamo esplicata chiaramente negli scritti che abbiamo consegnato, che sono naturalmente oggetto di libera valutazione. Non mi esprimo assolutamente sulle scelte del legislatore, che assolutamente non dipendono da me. Abbiamo cercato di dare il dato più obiettivo possibile, nei limiti in cui ci siamo riusciti in un settore che, come sapete, è molto complesso. Forse siamo stati i primi ad addentrarci in una materia così complicata e non invidio le scelte che dovrà fare la Commissione, perché è veramente un settore molto sensibile e molto importante. Si parla di questioni complesse come la criminalità, le infiltrazioni della criminalità nel settore del gioco, le ludopatie, la cura delle ludopatie: sono scelte molto molto importanti. Ovviamente noi le rispettiamo e non entriamo assolutamente nel merito. Speriamo di aver dato un piccolo contributo; non riteniamo che sia determinante, ma abbiamo cercato di fare quello che potevamo. Per quanto riguarda la domanda del senatore Lannutti, purtroppo, senatore, gli strumenti di analisi e di controllo ce li abbiamo, l’ho detto anche l’altra volta, non credo che si possa fare molto di più. L’unica criticità che cerco di evidenziare riguarda gli esercizi generalisti: mentre i concessionari sono più formati nella materia e molto più sensibilizzati al rispetto delle regole, bisogna forse intervenire molto di più sui generalisti, che non svolgono come attività primaria quella dell’esercizio del gioco o delle scommesse ma hanno altre attività prioritarie, per caricarli maggiormente di responsabilità o formarli adeguatamente, in modo che siano molto più propensi al rispetto delle regole. In realtà noi l’attività investigativa la svolgiamo; è un settore molto diffuso, non è semplicissimo. Abbiamo ottenuto anche degli strumenti recenti; possiamo intercettare i flussi di comunicazione, sappiamo ormai dove andare a parare. Purtroppo non siamo nelle condizioni di impedire a chi vuole svolgere attività criminali di svolgerle in nessun settore e neanche in questo. Però credo che qualificare fortemente anche i titolari di esercizi generalisti che hanno un compito fondamentale, che sono tantissimi purtroppo in questo Paese – dico purtroppo perché poi è difficile controllarli tutti – forse potrebbe servire in qualche modo a ridurre nella sfera del lecito l’esposizione al rischio di violazione delle regole. Questo mi permetto di dire; non esprimo altre valutazioni, sia chiaro. Chi mi conosce sa bene che non mi sono mai addentrato in valutazioni. Ho cercato solo di dare un contributo per la mia diretta esperienza. Io auguro veramente un buon lavoro alla Commissione, state svolgendo un lavoro encomiabile, e noi possiamo solo dare il nostro piccolo contributo, speriamo che serva a qualcosa”. cdn/AGIMEG