Lotto, Consiglio di Stato conferma annullamento revoca licenza: “Scostamento modesto del limite minimo di raccolta annuale”

Uno scostamento di soli 200 euro rispetto al limite minimo di raccolta annuale non può essere motivo di revoca della licenza del Lotto. E’ quanto ha statuito il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), che dunque conferma la sentenza di primo grado del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna – sede di Bologna, che aveva accolto il ricorso della titolare di una rivendita di generi di monopolio annullando la revoca della concessione del gioco del lotto disposta nei confronti della ricorrente dall’allora Amministrazione autonoma del monopoli di Stato – ufficio regionale per l’Emilia-Romagna.

La concessione era stata revocata per il mancato superamento in due esercizi consecutivi del volume annuo minimo di raccolta del gioco fissato con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 12 dicembre 2003 (Ampliamento della rete di raccolta del gioco del lotto), fissato in € 20.658,28, e precisamente perché negli esercizi 2007 e 2008 la ricevitoria della ricorrente aveva fatto registrare una raccolta – rispettivamente – di 20.446,50 e di 16.839,50 euro.

“La sentenza di primo grado escludeva tuttavia che il mancato superamento del limite fissato nel citato decreto ministeriale rendesse doverosa la revoca“, ricorda il CdS. “La sentenza statuiva che in ragione del mancato raggiungimento del volume minimo per soli € 211,78 nell’esercizio 2007, l’Amministrazione autonoma dei monopoli avrebbe potuto adottare «un provvedimento diverso, frutto della collaborazione con la diretta interessata, opportunamente avvisata»”.

Per i giudici “il potere di revoca non trova il proprio fondamento in alcuna norma primaria. In assenza di una base legale fondante, il fondamento del potere va deve pertanto essere ricercato nella disposizione di carattere generale contenuta nell’art. 21-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241″.

“L’esercizio del potere postula una motivazione che ponga in comparazione l’interesse pubblico con il contrapposto interesse privato correlato alla stabilità degli effetti durevoli dell’atto e che enunci le ragioni della prevalenza del primo e del correlato sacrificio del secondo. Il sotteso interesse pubblico all’ampliamento della rete di raccolta va quindi considerato senza attribuire al limite numerico fissato nel decreto ministeriale una ‘condicio sine qua non’ per il mantenimento della concessione, tenuto conto anche dell’esistenza di fattori non imputabili al singolo gestore, tra l’altro connessi alla mutevolezza della generale propensione della popolazione al gioco”.

“In questa condivisibile prospettiva si è dunque posta la sentenza di primo grado, che va pertanto confermata, avuto particolare riguardo al fatto che in uno dei due esercizi in valutazione lo scostamento dal volume minimo di raccolta è stato effettivamente modesto“, conclude il Consiglio di Stato. cr/AGIMEG