Questa mattina, presso l’Università degli Studi di Salerno, si è svolto il convegno “Il sistema Italia per la sicurezza del gioco pubblico: dalla prevenzione al controllo, dalla tutela dell’utente a quella degli operatori” moderato dal direttore di Agimeg, Fabio Felici ed organizzato dall’Osservatorio Internazionale sul Gioco. Tra i relatori Emilio Zamparelli, presidente di STS, che ha fornito una fotografia del settore del gioco pubblico in Italia.
“Faccio una premessa su cosa è successo nel passato, ovvero quello che è capitato negli ultimi dieci anni e come questo ha impattato sulla rete di raccolta del gioco pubblico in questo paese”.
“Negli ultimi dieci anni – dichiara Zamparelli – il settore è stato interessato, innanzitutto da un cambiamento in qualche modo di mercato, perché accanto alle reti tradizionali di raccolta del gioco in questo paese e quindi le ricevitorie, le tabaccherie, i bar, le agenzie, si è sviluppato un tipo di raccolta diversa, ovvero quella del gioco online. Questo già ha rappresentato un cambiamento impattante sul mercato, ma il gioco fisico ha avuto un problema maggiore, molto più complesso, che è dipeso dalla politica. Cos’è successo? Gli enti locali negli ultimi dieci anni hanno legiferato con provvedimenti sulle distanze minime dai luoghi sensibili e limiti orari. Queste normative erano dettate più dalla voglia di fare qualcosa, piuttosto che avere un’effettiva efficacia, poiché provvedimenti che includano distanze minime da un determinato luogo, nel mondo attuale dove anche il gioco si è spostato sul digitale, non hanno più senso. In queste situazioni, al giocatore è impedito il gioco in un luogo fisico, ma può tranquillamente giocare da qualsiasi posto con il suo telefonino”.
“Abbiamo assistito, nel tempo, all’emanazione di normative locali estremamente fantasiose. In alcuni casi, si è arrivati a stabilire orari fortemente limitativi: ad esempio, la possibilità di giocare solo dalle 20:00 alle 8:00 del mattino. Ma qual era l’obiettivo di tali misure? Difendere il giocatore problematico? In realtà, una persona con questo tipo di problematica non si lascia scoraggiare da vincoli orari e, anzi, in quella fascia oraria potrebbe addirittura avere più tempo a disposizione per giocare, rispetto al giocatore sociale, ovvero colui che gioca per divertimento e per tentare la fortuna. È evidente, quindi, che i legislatori locali abbiano cercato di tutelare il giocatore problematico con provvedimenti inefficaci e anacronistici. Le normative emanate da Comuni e Regioni sono risultate fantasiose anche nella definizione dei cosiddetti “luoghi sensibili”: scuole, cimiteri, palestre, chiese… c’era davvero di tutto. Poi, come se non bastasse, si è scatenata una vera e propria competizione tra enti locali, ciascuno intento a fissare limiti sempre più stringenti. È così che ci siamo ritrovati con regolamenti come quello del Comune di Ventimiglia, dove è possibile giocare soltanto di notte, poiché durante il giorno gli apparecchi devono rimanere spenti.
Questo è ciò che il settore ha vissuto negli ultimi anni. Si è trattato di una situazione profondamente ingiusta, specie considerando che noi operiamo nel pieno rispetto della legalità. Rappresentiamo la parte legale in un contesto in cui l’illegalità è ancora largamente diffusa — e, paradossalmente, si parla pochissimo di quest’ultima. Il risultato? I riflettori si sono spostati sul mercato legale, lasciando campo libero all’illegalità, che nel frattempo ha potuto prosperare. Il mondo del gioco illegale non è più quello di una volta, quando si trovavano persone agli angoli delle strade a raccogliere le giocate. Oggi anche questo mercato si è evoluto, sfruttando nuovi strumenti tecnologici. L’illegalità continua a esistere, ma negli ultimi anni non se ne è discusso affatto: l’attenzione si è concentrata solo sulla parte legale, bersagliata da normative sempre più restrittive.
Attualmente siamo in attesa di un riordino che dovrebbe, finalmente, ristabilire regole chiare e certe per chi opera nel settore. Parliamo di società che svolgono attività legali e che tutelano il giocatore, poiché la tutela effettiva può essere garantita solo attraverso la rete legale. Al contrario, l’illegalità si rivolge direttamente al giocatore problematico e patologico. È importante ricordare, però, che la stragrande maggioranza dei giocatori è composta da persone sociali, che giocano esclusivamente per divertimento. I giocatori patologici rappresentano una netta minoranza, la cui problematica esiste, sì, ma probabilmente si accompagna ad altre difficoltà personali.
Una curiosità di natura storica: gli ultimi dieci anni sono stati caratterizzati da queste normative restrittive, ma era già successo in passato? Ebbene sì. Risaliamo al 1947, agli albori della raccolta ufficiale del gioco in Italia. Il Totocalcio fu il primo concorso a vedere la luce nel nostro Paese, e proprio il 5 maggio scorso abbiamo celebrato i 90 anni dalla sua nascita. Era un gioco che si compilava spesso in famiglia. Già allora, alcuni enti locali, notando l’incremento della raccolta, tentarono di intervenire per motivi economici. Ad esempio, molte prefetture proposero di inserire un costo addizionale sulla schedina: a Messina, l’1% da destinare agli ospedali; a Napoli, un contributo per aiutare i disoccupati. Tuttavia, queste iniziative estemporanee vennero prontamente bloccate, permettendo così 50 anni di serenità e di divertimento, senza vincoli.
Immaginare il futuro è complesso e difficile. Tuttavia, possiamo almeno auspicare come vorremmo che fosse il mercato del domani. Al legislatore spetta una sfida di grande rilievo: regolamentare un mercato che ha subito una profonda evoluzione. Oggi il giocatore è diventato omnicanale, ovvero gioca sia attraverso il proprio dispositivo mobile sia tramite i punti fisici tradizionali. Di conseguenza, il legislatore deve necessariamente tener conto di questa realtà. Misure come i limiti orari o le distanze minime non sono più efficaci e, finalmente, è giunto il momento di consegnarle al passato.
A mio avviso, si dovrebbe ripartire senza vincoli di distanza o di orario, perché la tutela del giocatore passa dalla rete — sia digitale che fisica. La rete fisica, in particolare, è costituita da operatori che raccolgono il gioco, e che devono essere adeguatamente formati, attenti, e rispettosi delle norme. Se disponiamo di una rete attenta, preparata e responsabile, capace di gestire correttamente il giocatore problematico e di indirizzarlo nei canali appropriati, allora possiamo affermare di avere realmente tutelato il giocatore. È da troppo tempo che si parla sempre degli stessi temi, ma oggi abbiamo finalmente un’occasione per compiere dei passi decisivi.
Inoltre, la rete legale deve essere capillare sul territorio. Questo è un elemento fondamentale: nel momento in cui lasciamo spazi liberi, essi vengono immediatamente occupati dalla criminalità, che nel gioco continua a fare affari d’oro. Quelle risorse vengono sottratte al mercato legale e impiegate contro di noi, contro la collettività. Il consumatore che desidera giocare una schedina deve poterlo fare in piena libertà, con autonomia, in un punto vicino casa. Giocare pochi euro, come fa la grande maggioranza, non provoca gravi danni agli individui, ma garantisce un’entrata erariale di 12 miliardi di euro annui. Eppure, nessuno ne parla. Nessuno sottolinea che, eliminando il mercato illegale, lo Stato potrebbe incassare ancora di più.
Non si può continuare a regolamentare questo settore in funzione degli interessi divergenti di Stato, Regioni e enti locali. Occorre delineare chiaramente i poteri, e per quanto riguarda il gioco, è giusto che sia lo Stato a decidere e a normare. Gli enti locali temono di essere esautorati da un eventuale riordino, ma non è così. A loro spetta un compito ancora più importante: far sì che le normative vengano rispettate sul territorio, e sanzionare chi non osserva le regole. Oggi sembra che il settore non sia sotto il controllo di nessuno, ma questo è falso. Esiste l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, un ente pubblico che effettua decine di migliaia di controlli ogni anno. Purtroppo, nel nostro Paese, nessuno sembra accorgersi che la maggior parte dei punti di gioco opera nel pieno rispetto delle regole, a causa di un’opinione pubblica molto contraria al settore.
L’illegalità può essere sconfitta con il rispetto delle regole e con controlli efficaci. Come tabaccai, abbiamo vissuto anche l’esperienza del contrabbando: è stata un’esperienza dura, durissima. In alcune zone del napoletano, il tabaccaio si trovava il contrabbandiere accanto alla porta. Il cliente, prima di entrare nel punto legale, incontrava il contrabbandiere. Eppure, quel tabaccaio ha resistito. Ha dovuto resistere. Ha atteso che qualcuno si attivasse per allontanare il contrabbandiere. Per questo il punto legale è fondamentale, e ancor più fondamentale è che le regole vengano fatte rispettare. Nel gioco fisico, individuare l’illegale è sicuramente più semplice rispetto all’online. Nel gioco digitale, potremmo ritrovarci a giocare su siti con sede all’altro capo del mondo. L’illegale, invece, è radicato sul territorio: per questo motivo serve la massima attenzione da parte degli organi competenti. Con il contrabbando, la missione è stata in gran parte compiuta, anche se ancora oggi esistono forme di illegalità nel settore del tabacco. Accanto al contrabbandiere, oggi troviamo anche la contraffazione: una nuova forma di minaccia. Tuttavia, quel fenomeno è stato combattuto grazie a controlli efficaci e alla repressione.
I tabaccai devono necessariamente esporre l’insegna con lo stemma della Repubblica Italiana, perché la persona dietro al banco ha un contratto con lo Stato, che lo vincola al rispetto delle norme. È un operatore dello Stato. L’illegalità va combattuta, e anche nel settore del gioco è fondamentale farlo. Per riuscirci, la capillarità della rete è essenziale: l’illegale prende forma dove esiste un mercato e, soprattutto, uno spazio lasciato libero.
Negli anni Ottanta — conclude Zamparelli — il gioco del Lotto era gestito da pochissime ricevitorie. Il mercato era in larga parte in mano all’illegalità. Perché? Perché c’era spazio libero. Quei botteghini statali aprivano solo alcune ore al mattino, erano chiusi nei fine settimana, non pagavano a pronta cassa, al contrario dell’illegale. Ma nel 1987 la raccolta del gioco del Lotto fu affidata ai tabaccai, una rete capillare sul territorio: quello fu un colpo durissimo per l’illegalità. Talmente duro che gli operatori illegali arrivarono a pensare di aumentare le vincite, non potendo più competere sul servizio, che era ormai garantito da una categoria professionale formata appositamente: i rivenditori di generi di monopolio. La lezione è chiara: la chiave per contrastare l’illegalità è una rete di raccolta capillare e diffusa sul territorio. Questo è il primo presidio per combattere l’illegalità, che, ancora oggi, è ben presente nel nostro Paese“. lp/AGIMEG