Cassazione respinge ricorso internet point: “Intermediazione scommesse è vietata, restrizioni giustificate da esigenze di ordine pubblico”

“Questa Corte, con orientamento consolidato e costante, ha ribadito a più riprese il principio per cui lo svolgimento in forma organizzata dell’attività di accettazione, raccolta o intermediazione, anche per via telematica o telefonica, giocate del lotto, concorsi pronostici o scommesse, da parte di un soggetto che non sia in possesso della concessione, autorizzazione, licenza ai sensi dell’art. 88 R.D. n. 773/1931, ed agisca per conto di un allibratore estero privo di concessione, indipendentemente dalla illegittimità del mancato rilascio di quest’ultima, integra il reato di cui all’art. 4 L. n. 401 del 1989, senza che ciò sia incompatibile con la tutela comunitaria delle libertà di prestazione di servizi e di stabilimento, trattandosi di restrizioni giustificate da esigenze di ordine pubblico”. E’ quanto ha stabilito la Cassazione respingendo un ricorso della titolare di un internet point di Caltanissetta contro la sentenza di reclusione della Corte d’Appello a 4 anni e 15 giorni. I supremi giudici hanno ribadito che “l’art. 4, comma 4-bis, della L. n. 401 del 1989, punisce penalmente chiunque, privo dell’autorizzazione richiesta ai sensi dell’art. 88 del T.U.L.P.S., svolga in Italia un’attività organizzata al fine di accettare ovvero raccogliere o comunque favorire l’accettazione, in qualsiasi modo la raccolta, anche per via telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere da chiunque accettate in Italia o all’estero”, ricordando che “la giurisprudenza di legittimità ha sostenuto che, ai fini della configurabilità del reato di abusiva organizzazione di scommesse, è sufficiente che venga posta in essere in territorio nazionale una qualsiasi attività connessa o finalizzata allo svolgimento delle scommesse, quale quella di chi, pur non gestendo in prima persona a livello imprenditoriale l’attività, collabori tuttavia ad essa rappresentando in Italia un bookmaker straniero o anche solo fornendo informazioni sulle quote, sui moduli necessari per trasmettere la scommessa all’estero, o ancora sulle modalità per aprire conti correnti all’estero da movimentare con le vincite o le perdite delle scommesse”.
Quanto, poi, al tema della cosiddetta “ignoranza incolpevole della legge penale” e della sua possibile configurabilità in ipotesi di contrasti giurisprudenziali, “merita di essere ricordato che l’incertezza derivante da contrastanti orientamenti giurisprudenziali nell’applicazione di una norma penale non abilita ex se ad invocare la condizione soggettiva dell’ignorantia legis inevitabile. Infatti, proprio tale difetto di certezza sulla liceità o meno della condotta dovrebbe indurre il soggetto interessato a mantenere un atteggiamento più attento, fino ad astenersi dall’azione se, nonostante le informazioni assunte, l’incertezza sulla liceità permanga. Tanto premesso, pertanto, il motivo è infondato. Ed invero, nonostante la condotta successiva al delitto abbia consentito all’agente, mediante la procedura di regolarizzazione di cui all’art. 1, comma 643, della L. n. 190 del 2014, di esercitare lecitamente l’attività precedentemente non autorizzata, ciò non può escludere a priori il disvalore del comportamento anteriore, né quindi determinare l’operatività ipso facto della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis, cod. pen., soprattutto a fronte di una condotta, quale quella oggetto di contestazione, che si era concretizzata nel protratto esercizio di un’attività di intermediazione nel settore dei giochi e delle scommesse”. Per questi motivi il Corte di Cassazione rigetta il ricorso. lp/AGIMEG