“Ho voluto fare questo investimento proprio per evidenziare l’importanza del tema della ludopatia e per invitarla ad incontrarci in un tavolo di lavoro, per trovare insieme delle regolamentazioni concrete e sostenibili, in grado di proteggere realmente i consumatori anche dai rischi che tale Decreto potrebbe creare”. Niklas Lindahl, Managing Director Italy di LeoVegas Gaming, risponde a Di Maio che questa mattina aveva replicato alla lettera aperta pubblicata sul Corriere della Sera, La Repubblica, Il Sole24 Ore, La Stampa e La Gazzetta dello Sport, nella quale lo stesso Lindahl aveva commentato sul divieto di pubblicità al gioco contenuto nel Decreto Dignità. “Vorrei rispondere per punti – ha continuato Lindahl – poiché continuo a non trovarmi d’accordo e la realtà ci racconta una situazione molto diversa dalle sue affermazioni:
- Lei scrive “è completamente fuorviante parlare di proibizionismo. Quello che viene vietato è la pubblicità a un prodotto o servizio, non il prodotto in sè”: se avesse letto più attentamente la mia Lettera, avrebbe trovato risposta a questa frase. Come le ho scritto e ribadisco, senza possibilità di fare pubblicità e sponsorizzazioni, cambierebbe un elemento centrale dei termini della concessione rendendo impossibile lo svolgimento dell’attività a società serie e controllate, visto che la pubblicità è il principale vantaggio degli operatori con licenza rispetto a quelli non autorizzati. Per questo parlo, a ragione, di proibizionismo che è sia pubblicitario sia di servizio, perché il divieto di pubblicità impedirebbe agli operatori di giochi a distanza di gestire la propria attività, alterando un elemento essenziale della concessione in un momento successivo alla pubblicazione del relativo bando. Questo va oltre le limitazioni alla libertà di impresa consentite dall’articolo 41 della Costituzione.
- Afferma poi che “La logica che viene applicata è quella che ha portato al divieto della pubblicità sulle sigarette. Non è stata vietata la vendita, ma la sua sponsorizzazione e la strategia ha funzionato”: temo purtroppo di doverla confessare, anzi lo fanno i dati ISTAT sulla classifica delle dipendenze patologiche per il 2017. Secondo il rapporto ISTAT sul 2017, le sigarette restano la prima dipendenza in Italia che colpisce la ragguardevole cifra di 10.300.000 di persone che, nonostante il divieto della pubblicità sulle sigarette, continuano regolarmente a fumare. La seconda dipendenza in Italia è l’alcool, con tassi sempre più preoccupanti fra i giovani, che colpisce ben 8.265.000 di persone. La ludopatia colpisce 900.000 persone secondi i dati del Ministero della Sanità, numero che diventa di 400.000 (2,4% dei giocatori) secondo il rapporto “Consumi d’Azzardo 2017” dell’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Ifc-Cnr). Eppure non ho sentito levate di scudi contro l’acool nè proposte di divieti pubblicitari, nonostante ne sia felice perché credo che il divieto pubblicitario non serva a combattere le dipendenze. Come dimostra proprio il caso del fumo che lei ha citato. Le dipendenze, Onorevole Ministro, non si combattono con il divieto pubblicitario, almeno così ci dicono gli oltre 10 milioni di italiani che continuano a fumare. Una cifra spaventosa, purtroppo.
- Scrive inoltre che “Lei sostiene che con il divieto alla pubblicità si favorirebbero le attività illegali, io penso il contrario. Penso che meno pubblicità al gioco d’azzardo legale, farà diminuire anche il ricorso a quello illegale”: purtroppo questo rimarrà solo un pensiero o un desiderio, ma la realtà è un’altra e un tavolo di lavoro con gli esperti del settore potrebbe aiutarla a conoscerla meglio. Il divieto di pubblicità imposto agli operatori autorizzati darebbe il via libera a chi non ha vincoli e potrebbe continuare a offrire giochi e a proporre pubblicità – come già accade ampiamente oggi – vista l’impossibilità di eseguire contestazioni all’estero. Tutto questo senza pagare imposte allo Stato e con l’ulteriore beffa che gli italiani sarebbero comunque esposti a forme di pubblicità, ma incontrollate. Le basterà un giro su Internet per verificare di persona quante sono le pubblicità di operatori non autorizzati che vengono ospitate su diversi siti di grande visibilità e di diversa tipologia, gestite da società straniere che non ricevono multe e controlli. Questa è la realtà di oggi e stiamo consegnando i giocatori italiani in mano a queste società, che continueranno indisturbati ad attrarre i consumatori tramite pubblicità invasive, mentre gli operatori controllati che applicano severi controlli contro la ludopatia lentamente spariranno. Proprio quelli che, per legge, si impegnano ad arginare quotidianamente il fenomeno della ludopatia. La invito a considerare che l’attuale normativa sulla pubblicità dei giochi è già tra le più rigide a livello mondiale.
- Nel rispondermi, argomenta che “La martellante pubblicità sul gioco d’azzardo, anche utilizzando testimonial ultra famosi, ha come effetto un generale aumento del desiderio di giocare d’azzardo”. Su questo aspetto condivido con lei, il peso pubblicitario è eccessivo. Aggiungo anche che alcune pubblicità lanciano messaggi ingannevoli. Ed è qui che dovremmo intervenire, non vietando tutte le pubblicità, ma limitando i messaggi e regolamentando meglio le comunicazioni al pubblico. Come fatto in Inghilterra, anche qui potremmo confrontarci per capire come limitare la pubblicità e come renderla meno ingannevole, questo è il mio invito che spero voglia accettare.
- Infine, e concludo, afferma che “Se è vero che le entrate fiscali derivanti dal gioco valgono svariati miliardi, è anche vero che i costi sociali dell’azzardopatia in Italia sono quasi altrettanti. E’ un gioco quasi a somma zero per lo Stato che incassa da una parte i soldi che poi deve spendere dall’altra. I malati d’azzardo in Italia sono circa un milione”: devo purtroppo contraddirla anche in questa affermazione, sperando che voglia fornire i dati di cui è in possesso (purtroppo non ci sono fonti nei suoi riferimenti). Non è vero che per lo Stato i proventi dal gioco sono pari a zero perché li deve reinvestire per curare i ludopatici. Lo Stato italiano ricava oltre 10 miliardi di euro l’anno sotto forma di gettito fiscale, mentre non ci sono dati ufficiali sulla spesa sanitaria per la cura del G.A.P. (Gioco d’Azzardo Patologico). In alcuni recenti articoli di autorevoli quotidiani e settimanali, si parla di 6 miliardi di euro secondo i dati del Ministero della Salute. Se fossero veri, ci sarebbe comunque un disavanzo a favore dello Stato di una cifra importante di oltre 4 miliardi di euro.
Per tutti questi motivi, le rinnovo l’invito ad incontrarci, so che il vostro movimento ha avuto successo proprio grazie all’ascolto delle esigenze e delle problematiche dei cittadini. Un confronto democratico è alla base della convivenza civile e della politica, per cui la invito ad incontrarci e ad ascoltare anche il nostro punto di vista, che rappresenta oltre 100.000 lavoratori, il cui indotto è di molto maggiore coinvolgendo anche il Calcio e i Media che dalla nostra pubblicità ottengono una sostenibilità economica di rilievo. Credo che coinvolgere nel dibattito e ascoltare i professionisti del settore sarebbe una scelta saggia e democratica, utile a trovare le soluzioni migliori per tutti, al fine di raggiungere l’obiettivo comune della battaglia alla ludopatia. Ritengo, come lei, che le slot machine fisiche rappresentino un vero problema nello sviluppo della ludopatia e vanno ostacolate, diversamente dai giochi a distanza che non presentano gli stessi pericoli e non raccolgono nemmeno lontanamente le spese fatte dai consumatori sulle slot machine fisiche. Riconosco il suo intento sincero – ha concluso Lindahl – per la tutela della salute degli italiani e lo condivido, ma troviamo un modo per renderlo veramente efficace e sostenibile, facendo i dovuti distinguo nel comparto giochi”. lp/AGIMEG