Il gioco d’azzardo patologico è certamente un fenomeno da tenere sotto controllo, ma tutti i maggiori istituti di ricerche concordano sul fatto che in Italia non sia diffuso come altre dipendenze e che anzi gli interventi degli ultimi anni, come il distanziometro o il divieto di pubblicità, siano inutili ed inefficaci per risolvere il problema. Anzi incrociando i dati dell’Istituto Superiore di Sanità – che esattamente un anno fa ha pubblicato la prima indagine nazionale – con altri dati sulle altre dipendenze, il GAP è solo all’ottavo posto (viene dopo fumo, alcool, social network, droga, smartphone, shopping compulsivo, sesso). L’ISS stima che in Italia ci siano circa 18 milioni di giocatori (il 36,4% della popolazione), la maggior parte però vengono definiti giocatori sociali, ovvero persone che giocano essenzialmente per divertimento e senza problemi (il 26,5% della popolazione, 13.435.000 individui). I giocatori a basso rischio sono circa il 4,1% (2.000.000 di residenti), i giocatori a rischio moderato sono il 2,8% (circa 1.400.000 persone). I giocatori problematici sono il 3% (circa 1.500.000 individui).
L’Eurispes, presentando qualche giorno fa la ricerca “Gioco pubblico e dipendenze nel Lazio”, realizzata dall’Osservatorio su Giochi, Legalità e Patologie, ha sottolineato che i giocatori effettivamente assistiti dai Dipartimenti delle Dipendenze Patologiche delle Asl – e quindi con una diagnosi di disturbo del gioco d’azzardo – siano appena 13.000. L’Eurispes si è quindi concentrato sulla situazione del Lazio e ha rilevato che i Ser.D. della Regione nel 2018 hanno preso in carico 16.822 persone. Di queste, 13.060 per dipendenza da droghe, 2.887 da alcol, 691 soggetti con Disturbo da Gioco d’Azzardo, 184 hanno altre dipendenza patologiche. Dunque, per ogni paziente con DGA preso in carico, ve ne sono 4,18 per alcol, 18,9 per droghe.
Risultati in qualche modo confermati dall’Istat, secondo cui giochi, lotterie e scommesse sono solo al 205° posto nella spesa delle famiglie. La spesa – secondo quanto emerge dall’indagine sui consumi delle famiglie italiane – è di 3,90 euro al mese, dato oltretutto in calo dell’8,9% rispetto all’anno scorso (4,28 euro) e addirittura del 30% circa rispetto a 5 anni fa (5,54 euro). Tabacchi e alcolici detengono posizioni decisamente più elevate, sono rispettivamente al 77° e al 78° posto, con 23,67 e 22,90 spesi ogni mese.
A fronte di questa situazione, Regioni e Comuni sono intervenuti per limitare il numero delle sale con delle misure che – secondo gli istituti di ricerca – si sono rivelate quantomeno inefficaci. Primo fra tutti il distanziometro, ovvero il divieto di aprire sale o istallare slot a meno di una certa distanza da chiese, scuole e altri luoghi sensibili. L’Eurispes evidenzia che il 10% dei giocatori problematici spesso sceglie delle sale distanti dall’abitazione, proprio per nascondere il disagio. E Doxa mette invece in evidenza che la maggior parte dei giocatori non ha alcun problema a spostarsi a una sala più lontana: si sposterebbe in un altro punto vendita il 69% dei giocatori delle scommesse sportive, il 65% dei giocatori delle Slot e il 61% dei giocatori Vlt. Solamente il 12%, emerge dallo studio, smetterebbe di giocare qualora chiudesse il luogo di gioco abituale.
Queste misure però hanno l’effetto di espellere il gioco delle città, a Roma – ad esempio – Eurispes stima che il 99% della superficie comunale sia off-limit per le sale. In sostanza, tutti gli esercizi a oggi attivi – 1.972 esercizi con AWP e 246 sale con VLT – sarebbero costretti a chiudere i battenti. Inevitabili le ripercussioni sull’occupazione, nel Lazio le imprese di settore danno lavoro a 16.254 persone, con il 95% dei posti di lavoro a rischio.
Discorso analogo per il divieto di pubblicità dei giochi, misura introdotta dal Governo con il decreto Dignità. Per l’ISS la pubblicità incide sul comportamento del 19,3% dei giocatori, e la percentuale secondo Nomisma scende addirittura al 5% nel caso dei Millennials. Di riflesso, per l’Istituto Friedman, il 58% delle persone ritiene che il divieto di pubblicità non sia una misura giusta ed efficace. Anche in questo caso le ripercussioni per il settore sono enormi, secondo la CGIA di Mestre lo stop alla pubblicità mette a rischio 17mila posti di lavoro. es/AGIMEG