Eventi: si è svolta ieri presso l’Università eCampus la tavola rotonda “Il futuro in gioco”

Negli ultimi decenni del secolo scorso il gioco d’azzardo si è profondamente trasformato: da attività residuale, concentrata nei casino e negli ippodromi o relegata alla clandestinità, è diventata una pratica sociale diffusa e legalizzata. Basta entrare in un bar tabacchi per accorgersi della varietà di prodotti a disposizione dei consumatori: lotterie istantanee, newslot, scommesse affiancano giochi tradizionali quali il Lotto e altri ormai dimenticati come il Totocalcio e le lotterie nazionali.
Il gioco è oggi una rilevante attività economica, sia in termini di fatturato che di numero di addetti, per non parlare degli introiti fiscali che finiscono nella casse statali; ma è anche oggetto di un acceso dibattito a causa dei suoi potenziali effetti (il gioco patologico) e della sua diffusione ormai dilagante.
Questo dibattito ha avuto un punto di svolta nel 2012, quando il Decreto Balduzzi ha per la prima volta introdotto alcune restrizioni al settore dopo un ventennio di politiche di legalizzazione del gioco. Nello stesso periodo iniziava la battaglia degli enti locali contro il proliferare dei punti vendita sul territorio.

Quali sono le sfide che l’azzardo pone oggi alle istituzioni, agli operatori e alla società civile? Il seminario ha affrontato questo fondamentale problema, interpellando relatori ed esperti che rappresentano posizioni eterogenee nel dibattito sul gioco.

Marco Pedroni, moderatore della tavola rotonda e docente di eCampus, ha aperto i lavori sottolineando i «filtri» che condizionano la nostra conoscenza dell’azzardo. Un filtro medico, innanzitutto, poiché il gioco è spesso raccontato in riferimento alle ludopatie e all’aumento dei costi sanitari e sociali per la cura dei giocatori problematici; ma anche un filtro economico, che oppone i sostenitori del gioco (impegnati a ricordare la sua rilevanza in termini di introiti fiscali e impatto occupazionale) e i suoi detrattori (concentrati sull’eccessiva spesa pro capite dei giocatori italiani). Infine, il filtro mediatico, ovvero il racconto degli organi di informazione centrato sul gioco come «oppio della miseria» − secondo la definizione che Croce dà del Lotto − e malattia che colpisce l’intero corpo sociale, alimentando l’idea che il denaro possa riscattare la marginalità sociale.
Pedroni ha inoltre tracciato una storia del gioco d’azzardo in Italia dal 1946, nascita della schedina Sisal, a oggi, distinguendo un’infanzia (fino alle metà degli anni ’80) in cui era possibile giocare in luoghi e momenti circoscritti (le ricevitorie, gli ippodromi, i casino); un’adolescenza di turbolente legalizzazioni, che copre gli anni ’90 e 2000 creando l’attuale panorama dei giochi; e l’inizio di un’età matura con il 2012, quando il Decreto Balduzzi e la rivolta degli enti locali (a colpi di leggi regionali e regolamenti comunicali anti-gioco) introducono le prime misure restrittive a un fenomeno cresciuto a dismisura.

Giampiero Moncada, giornalista di Toro Edizioni, ha analizzato criticamente il modo in cui il mondo giornalistico fa informazione sull’azzardo, denunciando errori grossolani in cui la stampa spesso incappa quando parla di gioco. Errori dovuti talvolta alla militanza delle testate, talvolta alla mancanza di verifica dei fatti, il cui esito è paradossale: anche i giornalisti che si propongono di combattere il gioco finiscono per creare le premesse di un ulteriore deterioramento del settore che, pur con tutti i suoi limiti, è ampiamente regolamentato dal legislatore, tanto che l’Italia è un modello normativo copiato da altri stati europei.

Alessandro Fermi, sottosegretario all’attuazione del programma della Regione Lombardia, ha illustrato le azioni che una regione può intraprendere per contrastare le derive del gioco d’azzardo e «rendere la vita difficile ai gestori di apparecchi da gioco». Con riferimento alla legge regionale lombarda 8/2013, Fermi ha elencato tra le priorità del legislatore regionale il contrasto a Newslot e VLT attraverso il cosiddetto «distanziometro», vale a dire la distanza di 500 metri da luoghi sensibili, quali, scuole, ospedali e luoghi di culto, imposta ai nuovi esercizi che ospitano slot machines; senza dimenticare l’importanza della prevenzione, con azioni mirate nelle scuole superiori, dove la dipendenza da gioco deve essere discussa e affrontata così come le più classiche dipendenze da sostanze (alcol e tabacco).

Roberto Pozzoli, presidente dell’Associazione Vinciamo il gioco, ha offerto un quadro dettagliato degli attori che compongono l’attuale panorama del gioco, da quelli istituzionali (governo, parlamento, etili locali, Agenzia delle dogane e monopoli) fino ai giocatori, evidenziando l’assenza di una risposta forte e comune ai problemi dei giocatori eccessivi. Giocatori che, quando richiedono aiuto, si trovano di fronte a una selva di interlocutori, pubblici e privati. Le associazioni che, come la sua, non combattono il gioco d’azzardo in sé, ma i suoi eccessi e le sue derive, offrono ai giocatori una rete di psicoterapeuti, svolgendo un prezioso ruolo di integrazione di servizi pubblici largamente lacunosi e sottofinanziati. Uno psicoterapeuta dell’Associazione, Luca Pievani, ha illustrato il caso concreto di una paziente, Maria, che a 38 anni e con un figlio di 3 perde il lavoro in banca perché scoperta a sottrarre denaro ai clienti per coprire i debiti contratti con il gioco. Storie come questa denunciano la fragilità di molte persone che mai avrebbero pensato di cadere nella ludopatia: fuorviate da un «errore cognitivo», quello di credere di poter vincere (a dispetto di tutte le evidenze statistiche che mostrano che a vincere è sempre il banco), molte persone come Maria sono attirate dalle nuove possibilità di gioco, sempre più numerose e compulsive.

Gli avvocati Roberto Melchiorre e Simone Facchinetti hanno concluso i lavori fornendo un punto di vista giuridico alla lettura del gioco. Gli strumenti a tutela del giocatore sono sostanzialmente deboli, così come le misure che le amministrazioni locali possono mettere in atto di fronte a un tema che è di stretta competenza dello Stato centrale. La concessione per l’apertura di un punto vendita è del resto subordinata solo al TULPS, che prescrive ai gestori il possesso di requisiti morali – troppo poco perché le questure possano ergersi a barriera contro il proliferare di nuovi punti vendita. lp/AGIMEG