Eurispes, Rapporto Italia 2021: tra i temi della 33esima edizione sostenibilità, politica, economia ed e-Sports. Fara (Pres. Eurispes): “La pandemia ha messo in discussione valori, interessi, scelte, etiche, priorità, prospettive”

Il Rapporto Italia Eurispes, giunto quest’anno alla 33a edizione, ruota attorno a 6 capitoli, ciascuno dei quali offre una lettura dicotomica della realtà esaminata. Ogni capitolo è illustrato attraverso i saggi e 60 schede fenomenologiche. Vengono affrontati, quindi, attraverso una lettura duale della realtà, temi che l’Istituto ritiene rappresentativi della attualità politica, economica e sociale del nostro Paese.
Le dicotomie tematiche individuate per il Rapporto Italia 2021 sono: Continuità/Frattura • Oikos/Kosmos • Sostenibilità/Insostenibilità Scienza/Coscienza• Salute/Malattia • Meridione/Settentrione. Ad arricchire il Rapporto, le indagini campionarie che, nell’edizione di quest’anno, hanno sondato alcuni dei temi tradizionalmente proposti dall’Eurispes e altri di recente interesse: la fiducia nelle Istituzioni, l’opinione su alcune delle misure proposte o introdotte dal Governo, la situazione economica delle famiglie e i consumi, l’idea di futuro tra i giovani, gli stereotipi e il politicamente corretto, i temi etici, gli stereotipi su Nord e Sud del Paese, il mondo degli animali, le nuove abitudini alimentari, lo stalking, la salute mentale e l’uso dei farmaci, l’informazione attraverso i media, il mondo dello scoutismo attraverso l’indagine condotta in collaborazione con l’Agesci, lo smart working, il cambiamento delle abitudini a causa della pandemia.
Nel Rapporto vengono, inoltre, affrontati attraverso le schede fenomenologiche diversi altri temi di stretta attualità come, ad esempio, i fenomeni migratori, la capacità di innovazione del Made in Italy, la moda sostenibile, la comunicazione veicolata attraverso i Social Network, gli E-Sport, la questione meridionale, le professioni del futuro, la valorizzazione del capitale umano, il fisco e le possibili riforme, la robotica e l’industria 4.0, la moda etica, la Scuola in digitale, gli alunni con bisogni educativi speciali, le smart cities e le nuove esigenze abitative, le infrastrutture.
Al Rapporto di quest’anno affidiamo il concetto di FUTURO, scelto come “parola chiave”, per sottolineare che la costruzione degli scenari futuri va al di là di una semplice proiezione della situazione presente: richiede una visione, una idea di futuro possibile, un sistema di valori di riferimento, un pensiero forte in grado di guidare le nostre azioni di oggi verso una direzione ben precisa.

Nelle considerazioni generali che aprono il Rapporto il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, ha voluto sottolineare: «La pandemia ha messo in discussione valori, interessi, scelte, etiche, priorità, prospettive. Ha ridisegnato alleanze, confini politici, rapporti tra Stati. Ha imposto nuovi percorsi economici e sociali. Ha messo in risalto fragilità e ritardi del sistema, inefficienze e incapacità nella gestione della complessità. Ha mostrato il fallimento delle pretese taumaturgiche delle autonomie regionali. Ma, soprattutto, ha fatto emergere la necessità di ricostruire una identità statuale compressa negli anni da una devoluzione verso il basso, le Regioni, e verso l’alto, l’Europa. Nello stesso tempo, ha archiviato l’idea che i cittadini possano sostituire efficacemente – e ad un livello etico supposto superiore – le Istituzioni politiche. Il Covid è anche il salutare ‘scapaccione educativo’ dato da un padre burbero e un po’ all’antica per richiamare il figlio scapestrato a più miti consigli e al senso di responsabilità. Un microscopico virus ha qualificato il gigantesco tema del futuro come “necessità” e imposto a tutte le generazioni l’urgenza di impegnarsi nella coltivazione di un pensiero a lungo termine.

Il Paese dis-organizzato, così come è oggi, non è in grado di sostenere le sfide che la pandemia ha lanciato. Senza una pacifica “rivoluzione culturale” saremo destinati all’oblio, ad una deriva dell’esserci senza essere, alla perdita di quel tanto di identità rimasta. Intanto, crescono l’insofferenza, l’insicurezza e la ricerca di un futuro possibile, ma soprattutto la richiesta di una guida sicura che liberi il Paese dall’incertezza e dall’approssimazione con le quali è stato condotto sin dall’inizio della pandemia. L’insediamento del Governo Draghi – frutto dell’incessante lavoro del Presidente della Repubblica – è il segno della raggiunta consapevolezza, tra le diverse forze politiche,
della gravità della situazione. Istituzioni litigiose, in contraddizione o distanti tra loro diffondono un senso di sfaldamento proprio laddove, invece, dovrebbe passare la percezione di un “serrate i ranghi” a ogni livello; di qui il disagio generale, l’incertezza del presente, la paura del futuro. l’arrivo della pandemia si inserisce in un quadro di grande difficoltà di un Paese segnato da una profonda crisi economica e sociale e da una crisi demografica che assottiglia di anno in anno il numero delle nascite. Insomma, un Paese sempre più povero e sempre più vecchio che, nello stesso tempo, registra il progressivo indebolimento dei ceti medi, vera spina dorsale della democrazia. Se, come diceva Shakespeare nel Giulio Cesare, «gli uomini in certi momenti sono padroni del loro destino», questo è il tempo di dimostrarlo dispiegando tutta la saggezza, l’impegno, il senso civico, lo spirito di collaborazione necessari senza inutili protagonismi e mettendo da parte ogni interesse personale. Di particolare importanza sono i cambiamenti che stanno intervenendo nelle nozioni di tempo, nel rapporto tra passato, presente e futuro; come nelle nozioni di spazio, nel rapporto tra locale, nazionale, internazionale, tra virtuale e reale. Quale futuro vogliamo costruire? La costruzione degli scenari futuri va al di là di una semplice proiezione della situazione presente: richiede una visione, una idea di futuro possibile, un sistema di valori di riferimento, in sostanza un pensiero forte in grado di guidare le nostre azioni di oggi verso una direzione ben precisa. In questo senso, valgono ancor oggi gli ammonimenti di uno dei padri della programmazione strategica, Hazan Özbekhan, co-fondatore e primo direttore del Club di Roma, 1968: «Programmare non è proiettare il presente nel futuro,
ma l’opposto, avere una idea di futuro da innestare nel presente».

FIDUCIA NELLE ISTITUZIONI: OTTIMO RISULTATO IN TERMINI DI CONSENSI PER IL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, PER LE FORZE ARMATE E LE FORZE DI POLIZIA. CALANO
LA MAGISTRATURA, LA CHIESA E I SINDACATI. L’OPERATO DEI PRESIDENTI DI REGIONE
DIVIDE A METÀ L’OPINIONE PUBBLICA CON UNA PREVALENZA DI SFIDUCIATI. EPPURE IN
MOLTI CHIEDONO MAGGIORE AUTONOMIA PER LE REGIONI (54,7%). L’ELEZIONE DIRETTA
DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ANCORA NON CONVINCE
Aumentano gli sfiduciati nei confronti dell’operato delle Istituzioni (+7,6%)
Nell’ultimo anno, aumenta il numero degli italiani che indicano una diminuzione della propria fiducia nei confronti delle Istituzioni del nostro Paese: dal 24,9% del 2020 al 32,5% del 2021.
Mattarella: il miglior risultato da inizio mandato. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, raccoglie invece il miglior risultato di fiducia da inizio mandato, con una quota di cittadini che esprime il proprio consenso pari al 57,7% e un aumento di 2,8 punti percentuali rispetto allo scorso anno.
Cresce anche il Parlamento, ma sempre con livelli bassi di consenso
Il Parlamento raccoglie, nel 2021, il 34,4% dell’apprezzamento dei cittadini (era il 25,4% nel 2020).
Cala l’apprezzamento nei confronti della Magistratura. Il consenso nei confronti della Magistratura passa dal 49,3% del 2020 al 47,7% raggiunto nel 2021. Un risultato comunque migliore del dato atteso.
Presidenti di Regione: uomini soli al comando. Prevalgono i giudizi negativi
Il 42,6% dei cittadini indicano un giudizio positivo per il proprio Presidente di Regione, mentre gli sfiduciati toccano quota 49%.
Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza: un punto fermo nella fiducia degli italiani
Nell’incertezza e nella variabilità manifestata dal giudizio generale nei confronti delle Istituzioni, le Forze dell’ordine e di polizia restano un faro e continuano a tracciare un segno importante della vicinanza tra i cittadini e il sistema istituzionale. Grande apprezzamento esprimono dunque i cittadini per la Polizia di Stato (69,2%), per l’Arma dei Carabinieri (64,7%) e per la Guardia di Finanza (67,7%).
L’Intelligence. Sei italiani su dieci si dicono fiduciosi nel lavoro della nostra Intelligence.
Le Forze Armate confermano gli altissimi livelli di fiducia degli anni passati
Continua ad essere apprezzato anche il lavoro delle Forze Armate registrando livelli alti di consenso: Esercito Italiano (71,5%) Aeronautica Militare (72,6%), Marina Militare (73,6%).
Gli altri Corpi. Dai dati emerge il larghissimo apprezzamento per i Vigili del Fuoco (87,7%); un diffuso consenso per la Polizia penitenziaria (64,3%) e, infine, un buon risultato anche per la Polizia locale (58,2%).
Le altre Istituzioni. Da un anno all’altro, restano stabili nei consensi in particolare per la Scuola (dal 65% nel 2020 al 66,5% rilevato nel 2021); la Protezione civile (dal 77,8% al 77,2%); l’Università che si mantiene sul 70% circa del grado di fiducia. Ugualmente stabili, ma con un tasso di fiducia molto meno importante, i Partiti si posizionano nell’ultima rilevazione al 27,2% (il dato era pari al 26,6% nel 2020).
In discesa i Sindacati: dal 46,4% del 2020 all’attuale 40%, e la Chiesa cattolica (-6,7%) che passa dal 53,4% dei fiduciosi al 46,7%.
Cresce in termini di consensi il Sistema sanitario nazionale: dal 65,4% del 2020 al 71,5% del 2021. Il 50,8% dei cittadini è sfiduciato nei confronti dell’Europa.
Come potrebbe cambiare il volto delle Istituzioni italiane?
Tra le possibilità proposte nell’indagine dell’Eurispes, l’abolizione delle Regioni raccoglie solo il 28,3% delle indicazioni favorevoli. Coerentemente, il 54,7% dei cittadini chiede una maggiore autonomia da affidare alle Regioni. Ben il 49,2% degli italiani si dichiara favorevole all’elezione diretta del Presidente della Repubblica, anche se i contrari sono la maggioranza: il 50,8%.
Come far ripartire l’economia? Secondo il 51,2%, dei cittadini sarà possibile superare la crisi economica solamente con un ruolo più forte dello Stato. Il 50,4% si dice favorevole nel replicare, per la realizzazione delle opere pubbliche nel nostro Paese, il modello “ponte di Genova”.
Spiega ancora il Presidente dell’Eurispes: «Il Pil non può crescere in un paese che invecchia e nello stesso tempo diminuisce in popolazione. L’economia per crescere ha bisogno di innovazione e della capacità di sapersi rapidamente adattare ai mutamenti imposti, di volta in volta, dal sistema globale. Un esempio tra i tanti possibili è quello del mancato ricambio generazionale nella Pubblica amministrazione. Personale, ormai per la gran parte in età, fatica quando non arranca, a confrontarsi con le nuove tecnologie e non riesce nemmeno a vedere la nuova sfida che le suddette tecnologie pongono alle Istituzioni e alla Amministrazione pubblica: quella della connessione, del dialogo fra pari, della trasparenza e orizzontalità delle relazioni. Pensare di poter avviare e gestire i necessari processi di digitalizzazione con personale appartenente culturalmente alla “galassia Gutenberg”, appare come una chimera. Vengono trattenute in servizio persone giunte alla soglia della vecchiaia, motivando tale scelta con il costo eccessivo che il loro pensionamento produrrebbe a carico del sistema previdenziale, ma non si considerano i vantaggi che l’immissione di nuove leve consentirebbe sia in termini occupazionali per le giovani generazioni sia in termini sociali e demografici e anche, forse soprattutto, in termini di efficacia ed efficienza. Sul piano culturale, un Paese vecchio e tendenzialmente conservatore non innova, si accontenta di gestire al meglio possibile il presente ed esalta il passato. Sul piano economico, consuma la ricchezza prodotta dalle generazioni precedenti e mortifica e impoverisce quelle future».

PESSISMISMO SUL FUTURO DELL’ECONOMIA DEL PAESE, EPPURE PER LA MAGGIOR PARTE DEI CITTADINI LA PROPRIA CONDIZIONE ECONOMICA NELL’ULTIMO ANNO È RIMASTA STABILE. SEGNALI POSITIVI SUL FRONTE DEL RISPARMIO, PESANO DI PIÙ MUTUO E AFFITTO. DIFFUSO IL RICORSO ALLE RATE
La condizione economica del Paese e quella familiare. Secondo le rilevazioni dell’Eurispes (2021), otto italiani su dieci (79,5%) avvertono un peggioramento (netto 54,4% o in parte 25,1%) dell’economia nazionale negli ultimi dodici mesi. L’11,6% ritiene che la situazione sia rimasta stabile, mentre solo il 3,8% indica un leggero (2,9%) o un netto (0,9%) miglioramento. A sottolineare l’eccezionalità della crisi generata dalla pandemia è il confronto con le risposte registrate nei 5 anni precedenti, quando è sempre prevalsa l’idea di una sostanziale stabilità nell’andamento della situazione economica del Paese e le opinioni sul peggioramento coinvolgevano meno della metà degli intervistati.
Rispetto al futuro dell’economia del nostro Paese prevale un sentimento di pessimismo con il 53,4% di chi si dice convinto che nei prossimi dodici mesi la situazione è destinata a peggiorare. Nonostante i giudizi negativi espressi sull’andamento dell’economia del Paese, gli italiani riferiscono, nel 42,4% dei casi, che la propria situazione economica negli ultimi dodici mesi è rimasta invariata.
Le difficoltà incontrate dalle famiglie
Rispetto al passato sono diminuite le famiglie che devono utilizzare i risparmi per arrivare a fine mese (37,1%, il massimo si è raggiunto proprio lo scorso anno con il 47,7%) e aumentate quelle che dichiarano di arrivare senza grandi difficoltà a fine mese (44,3%, superato solo nel 2017 con il 51,7%) e di riuscire a risparmiare (27,6%): tutti segnali positivi se non ci fosse la tendenza opposta per quanto riguarda l’incremento di quelle che hanno difficoltà a pagare la rata del mutuo (38,2%) e l’affitto (47,7%). Aumentano di poco le percentuali di quanti faticano a pagare le spese mediche (24,1%; +1,8%) e a pagare le utenze domestiche (27%; +1,1%).
Come fronteggiare le difficoltà: molti rateizzano
Il 28,5% dei cittadini afferma di essere dovuto ricorrere al sostegno economico della famiglia di origine, ma solo il 14,8% ha chiesto aiuto ad amici, colleghi o altri parenti. Il 15,1% ha fatto richiesta di un prestito bancario e quasi il doppio ha effettuato acquisti rateizzando il pagamento (28,7%). Circa un decimo del campione ha messo in atto i seguenti comportamenti: chiedere soldi in prestito a privati (non amici/parenti) non potendo accedere a prestiti bancari (9,4%); tornare a vivere nella casa della famiglia d’origine o dai suoceri (10%); vendere/perdere dei beni (11,4%); ritardi nel saldo del conto presso commercianti/artigiani (11,8%). Sono di più invece gli intervistati che hanno pagato le bollette con forte ritardo (22,4%) e che sono stati in arretrato con le rate del condominio (18%). Per quanto riguarda particolari situazioni lavorative, sono molto simili tra loro le percentuali di quanti hanno accettato di lavorare senza contratto (15,4%) e hanno svolto più di un lavoro contemporaneamente (15,1%).
Le rinunce: istruzione privata per i figli e acquisto dell’auto
Sul fronte dei servizi alla persona, fra chi ha figli in età scolare ha rinunciato all’istruzione privata il 41,1%; e nelle situazioni familiari in cui c’era la necessità di una badante ne ha fatto a meno un italiano su tre (33,4%), mentre in poco più di un caso su cinque sono state rimandate le visite mediche specialistiche (22,4%). Per quanto riguarda i consumi, gli italiani hanno rinunciato più spesso all’acquisto di una nuova automobile (37,3%), ma anche alle spese sulla casa (sostituzione di arredi/elettrodomestici 34,5% e
riparazioni/ristrutturazioni 34,2%); meno frequente il caso in cui è stata rimandata la riparazione del proprio auto/motoveicolo (23,9%).

Così secondo il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara: «Le criticità emerse hanno messo ancor più in risalto l’insieme dei segnali di malessere economico e sociale denunciati dal nostro Istituto nel corso degli anni. Le prime analisi segnalano un ulteriore impoverimento dei ceti medi che si inasprirà tra pochi mesi con lo sblocco dei licenziamenti. Ci troveremo allora a doverci confrontare con nuove forme di disagio e di conflitto sociale. Dovremo misurarci – e lo segnaliamo oggi – con una nuova, amara realtà: quella dei “conflitti di vicinato” se non, addirittura, di “pianerottolo”. Che cosa accadrà quando il licenziato del privato si incontrerà col vicino di casa dipendente pubblico che il proprio posto lo ha conservato? Avremo nuovi figli e figliastri e metteremo in moto ulteriori motivi di delegittimazione dell’Istituzione pubblica. Se, come tutti affermano, il nodo centrale è quello di far ripartire la crescita e rianimare i consumi interni, dobbiamo avere la consapevolezza che ciò non potrà avvenire se non attraverso una coraggiosa operazione di redistribuzione della ricchezza creata e di stimolo alla generazione di nuove fonti di ricchezza – dalle start up giovanili, agli investimenti diretti al Sud, al reinserimento nella filiera produttiva dei territori dell’Appennino grazie alla diffusione della banda larga e via dicendo. Un Paese imbrigliato, in ostaggio di una burocrazia asfissiante, di un sistema di regole di impronta feudale. La manutenzione ormai serve a poco perché la nostra dotazione infrastrutturale è talmente obsoleta che non vale più la pena di conservarla. Occorre demolire e ricostruire se veramente si vuole rilanciare l’economia nazionale».
Infine il Presidente Fara rilancia un’idea: «Nel corso degli anni, a più riprese, abbiamo segnalato l’idea di “smontare” tutti gli insediamenti industriali ormai obsoleti e quelli nei quali è cessata la produzione. Tra i tanti, il caso di Taranto è davvero emblematico e sofferto. Salutato all’inizio come panacea dei problemi occupazionali e, nello stesso tempo, come avanguardia del nuovo sviluppo industriale del Meridione, si è rivelato nel tempo un pozzo senza fondo che ha ingoiato un numero imprecisato di miliardi di euro. Nello stesso tempo, lo stabilimento è diventato una vera e propria centrale di produzione delle patologie più diverse segnalate puntualmente dalle autorità sanitarie regionali. Se si considera che oggi l’acciaio può essere acquistato a livello internazionale a prezzi notevolmente inferiori di quelli necessari per la sua produzione a Taranto, e che in una economia globalizzata ciascun
territorio dovrebbe cercare di valorizzare al meglio i propri asset e le proprie risorse, non resta che una soluzione: chiudere le acciaierie. A chi prospetta l’impoverimento del territorio e la perdita di migliaia di posti di lavoro si può segnalare che esistono soluzioni alternative. Coerentemente con le strategie a lungo termine dell’Unione europea, con i Piani nazionali per l’energia e il clima e con i Piani per la riqualificazione ambientale, le stesse
risorse, finanziarie e umane, impegnate per mantenere in vita lo stabilimento, possono essere utilizzate per smantellare gli impianti, bonificare il territorio e restituirlo alle sue naturali vocazioni. Secondo calcoli, sia pure approssimativi, occorrerebbero dieci anni circa per la prima fase, smontare gli impianti, altri dieci anni per bonificare il territorio e altri dieci anni per avviare una serie di attività alternative legate al settore del turismo, dei servizi, dell’ambiente, dell’agricoltura mantenendo gli stessi livelli occupazionali se non, addirittura, incrementandoli».

L’IDEA DEL FUTURO TRA I GIOVANI: PRIMA E DOPO LA PANDEMIA. UNA GRANDE INDAGINE INTERNAZIONALE
I valori della vita dei giovani tra i 18 e i 30 di Italia, Germania, Polonia e Russia sono fortemente orientati verso àmbiti che riguardano la vita sociale e privata, evidenziando, invece, una lontananza rispetto ai valori politici e a quelli spirituali. È quanto emerge da un’indagine realizzata nei quattro paesi europei sui giovani e la loro idea di futuro. L’iniziativa è promossa da un gruppo di esperti appartenenti a diversi enti: per l’Italia, l’Eurispes. I giovani della “generazione Covid” hanno dovuto affrontare una istruzione online prolungata, stress da isolamento, perdita di lavoro e di reddito e una serie di altri problemi legati a pesanti condizioni di incertezza e precarietà diffuse. Nell’indagine 2020 il primo elemento che emerge è una sorta di “apatia dei valori” espressa dai giovani italiani. Quasi tutti i valori, ai quali nel recente passato i giovani davano importanza rispetto al sistema dei valori dominanti, hanno registrato un calo sostanziale. Il massimo degrado si osserva nella serie dei valori etici. Un netto crollo è registrato per voci come “una vita onesta” (-22,5%), “il rispetto della legge” (-21,2%), “seguire ideali, princìpi” (-19,4%), “indipendenza personale, libertà” (-19%) e “l’istruzione” (-20,8%). Colpisce che nell’ultimo anno, in una situazione segnata da una mortalità crescente e diffusa e dagli appelli delle autorità e dall’enfasi della comunicazione a proteggersi dalla aggressione del virus, il valore “salute”, nelle valutazioni espresse “molto importante” ed “importante”, abbia ceduto la sua prima posizione al valore “democrazia”, inteso come richiesta di giustizia nella società, diritto di poter esprimere le proprie esigenze e di essere ascoltati (valore complessivo “democrazia” pari al 90,6%; valore “salute” pari all’85,9%; era pari al 97,8% nel 2018). Tutto ciò nonostante il fatto che il resto dei valori che si richiamano alla “politica”, siano rimasti in posizioni arretrate, come nelle precedenti indagini del 2018 e 2019. Sebbene il valore della “religione” come istituzione sociale, che prescrive un certo sistema di norme e orientamenti, non sia ancora apprezzato dalle giovani generazioni e che i luoghi di culto nel 2020 siano stati chiusi per l’auto-isolamento, la sua posizione è cresciuta dal 32,8% del 2018 al 38,7% nel 2020. Significativo anche che il massimo incremento rispetto al 2018 sia stato registrato dai valori “affari” (+10,4%) e “bellezza” (+11,2%). Per le giovani donne italiane la famiglia ha perso la sua importanza centrale. Le giovani donne italiane esprimono un duplice orientamento (verso la sfera sociale e professionale e verso la famiglia), che richiede un bilanciamento tra le esigenze della vita quotidiana e i progetti per il futuro. Esse riconoscono l’importanza dell’istruzione (79,1%) e della carriera (78,1%), del lavoro (81,1%) e del denaro (84,8%), dell’indipendenza e della libertà personale (77,5%), della libertà di parola (76,7%) e dell’adesione a ideali e princìpi (78,5%), così come l’importanza della famiglia (78,4%) e dei figli (78,3%) Tanta voglia di crescere: solo il 17,9% dei giovani italiani vuole restare con i genitori. Ma negli altri paesi c’è maggiore desiderio di autonomia. L’82,1% dei giovani italiani dichiara espressamente di volere intraprendere una vita indipendente in futuro e ritiene che l’età ottimale per questo cambio di vita sia di 23,7 anni (valore medio). Soltanto il 17,9% dei giovani vuole continuare a vivere con i propri genitori. Nel confronto internazionale la scelta di una vita indipendente sale, rispetto all’Italia, al 95% in Francia, 90,8% in Polonia, 90,4% in Russia. La volontà di rimanere con i genitori è più bassa nei suddetti paesi rispetto all’indicazione dei giovani italiani: è pari al 5% in Francia, al 9,2% in Polonia, al 9,6% in Russia.
Il timore di spiccare il volo per motivi economici. Tra i più poveri, un terzo dei giovani non vuole lasciare i genitori. La scelta dei giovani di voler rimanere in famiglia è pari al 24,6% tra le famiglie a basso reddito, al 18,3% nelle famiglie a reddito medio, al 13,8% nelle famiglie con reddito elevato.
Quanti figli vorresti? Le idee dei giovani italiani sul numero ideale di bambini (2,2 bambini) superano di poco la cifra necessaria per la semplice riproduzione generazionale (per gli altri paesi le indicazioni sono: Francia 2,0, Polonia, 2,2, Russia 2,0). Quando poi si collega questa proiezione ideale alle condizioni reali di vita dei giovani, il loro orientamento cala fino ad indicare un numero medio di 1,61 figli per donna. Anche se ci concentriamo solo sulle risposte dei giovani, i risultati sono quasi gli stessi: una media di 1,64 figli per donna (per gli altri paesi si registrano le seguenti indicazioni: Francia 1,1 figlio per donna, Polonia 2,0, Russia 1,5).
Il concetto di ricchezza e povertà e la loro valutazione. Secondo i giovani italiani, un’esistenza comoda e senza tensioni inutili si ottiene quando il reddito mensile raggiunge i 2.349 euro.
Quale reddito vorresti raggiungere tra 10-15 anni? Nel 2020, con il deterioramento della situazione reale dell’economia, i giovani italiani sono diventati più audaci nei loro piani per il futuro: le loro stime di reddito sono superiori del 40% rispetto alla media del 2019 (3.380 euro mensili) e hanno indicato una cifra pari a 4.368 euro come obiettivo. Occorre evidenziare però che le ragazze “sognano” meno in grande rispetto ai ragazzi: infatti, se questi ultimi si pongono come traguardo un reddito di 4.831 euro, le giovani si fermano a 3.878 euro.
Giovani: obiettivi da raggiungere e autorealizzazione. I giovani che hanno partecipato all’indagine dichiarano che, in media, hanno realizzato circa il 53% dei loro progetti e che in 10-15 anni, a loro avviso, questa percentuale salirà al 76%. Per fare un confronto, nell’anno pre-crisi 2019, la posizione di partenza era più alta (61,9%), ma la barra di raggiungimento è rimasta allo stesso livello: 75,3%. Pertanto, è ovvio che i giovani di età compresa tra i 18 ei 30 anni sono pronti a lottare per i loro obiettivi e a progredire cambiando le attuali condizioni di vita e lavorative; allo stesso tempo, riguardo alla seconda metà della loro esistenza, l’attuale gioventù lascia un margine di incertezza sulla propria autorealizzazione.
Privazioni ed esclusione sociale. Tra le indicate privazioni nel 2020, a causa della scarsa disponibilità di denaro, l’impossibilità di godere di un periodo di vacanze riguarda il 44,3%. Molto preoccupanti sono le risposte di quasi un quarto degli intervistati che hanno cessato di acquistare articoli per la casa realmente necessari alla famiglia (23,8%) e di pagare le cure mediche (22,7%). Fiduciosi nel futuro il 66% dei giovani italiani, anche più che in passato. Paradossalmente, l’epidemia da Coronavirus ha contribuito alla crescita (66,1%) della fiducia nel futuro (nel 2019 era pari al 55%), nonostante la mancanza di stabilità, l’aumento della disoccupazione e il calo dei redditi.
Lavoro e posizione professionale: cosa si aspettano i giovani nel futuro. Nell’indagine del 2019 era emerso che il 57,4% degli intervistati era generalmente soddisfatto del proprio lavoro e che solo il 13% di essi aveva l’intenzione di cambiare professione o campo di attività in futuro. La situazione nel 2020 ha portato a un aumento, più che raddoppiato, di coloro che hanno cambiato in modo significativo la visione del proprio futuro professionale, progettando di cambiare professione o àmbito di attività. Secondo l’indagine 2020, il 30,4% di coloro che hanno risposto a questa domanda intende apportare cambiamenti nella propria vita professionale. Molti hanno motivato questo desiderio con l’intenzione di avere una propria attività, impegnarsi nell’imprenditorialità, lavorare nel campo della  psicologia, delle risorse umane, del turismo, del fitness e dello sport. Quanto alla pianificazione della propria attività lavorativa, la maggior parte dei giovani si concentra nella ricerca di un posto di lavoro (35,2%), principalmente in un’impresa privata (23,6%) piuttosto che in una struttura pubblica (11,6%). Un quarto degli intervistati desidera avviare un’attività in proprio (24,9). Resta, comunque, il problema aperto del 13% dei giovani che rinunciano a programmare ogni ricerca di lavoro.

Aumenta la fiducia nel proprio Paese e anche negli anni che verranno. Il giudizio dei giovani sulla situazione attuale e nella prospettiva a 10-15 anni contrassegna generalmente l’Italia con giudizi positivi. Pur avendo attraversato un 2020 molto difficile, i giovani hanno indicato per l’Italia un “passo verso il futuro” con valore positivo, pari a +1,81 punti, superiore all’incremento dell’indicatore Paese del 2018, che segnava un aumento pari a +1,06 punti. La sfera sociale del Paese ha ricevuto, da parte dei giovani, il massimo indice di aumento nelle valutazioni relative alle prospettive future (10-15 anni) passando da una valutazione di 4,5 punti per la situazione attuale a 5,9 punti per quella futura e ponendo questo trend di miglioramento al primo posto rispetto agli altri àmbiti della vita comunitaria italiana. I punti di riferimento cambiano: aumenta nettamente l’apprezzamento per uomini di Stato e politici. Nel 2020, rispetto al 2019, si è verificato un cambiamento delle persone-leader indicate con riferimento ai diversi gruppi di persone autorevoli: i rappresentanti della cultura e dell’arte hanno perso la funzione guida (dal 40,4% al 9,3%) e gli sforzi dello Stato per combattere la pandemia hanno dato il loro risultato: la maggioranza dei giovani italiani ha trovato modelli di comportamento degni di imitazione tra i personaggi statali e politici (25,5% nel 2019 e 40,8% nel 2020). Gli atleti sono ancora considerati un modello di riferimento positivo, principalmente calciatori (23,6%), seguiti dagli artisti pop (20,8%) e scienziati (19,1%). Un modello di riferimento è stato riconosciuto, in termini accresciuti rispetto al passato, a rappresentanti delle imprese (2% nel 2019; 10,8% nel 2020), giornalisti televisivi e presentatori (con un aumento, per entrambi, dal 3,9% al 13,2%, rispettivamente). Molti meno esempi degni di comportamento sono stati rintracciati dai giovani tra religiosi (6,6%). Moltissimi sono infine i giovani che non hanno modelli di riferimento (23,3%).

Spiega il Presidente dell’Eurispes: «Il Covid-19 ha brutalmente messo a nudo le criticità alla base della costruzione Comunitaria ed evidenziato la necessità e l’urgenza di un cambio di strategia. Nello stesso tempo, il Covid ha salvato l’Unione europea perché l’ha costretta ad intervenire su punti di acuta sofferenza dei cittadini: l’economia, il lavoro e la salute. Il Covid ha anche rimesso in discussione le logiche finanziarie che avevano guidato l’azione della Ue negli ultimi anni e ha fatto capire come l’economia e la finanza non possano essere lasciate sole a decidere del destino di popoli e nazioni, e come gli Stati, e in questo caso l’Europa, nel loro insieme possano e debbano intervenire di fronte ad emergenze epocali, ma non solo. Questa azione rappresenta una grande occasione per la Ue per recuperare reputazione, ruolo e fiducia presso i cittadini, proprio nella fase in cui questi mostravano segni sempre più evidenti di insofferenza».

EUROPA: INDISPENSABILE PER USCIRE DALLA CRISI, MA DOBBIAMO CONTARE DI PIÙ COME STATO MEMBRO. SULL’ARRIVO DEI FONDI EUROPEI PREVALGONO I FIDUCIOSI, ANCHE SE DI POCO
I dati raccolti dall’Eurispes nel 2021 offrono una fotografia recente del rapporto tra gli italiani e l’Unione europea. Il grado di sfiducia espressa dagli italiani nei confronti dell’Europa è al 50,7%. Sebbene 1 italiano su 3 (33,5%) ritenga l’Europa fondamentale per uscire dalle grandi crisi, la metà dei cittadini (51%) è convinta che l’Italia sia uno Stato marginale all’interno della Ue e che subisce le decisioni altrui: contraddizioni e ambivalenze che mettono in chiaroscuro una questione cruciale e ad oggi di primo piano per il futuro del Paese. Non manca infatti chi ritiene che nella pandemia l’Unione europea abbia dimostrato la sua inutilità: la pensa in tal modo 1 italiano su 4 (26%). Per più di un terzo degli italiani (33,9%) i fondi del Recovery Fund arriveranno sicuramente, ma gli scettici raggiungono una quota pari a circa il 30%.

DONNE-UOMINI ANCORA OGGI TROPPE DISPARITÀ NEL LAVORO E NELLA SOCIETÀ. I PIÙ DISCRIMINATI: TRANSGENDER, SENZATETTO E ROM
Vale ancora la distinzione uomo/donna? Secondo i dati rilevati nell’indagine Eurispes (2021), le opinioni degli italiani si dividono esattamente a metà rispetto alle etichette tradizionali con cui identificare i generi sessuali (uomini e donne): per il 49,2% sono ancora valide, per il 50,8% sono troppo rigide. La maggioranza degli italiani ritiene che ancora oggi esista una disparità tra uomini e donne. Un trattamento non equo in base al genere viene attribuito soprattutto al mondo del lavoro, che secondo il 63,1% degli italiani penalizza le donne in termini di riconoscimento economico e possibilità di carriera. Secondo il 57,6% continua ad esserci disparità nella divisione degli impegni domestici, secondo il 55,5% nel
riconoscimento del ruolo nella società. Chi è più discriminato in Italia? I risultati indicano che sono considerati oggetto di discriminazione soprattutto le persone transgender (69,7%), i senzatetto (67,4%), i rom (65,3%); seguono le persone di colore (63,4%), gli omosessuali (63,2%), gli islamici (61,2%). Trattamenti ingiusti sarebbero riservati anche alle donne (56,8%) ed agli stranieri in generale (52,8%). I cittadini di religione ebraica sono oggetto di discriminazione per il 39,8% degli italiani, una quota minoritaria ma rilevante ed allarmante, che conferma la sopravvivenza di forme di antisemitismo.

NORD – SUD: UNA FOTOGRAFIA DELL’IDEA DEGLI ITALIANI SUGLI STEREOTIPI
Per quanto riguarda l’immagine del Settentrione, il Centro e il Sud rappresentano le zone in cui è maggiormente diffusa la percezione di intrattenere con i settentrionali rapporti indicati come normali (nel 70,5% e nel 70,3% dei casi). Rapporti con una connotazione più marcatamente positiva, descritti come di reciproca disponibilità o addirittura eccellenti, sono intessuti con maggiore frequenza, nell’ordine, nel Nord-Ovest (18,9%) e nel Nord-Est (18,6%) per quanto concerne il primo caso e nel Nord-Est (22,6%) seguito dal Nord-Ovest (16,9%) per quanto riguarda il secondo. Ostilità e insopportabilità sono vissute più intensamente nelle Isole (rispettivamente, nell’11,4% e nel 9,5% dei casi). L’espressione “pensano solo al lavoro” per descrivere l’indole dei Settentrionali è condivisa dal 52,1% degli italiani. Quella del loro alto senso civico è un’opinione particolarmente diffusa (59,8%). L’immagine del settentrionale freddo e distaccato resiste nel tempo: nel 62,3% dei casi non si è d’accordo con l’affermazione “i settentrionali sono molto aperti”. Più della metà degli intervistati (57%) ritiene non veritiera l’affermazione per cui gli abitanti del Nord sono razzisti. Per quanto riguarda invece l’idea del Meridione, sono gli abitanti del Centro Italia ad esprimere, in maggior misura, un giudizio di neutralità, descrivendo i loro rapporti con i meridionali come “normali” (64,5%). Rapporti non idilliaci sono vissuti più intensamente nelle regioni del Nord-Est, che fanno registrare il minor numero di risposte relative alla “reciproca disponibilità” (11,8%) e il maggior numero di risposte totalmente negative (rapporti “insopportabili” nel 7,3% dei casi). Nel 3,8% dei casi al Nord vengono indicati rapporti addirittura ostili. La maggioranza dei cittadini non condivide l’idea che i meridionali abbiano poca voglia di lavorare (67,7%). Quasi 7 italiani su 10 (68,2%)  ritengono che i meridionali siano generosi. Sulla presunta ignoranza e inciviltà dei meridionali il 24,2% si trova complessivamente d’accordo con la prima opzione, mentre la seconda trova riscontro nel 25,3% dei casi.

TEMI ETICI: FAVOREVOLI A TUTELA COPPIE DI FATTO, ETEROLOGA, EUTANASIA E
TESTAMENTO BIOLOGICO. NO A SUICIDIO ASSISTITO, ADOZIONI PER PERSONE DELLO
STESSO SESSO, DROGHE LEGGERE E PROSTITUZIONE
L’Eurispes conduce da diversi anni un’indagine volta a individuare i mutamenti culturali occorsi nel tempo e quelli ad oggi in atto rispetto a temi etici fortemente controversi.
Nel 2021 sono favorevoli alla tutela giuridica alle coppie di fatto indipendentemente dal sesso il 64,4% dei cittadini, nel 2020 erano il 67,8%, nel 2019 il 65,1%. Sette italiani su dieci (70,4%) sono a favore dell’eutanasia, con una perdita di quasi cinque punti percentuali rispetto al 2020 (75,2%); un risultato comunque in forte ascesa rispetto a qualche anno fa (55,2% di favorevoli nel 2015). Nel 2021 si dicono a favore del testamento biologico il 71,5% dei cittadini contro il 73,8% del 2020. Il suicidio assistito raccoglie la maggior parte di indicazioni contrarie (il 57,6%, nel 2020 erano il 54,6%). A favore delle unioni tra persone dello stesso sesso è il 58,4% degli italiani (+7,5% rispetto al 2019). Adottare bambini per le coppie formate da persone dello stesso sesso inizia ad essere un’ipotesi possibile (44,3%) anche se gli italiani restano nella maggior parte dei casi contrari (55,7%).
Il 44,7% dei cittadini esprime il proprio consenso alla legalizzazione delle droghe leggere e il 48,3% sarebbe favorevole a rendere legale la prostituzione. In entrambi i casi prevalgono però i contrari. La possibilità di ricorrere a donatori in un percorso di procreazione medicalmente assistita (fecondazione eterologa) nel 2021 trova il favore del 57,5% degli  italiani. Il tema del cosiddetto “utero in affitto” trova solo un parziale consenso presso l’opinione pubblica (40,2% dei casi), a fronte del 59,2% dei contrari.

IL MERCATO DELLA PSICHE VALE OGGI A LIVELLO GLOBALE UN MILIARDO DI EURO, MA IL  SSN INVESTE POCO NELL’ASSISTENZA PSICOLOGICA. I DATI RACCOLTI NELL’INDAGINE EURISPES INDICANO CHE IN ITALIA UN INTERVISTATO SU 5 (19%) HA ASSUNTO PSICOFARMACI NELL’ULTIMO ANNO. IL 27,2% SI È RIVOLTO AD UNO PSICOLOGO, IL 5,6% AD UNO PSICHIATRA
I dati della salute mentale: aumenta l’acquisto dei farmaci ansiolitici e antipsicotici. C’è il rischio di inappropriatezza prescrittiva Il monitoraggio Aifa (Agenzia italiana del farmaco) sull’acquisto di farmaci in Italia in corrispondenza con l’emergenza sanitaria registra un notevole aumento rispetto al 2019 nel consumo di ansiolitici. È stato anche rilevato, a marzo 2020, un incremento del consumo di antipsicotici. Il 20% della popolazione avrebbe sperimentato sintomi depressivi nel corso della pandemia (un’incidenza doppia rispetto al  periodo precedente) e sarebbero aumentati ansia e disturbi del sonno. Il Rapporto Osmed (Aifa) conferma che in Italia si consumano circa 12 milioni di confezioni di antipsicotici  l’anno. Se si considera che dei 49 milioni di confezioni di psicofarmaci venduti in Italia – dei quali 36,5 milioni di antidepressivi e 12 milioni di antipsicotici –, le confezioni di antidepressivi venduti in farmacia superano i 36 milioni, mentre 565.000 sono quelle fornite in distribuzione diretta (tramite i Servizi di salute mentale o gli ospedali), appare evidente il rischio di inappropriatezza prescrittiva. Il fatturato globale del settore è oggi stimato intorno ad un miliardo di euro (si è decuplicato in circa un ventennio), ma il Sistema sanitario nazionale continua ad investire poco nell’assistenza psicologica.
Dai dati della rilevazione dell’Eurispes. Secondo di dati dell’Eurispes, quasi un italiano su 5 (19%) ha assunto, nell’ultimo anno, farmaci come ansiolitici, antidepressivi, stabilizzatori dell’umore, antipsicotici, cioè i principali tipi di psicofarmaci. Gli ansiolitici ed i tranquillanti sono gli psicofarmaci più diffusi. Nell’ultimo anno il 72,9% di chi ha consumato almeno un tipo di psicofarmaco ne ha fatto uso sempre nell’8,5% dei casi, spesso nel 19,4%, qualche volta nel 45% e mai nel 27,1% dei casi. Seguono, per utilizzo, gli antidepressivi: se il 54% del sotto-campione non li ha mai assunti durante l’anno, il 5,6% lo ha fatto sempre, il 12,3% spesso, il 28,1% qualche volta. Rilevante la quota di chi si è rivolto ad uno psicologo: più di un quarto del campione (27,2%). Ad uno psichiatra si è rivolto il 5,6% degli intervistati, in un percorso che solitamente si avvale anche di una terapia farmacologica di supporto. La pratica meno diffusa è l’ipnosi, sperimentata nel 3,5% dei casi.

STALKING: UN ITALIANO SU DIECI HA SUBITO QUESTO REATO, PIÙ DELL’80% DELLE VITTIME NON DENUNCIA
Circa 1 cittadino su 10 riferisce di essere stato vittima di stalking, il fenomeno risulta essere cresciuto dell’1,4% rispetto a quanto rilevato nel 2020. I dati odierni sono allineati con le rilevazioni del 2014, quando si registrava una incidenza del 9,9% del reato. La percentuale più alta di vittime di stalking si concentra tra i 18 e i 24 anni (13%) e tra le donne, vittime 3 volte più degli uomini. In 1 caso su 4 (25,6%) lo stalker è l’ex partner della vittima. Solo il 13,7% delle vittime denuncia e la reazione al reato subìto nel 50% dei casi è l’autodifesa o nessuna reazione in attesa che lo stalker smettesse da solo di molestare.

L’INDAGINE EURISPES SUGLI STILI ALIMENTARI: STABILE IL NUMERO DEI VEGETARIANI, MOLTO DIFFUSE LE DIETE “SENZA” E L’USO DI INTEGRATORI
Ad abbracciare un regime alimentare tradizionale è l’85,2% degli intervistati, mentre la restante parte della popolazione si divide fra il 6,6% di coloro che affermano di non essere attualmente vegetariani ma di esserlo stati in passato e l’8,2% di chi si dichiara di essere vegetariano vegano. Per il 23,1% di quanti si sono dichiarati vegetariani o vegani questa scelta si inserisce in una più ampia filosofia di vita. Per il 21,3% la decisione si configura come salutista e per il 20,7% come rispettosa Molto diffuse le cosiddette diete “senza” e l’uso di integratori di diverso tipo. Il 31,4% degli italiani predilige prodotti senza zucchero, senza grassi aggiunti, senza l’uso di antibiotici, ecc.; il 23,5% sceglie prodotti che presentano al loro interno l’aggiunta di vitamine, minerali o altri nutrimenti; il 17,1% segue un’alimentazione arricchita regolarmente da integratori; il 17% sceglie prodotti privi di lattosio e il 13,8% privi di glutine.

ANIMALI: LI TROVIAMO IN 4 CASE SU 10 E LA TENDENZA È DI AVERNE PIÙ D’UNO. DA 31 A 100 EURO È LA SPESA MENSILE CHE VIENE LORO DEDICATA NEL 63,4% DEI CASI
Secondo la rilevazione dell’Eurispes, nel 2021, il 40,2% degli italiani accoglie animali nella propria casa; la tendenza è di averne più d’uno. Dal 2018 ad oggi risulta in progressivo aumento la quota di chi ha almeno un animale: 32,4% nel 2018, 33,6% nel 2019, 39,5%  nel 2020 e 40,2% nel 2021. Cane (43,6%) e gatto (35,1%) sono i più amati. Il 20,7% di chi ha un animale lo ha ricevuto in dono, il 19,3% lo ha preso in un canile/gattile, il 17,1% lo ha raccolto dalla strada, il 13% lo ha acquistato in un allevamento, il 12,3% lo ha comprato in un negozio di animali, l’11,4% lo ha acquistato da conoscenti o privati, il 5,7% ha tenuto il cucciolo di un animale che possedeva già e lo 0,5% lo ha acquistato attraverso la Rete. Il 63,4% di chi ha almeno un animale domestico spende da 31 a 100 euro al mese. Oltre la metà degli italiani, il 53,7%, decide di far sterilizzare il proprio animale domestico, cui si potrebbe aggiungere un potenziale 21,1% che non lo ha ancora fatto ma non esclude del tutto questa ipotesi.

IL FENOMENO E-SPORTS
Nel Rapporto Italia Eurispes 2021, spazio anche agli e-Sports. In Italia stanno nascendo locali che uniscono le caratteristiche del classico bar o pub con quelle di una moderna sala giochi, quale conseguenza della crescente diffusione del fenomeno E-Sports anche nel nostro Paese. Si tratta di luoghi di svago più che di allenamento, ove vedere in diretta le competizioni dei principali incontri “e-sportivi” a livello nazionale e internazionale. La sfida sarà comprendere quale possa essere il modello di business più adatto al nostro mercato. Il percorso di riconoscimento degli E-Sports. Il Comitato Olimpico Internazionale ha sottolineato che il movimento olimpico non può ignorare la crescita degli sport virtuali, prendendo atto che il videogioco competitivo comporta un’attività fisica paragonabile a quella richiesta negli sport più tradizionali. Nel Rapporto Italia 2020 l’Eurispes poneva l’accento sulla necessità di ottenere un riconoscimento giuridico, nell’ambito del diritto sportivo, dei videogiochi che rispecchino i valori sanciti nella Carta Olimpica. Ciò consentirebbe anche di controllare le situazioni di rischio come scommesse illecite e comportamenti illegali. Con nota del 22 maggio 2020 il presidente del CONI dava atto di aver condiviso con la Giunta Nazionale la relazione sugli sport elettronici presentata dal Presidente del Comitato Promotore E-Sports Italia, con la quale si evidenziava, fra l’altro, l’esigenza prioritaria di un soggetto rappresentativo di tutte le realtà nazionali ed in linea con i princìpi dell’ordinamento sportivo. Ad un anno di distanza, si segnala che il percorso di riconoscimento è stato tracciato, ma resta aperta la questione su quali sport elettronici potranno essere riconosciuti nell’ambito del diritto sportivo. Sul punto si segnala che nel corso di un vertice del 12 dicembre 2020, i rappresentanti del CIO hanno fornito alcune indicazioni importanti, effettuando una distinzione tra quattro categorie di videogiochi: gli sport virtuali in cui è presente l’attività fisica del giocatore; gli sport virtuali dove non vi è la componente fisica; i giochi di fantasia e strategia; i giochi di puro intrattenimento. Per il momento, il CIO ha esortato le Federazioni Internazionali a riconoscere la prima categoria, con particolare attenzione alla regolamentazione della concorrenza leale, al rispetto dei valori dello sport ed al raggiungimento di un nuovo pubblico. Si registra inoltre una situazione anomala che si sta verificando in Italia: da una parte il nostro Paese è in estremo ritardo rispetto a Francia, Germania e Spagna per quanto riguarda lo sviluppo di infrastrutture dove si può giocare e competere con i videogiochi; dall’altra, sul piano istituzionale, sta facendo da apripista a livello giuridico e regolamentare, grazie al lavoro del Comitato Promotore E-Sport Italia – CONI, alla collaborazione dell’Eurispes e di alcuni fra i principali Atenei italiani.

SI STIMA CHE NEL CORSO DEL 2021 L’INDUSTRIA DEGLI SPORT ELETTRONICI A LIVELLO MONDIALE RAGGIUNGERÀ 1,5 MILIARDI DI DOLLARI DI VALORE. IN ITALIA 8 PERSONE SU 10 DICHIARANO DI AVER GIOCATO CON UN VIDEOGIOCO ALMENO UNA VOLTA NEGLI ULTIMI 6 MESI (EUROMEDIA RESEARCH – MULTIPLAYER.IT). NEL NOSTRO PAESE INOLTRE 466MILA PERSONE (+33% RISPETTO ALL’ANNO PRECEDENTE) SEGUONO QUOTIDIANAMENTE EVENTI BASATI SULLE COMPETIZIONI DI VIDEOGIOCHI, E QUESTO BACINO DI UTENZA SI ESPANDE A CIRCA 1.410.000 PERSONE (+20%) SE SI CONSIDERA ANCHE CHI SEGUE UN EVENTO DI E-SPORTS PIÙ VOLTE A SETTIMANA. INOLTRE, È DIFFUSA L’IDEA CHE GLI ESPORTS SOSTENGANO LO SVILUPPO DI UN AMBIENTE APERTO E INCLUSIVO (66%) (NIELSEN 2020). IN ITALIA STANNO NASCENDO LOCALI CHE UNISCONO LE CARATTERISTICHE DEL CLASSICO BAR O PUB CON QUELLE DI UNA MODERNA SALA GIOCHI, QUALE CONSEGUENZA DELLA CRESCENTE DIFFUSIONE DEL FENOMENO E-SPORTS ANCHE NEL NOSTRO PAESE. SI TRATTA DI LUOGHI DI SVAGO PIÙ CHE DI ALLENAMENTO, OVE VEDERE IN DIRETTA LE COMPETIZIONI DEI PRINCIPALI INCONTRI “E-SPORTIVI” A LIVELLO NAZIONALE E INTERNAZIONALE.
IL COMITATO OLIMPICO INTERNAZIONALE HA SOTTOLINEATO CHE IL MOVIMENTO OLIMPICO NON PUÒ IGNORARE LA CRESCITA DEGLI SPORT VIRTUALI. NEL RAPPORTO ITALIA 2020 L’EURISPES PONEVA L’ACCENTO SULLA NECESSITÀ DI OTTENERE UN RICONOSCIMENTO GIURIDICO, NELL’AMBITO DEL DIRITTO SPORTIVO, DEI VIDEOGIOCHI CHE RISPECCHINO I VALORI SANCITI NELLA CARTA OLIMPICA. PER IL MOMENTO, IL CIO HA ESORTATO LE FEDERAZIONI INTERNAZIONALI A RICONOSCERE GLI SPORT VIRTUALI IN CUI È PRESENTE L’ATTIVITÀ FISICA DEL GIOCATORE, CON PARTICOLARE ATTENZIONE ALLA REGOLAMENTAZIONE DELLA CONCORRENZA LEALE, AL RISPETTO DEI VALORI DELLO SPORT ED AL RAGGIUNGIMENTO DI UN NUOVO PUBBLICO. lp/AGIMEG