“Noi abbiamo sempre sostenuto che la domanda di gioco esiste a prescindere, non è la pubblicità che aumenta la domanda, viceversa la indirizza solamente. La pubblicità del gioco legale indirizza i giocatori sui canali leciti, mentre eliminandola sappiamo quanto è facile, soprattutto nell’online, per i siti illegali targettizzare i giocatori italiani”. E’ quanto ha dichiarato ad Agimeg Barbara Beltrami (Country Manager Italia Unibet), commentando i due anni dall’entrata in vigore del Decreto Dignità. “Il divieto di pubblicità di giochi e scommesse ha avuto un impatto più sui giocatori che sugli operatori. Sulle piattaforme legali il giocatore ha tutte le tutele settate appositamente per proteggerlo. Da questo punto di vista l’Italia è stata un faro della regolamentazione europee, ma ora tutto questo sforzo è andato vanificato. I giocatori rischiano di finire nelle maglie del gioco illegale, gestito dalla criminalità organizzata. Le istituzioni dovrebbero porsi delle domande. Il provvedimento è stato dettato da un intento buono – ha affermato la Beltrami – che era quello di tutelare il giocatore, senza però conoscere a fondo il settore, senza interrogarsi su cosa ciò avrebbe comportato. Viceversa, con il decreto dignità si è penalizzato chi è stato sempre a fianco dello Stato dando un’offerta di gioco sicura – ricordiamo tutte le misure antiriciclaggio a cui siamo sottoposti – e chi in questo mercato ha investito per anni in licenze e comunicazione, generando un indotto positivo. Senza contare che la misura è andata a scapito dell’erario e della tutela del giocatore. A distanza di 1 anno dall’entrata effettiva del divieto di pubblicità (scattata il 15 luglio 2019 ndr) è difficile valutare l’impatto sugli operatori, anche perché negli ultimi mesi, a causa dell’emergenza Covid, lo sport è stato fermo. Sicuramente giochi online come poker e casinò games hanno avuto un incremento, che è tuttavia andato a colmare il calo registrato da altri prodotti. Non abbiamo visto una crescita di mercato – ha detto ancora la Beltrami – ma a differenza dell’offline che si è fermato, l’online è andato avanti. Ovviamente i brand focalizzati sullo sportbook ne hanno risentito, altri più focalizzati sui giochi da casino’ di meno. Tuttavia non dimentichiamo che l’online rappresenta una piccola percentuale del totale dell’industria del gioco, circa il 7%; con la chiusura totale dell’offline ci si poteva aspettare un grandissimo incremento, cosa non avvenuta. I volumi del fisico non si sono trasferiti sull’online, c’è allora da chiedersi dove siano finiti. Un’altra prova indicativa che il divieto di pubblicità non serve potenzialmente a nulla. Il giocatore se vuole giocare sa dove cercare, la pubblicità influisce sul tipo di offerta, ma non spinge al gioco”, conclude. cr/AGIMEG