Corte dei Conti, inaugurazione Anno Giudiziario 2025: tutte le pronunce e sentenze sul settore del gioco

A Roma, nell’Aula delle Sezioni riunite della Corte dei conti, alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e delle più alte cariche istituzionali, ha avuto luogo la cerimonia di Inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2025.

Il Presidente della Corte dei conti, Guido Carlino, ha svolto la relazione sull’attività svolta dall’Istituto nel 2024. Sono intervenuti il Procuratore generale, Pio Silvestri, e il Presidente del Consiglio nazionale forense, Francesco Greco.

Diversi i riferimenti al gioco nelle relazioni illustrate in questa occasione dalla Corte dei conti. Nel documento della Procura Generale, le più significative pronunce riguardanti gravami interposti avverso le sentenze delle Sezioni territoriali nei giudizi ad istanza di parte: “La Sezione Prima giurisdizionale di Appello, con la sentenza n. 105/2024, ha rigettato l’appello proposto nei confronti dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, nonché nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, confermando la sentenza di primo grado con cui il primo giudicante aveva rigettato il ricorso in riassunzione (dopo la declinatoria di giurisdizione da parte del Giudice ordinario), ai sensi dell’art.172, co. 2, lett. d), c.g.c., di un titolare di una ricevitoria del lotto volto ad ottenere l’annullamento di un’ingiunzione di pagamento ex art. 3, R.D. n. 639/2010 per il mancato riversamento di proventi di spettanza erariale derivanti dalla raccolta del gioco del lotto. Il giudice dell’impugnazione ha, in primo luogo, affermato la giurisdizione contabile trattandosi di una materia, quella della gestione del gioco del lotto, riservata allo Stato (sia nell’ipotesi in cui sia gestita in proprio, sia nel caso in cui si agisca per mezzo di concessionario) i cui proventi costituiscono entrate per il pubblico erario essendo, oltretutto, indicati tra le voci di entrata del conto consuntivo statale (sotto la denominazione “Lotto”). In secondo luogo, ha affermato che il ricevitore del lotto è non solo un agente contabile, avendo maneggio di denaro per la riscossione di incassi di giocate e per i pagamenti di vincite ai giocatori (ex art. 178 R.D. n. 827/1924), ma è altresì tenuto ad eseguire il versamento delle somme alle scadenze stabilite senza eccezione di sorta, in virtù del c.d. principio del non riscosso per riscosso, previsto dall’art. 191 del R.D. citato. Nel merito, ha confermato il decisum di prime cure, escludendo, ai sensi dell’art.194 del R.D. n. 827/1924, che la dimostrazione del furto di denaro potesse considerarsi quale causa di forza maggiore o comunque fatto allo stesso agente non imputabile. La responsabilità contabile derivante dall’indebito maneggio di risorse pubbliche – danaro o valori che siano – comporta, per giurisprudenza costante (ex multis, Sez. giur. App. III, sent. n. 444/2023; Sez. giur. App. II, sent. n. 15/2021; Sez. giur. App. III, sent. n.188/2020), l’inversione dell’onere della prova, gravando sul titolare della ricevitoria l’onere di provare, ai sensi degli artt. 178 e 194 R.D. n. 827 del 23 maggio 1924, che l’ammanco sia avvenuto per causa di forza maggiore o per fatti a lui non imputabili”, si legge.

Con riguardo alle pronunce d’appello in materia di conti giudiziali, “la sentenza della Sezione Prima giurisdizionale di Appello n. 228/2024 ha, invece, approfondito i limiti della rilevanza giuridica dell’incapacità processuale e di quella naturale in materia di responsabilità dell’agente contabile. La capacità di stare in giudizio, intesa come idoneità psichica della parte a partecipare al processo, non scema in assenza di una conclamata incapacità legale (cfr. Cass. 17914/2022) ed è direttamente accertabile dal giudice contabile in quanto avente natura di questione pregiudiziale di rito, senza implicare la sospensione per pregiudizialità sancita dall’art. 14 c.g.c. La capacità naturale, invece, intesa come capacità di intendere e di volere, pur ricadente nell’ambito applicativo dell’art. 14 c.g.c., può essere accertata solo incidentalmente dalla Corte dei conti – ossia senza l’efficacia di giudicato sulla questione, in quanto la cognizione in via principale rientra nella giurisdizione dell’A.G.O. -, al solo fine di vagliarne la ricorrenza e l’eventuale incidenza sull’imputabilità delle condotte contestate al convenuto. La pronuncia in questione, riconducendo la natura della responsabilità amministrativo-contabile a quella “aquiliana” ha ritenuto applicabile, in tema di imputabilità del fatto dannoso, l’art. 2046 c.c., spettando al giudice accertare, caso per caso, se, in relazione all’età, allo sviluppo fisico-psichico, alle modalità del fatto o ad altre ragioni, debba escludersi o meno la capacità di intendere o di volere del danneggiante (amplius et ex plurimis, Cass., n. 11163/90). Nella fattispecie, la Sezione ha escluso, per mancanza di adeguate evidenze probatorie, che l’asserita incapacità naturale da ludopatia del titolare di una concessione di ricevitoria del gioco del lotto, derivante da pregresso volontario utilizzo di sostanze stupefacenti e alcoliche (e, dunque, causata da propria colpa), fosse stata dirimente al fine di poter affermare l’inimputabilità ex art. 2046 c.c. del comportamento appropriativo illecito del medesimo, foriero di danno erariale”.

Numerose delle pronunce adottate dalle Sezioni territoriali e dalle Sezioni di Appello hanno riguardato questioni pregiudiziali di rito e preliminari di merito. In riferimento alle decisioni che si sono soffermate sulla natura del soggetto danneggiato: “La Sezione Seconda giurisdizionale di Appello, nella sentenza n. 209/2024, ha affermato che il concessionario di attività riservata – quale il gioco e la scommessa – si comporta esclusivamente come soggetto delegato alla riscossione, sicché nel momento in cui incassa gli introiti delle scommesse, viene a trovarsi nella condizione di gestire – con obbligo di riversamento – somme che sono già acquisite al patrimonio dello Stato, con conseguente sussistenza della giurisdizione contabile in caso di omesso riversamento. A riprova dell’assunto soccorre la disciplina contenuta nell’art 24 del D.L. n. 98/2011, conv. dalla L. n. 111/2011, che riserva allo Stato (Amministrazione autonoma dei monopoli) il controllo continuo sulle giocate, anche allo scopo di verificarne la tempestiva e concreta rispondenza rispetto ai versamenti effettuati dai concessionari abilitati alla raccolta dei giochi, con iscrizione diretta nei ruoli in caso di omesso riversamento (comma 1). Se vi è pericolo per la riscossione l’Ufficio provvede, anche prima della liquidazione prevista dal comma 1, al controllo della tempestiva effettuazione dei versamenti dell’imposta unica di cui al decreto legislativo n. 504 /1998 (comma 3), e le somme che, a seguito dei controlli automatizzati effettuati ai sensi del comma 1 risultano dovute a titolo d’imposta unica, nonché di interessi e di sanzioni per ritardato od omesso versamento, sono iscritte direttamente nei ruoli resi esecutivi a titolo definitivo (comma 4)”.

Infine sul danno all’immagine: “La Sezione Prima giurisdizionale di Appello, con sentenza n. 228/2024, ha ritenuto che il concessionario di una ricevitoria del lotto inottemperante al riversamento delle giocate cagioni un danno da disservizio pari all’aggio corrispostogli. Si è osservato che il mancato riversamento delle giocate non comporta solamente un danno patrimoniale da mancato incameramento di un’entrata, ma, altresì, la frustrazione della fondamentale attività di servizio pubblico affidatagli in concessione (i.e.: il corretto funzionamento della rete territoriale di raccolta del gioco, a tutela della sicurezza dell’utente e dell’integrità dei flussi economici ritratti dalla stessa amministrazione finanziaria), per la quale è attribuito l’aggio quale modalità di remunerazione della prestazione resa. Pregiudizio quantificabile in via equitativa, ex art. 1226 c.c., e che trova sicuro e preciso parametro nella stessa misura del corrispettivo spettante al ricevitore del lotto – l’aggio, pari all’8% della giocata – proprio per adempiere a quei doveri di servizio rimasti completamente inevasi”.

Anche nel corso del 2024 la Corte costituzionale ha esaminato numerose questioni rientranti nelle materie della contabilità pubblica e della responsabilità erariale. Se ne riportano alcune che appaiono di più rilevante interesse – si legge nella Relazione sull’attività svolta dalla Corte dei Conti per il 2024.

In riferimento al Reddito di Cittadinanza, “È stata portata all’attenzione del Giudice delle leggi un’interessante questione di costituzionalità afferente agli artt. 3, c. 11, e 7, cc. 1 e 2, del d.l. n. 4/2019, come convertito, in riferimento agli artt. 2 e 27 Cost., nonché ai principi «di uguaglianza sostanziale» e «di tassatività» delle norme penali, di cui agli artt. 3, c. 2, e 25 Cost. In particolare, le norme richiamate – che riguardano le informazioni reddituali che è tenuto a fornire chi voglia conseguire il reddito di cittadinanza – sono state giudicate dal Tribunale rimettente censurabili, in relazione alle somme frutto di vincite al gioco, sotto un triplice profilo: in primis, violerebbero il principio di tassatività, poiché sanzionano l’omessa dichiarazione e comunicazione di «informazioni dovute», senza tuttavia un chiaro rimando a quali informazioni si intendano ed, inoltre, la citata disposizione di cui all’art. 7, c. 2, sarebbe carente dell’indicazione delle modalità con cui comunicare le vincite; infine, le norme de quibus rinvierebbero implicitamente alla previsione del t.u. delle imposte sui redditi, secondo cui le vincite da gioco costituirebbero reddito per l’intero ammontare percepito nel periodo d’imposta, senza alcuna deduzione, con ciò producendo l’effetto distorsivo che il reddito del richiedente risulti incrementato e, quindi, eccedente la soglia di accesso al sussidio, laddove tuttavia non sarebbe in concreto aumentata la sua ricchezza. La Corte costituzionale – con la sentenza n. 54/2024 – ha giudicato infondate tutte le questioni prospettate all’esito di un accurato percorso argomentativo, in cui ha, preliminarmente, ricordato i termini nei quali viene condotta la verifica del rispetto del principio di tassatività di cui all’art. 25 Cost., sottolineando come l’impiego, nella formula descrittiva dell’illecito, “di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero di clausole generali o concetti elastici” non determini una violazione di tale parametro costituzionale, “quando la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta comunque al giudice – avuto riguardo alle finalità perseguite dall’incriminazione ed al più ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca – di stabilire il significato di tale elemento mediante un’operazione interpretativa non esorbitante dall’ordinario compito a lui affidato: quando cioè quella descrizione consenta di esprimere un giudizio di corrispondenza della fattispecie concreta alla fattispecie astratta, sorretto da un fondamento ermeneutico controllabile; e, correlativamente, permetta al destinatario della norma di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore precettivo “(sentenza n. 25 del 2019; nello stesso senso, sentenze n. 172 del 2014, n. 282 del 2010, n. 21 del 2009, n. 327 del 2008 e n. 5 del 2004) – (sentenza n. 141 del 2019). “ Alla stregua delle descritte coordinate interpretative, le norme contestate sono state giudicate esenti dai denunciati vizi, rilevando come – da un lato – l’art. 7 contiene la figura di reato che il legislatore ha inteso appositamente introdurre per sanzionare le condotte illecite connesse alla percezione di tale beneficio, sicché l’espressione informazioni dovute ivi contenuta “per quanto sommaria e non ulteriormente declinata in contenuti analitici, non può che collegarsi in via immediata ai requisiti previsti per l’accesso e per il godimento continuativo del Rdc, stabiliti dall’art. 2, comma 1, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito“ e – dall’altro – l’identificazione degli elementi reddituali a tal fine rilevanti sia comunque ricostruibile “nonostante una complessa serie di rimandi normativi “: ciò, anche in considerazione del fatto che “sul piano pratico, a fronte della suddetta complessità, va considerata anche la possibilità, riconosciuta dall’art. 5, comma 1, del suddetto decreto, di presentare le richieste del Rdc presso i centri di assistenza fiscale “. Infine, giova soffermarsi sulle significative osservazioni svolte dalla Consulta in merito alla dedotta violazione del principio di uguaglianza sostanziale, ex art. 3 Cost., nella suggestiva prospettazione del giudice rimettente con riguardo alla persona “che, pur titolare di un’importante vincita lorda, è in realtà rimasta povera, perché tale vincita non ha per nulla incrementato la sua ricchezza, una volta considerata al netto delle giocate effettuate, che per la normativa fiscale non rilevano“. La censura investe, infatti, in termini più ampi il rapporto tra il sussidio e l’impiego dello stesso, nonché l’impatto di un potenziale saldo negativo nelle somme spese per il gioco. Il Giudice delle leggi – nel respingere sotto ogni profilo le questioni poste – ha richiamato, in primo luogo, la natura del reddito di cittadinanza che – si è ribadito – “pur presentando anche tratti propri di una misura di contrasto alla povertà, non si risolve in una provvidenza assistenziale diretta a soddisfare un bisogno primario dell’individuo, ma persegue diversi e più articolati obiettivi di politica attiva del lavoro e di integrazione sociale“ e l’espresso divieto normativo “di utilizzo del beneficio economico per giochi che prevedono vincite in denaro o altre utilità “ (art. 5, c. 6, sesto periodo, del d.l. n. 4/2019): sicché ha escluso ogni possibile violazione del principio di uguaglianza a fronte di comportamenti palesemente illeciti, dei cui effetti non può farsi certo carico il legislatore. Quindi ha evidenziato che – sotto diverso profilo – parimenti non v’è vizio nelle norme censurate laddove è sanzionata l’omessa resa di tutte le informazioni reddituali per accedere al beneficio, tra le quali rientrano le vincite ai giochi, osservando, altresì, che nemmeno ha rilievo sul piano della costituzionalità delle stesse che il soggetto richiedente possa avere un saldo negativo tra vincite e perdite al gioco, atteso che la vincita una volta ottenuta, entra comunque nella disponibilità del soggetto. In tali termini la Corte ha concluso che le giocate (anche con le modalità on line, che constano di un conto gioco) hanno “il carattere di una qualunque spesa, in questo caso voluttuaria, che la persona ha effettuato con un reddito di cui ha la disponibilità, coincidente con l’accreditamento delle vincite sul suo conto gioco; non si può, quindi, pretendere che la solidarietà pubblica si faccia carico di una spesa di tal genere. (…) Da quanto precede si chiarisce che il Rdc risulta strutturato in modo da non poter venire in aiuto alle persone che, in forza delle vincite lorde da gioco conseguite nel periodo precedente alla richiesta, superino le soglie reddituali di accesso, anche se, a causa delle perdite subite, sono rimaste comunque povere. Da ciò consegue, non irragionevolmente, la pena prevista dall’indubbiato art. 7, comma 1, di chi, ai fini dell’ammissione al beneficio, non dichiari le vincite lorde ottenute rilevanti per la determinazione dell’ISEE. “.

Sul danno per mancata entrata: “Nel caso di danno da mancata entrata cagionato dal titolare di ricevitoria del lotto che non ha versato all’amministrazione le somme riconducibili alle giocate effettuate, ove la Procura non abbia formulato alcuna domanda intesa a ottenere rimedio anche per l’infruttuoso decorso del tempo, non si può fare applicazione dell’art. 33, c. 2 , l. n. 724/1994 (che assoggetta il ritardato versamento dei proventi del gioco del lotto anche al pagamento degli interessi nella misura di una volta e mezzo gli interessi legali), sicché all’importo della condanna vanno aggiunti i soli interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza fino all’effettivo soddisfo (sent. n. 46/2024, Friuli-Venezia Giulia)”.

In merito ai giudizi di responsabilità sanzionatoria si legge: “La non corretta rappresentazione contabile delle scelte gestorie – operate dal comune per fronteggiare l’indisponibilità della società in house, che gestiva una casa da gioco municipale, al versamento dei contributi nella misura dovuta a causa di ben note difficoltà economico-finanziarie – e in particolare l’esclusione dei crediti verso il casinò dall’accantonamento al Fondo crediti di dubbia esigibilità (Fcde), nonostante la comprovata consapevolezza dell’insolvenza della società di gestione, costituisce il principale contributo al dissesto del comune direttamente e inequivocabilmente ascrivibile agli amministratori e revisori pro tempore, stante la macroscopica gravità della violazione e l’estrema rilevanza degli importi che ha riguardato -nella fattispecie, l’accertamento da parte del comune di entrate fortemente aleatorie non bilanciate da adeguati accantonamenti al Fcde ha consentito di perpetuare una gestione finanziariamente non sostenibile, dissimulando lo stato di sostanziale dissesto dell’ente e ritardandone l’accertamento (sent. n. 8/2024, Lombardia)”.

Mentre per i giudizi sui conti: “Ai sensi degli artt. 74 del r.d. n. 2440/1923 e 178 del r.d. n. 827/1924, la qualifica di agente contabile si configura in chiunque, di diritto o di fatto, gestisca denaro, valori o beni pubblici, con l’obbligo del “non riscosso per riscosso”. Per il gioco del lotto, la gestione è riservata allo Stato ed esercitata tramite concessione dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (l. n. 528/1982; d.p.r. n. 303/1990 e d.p.r. n. 560/1996). L’affidamento arbitrario della gestione del servizio a un soggetto estraneo senza regolare cessione d’azienda, l’omessa comunicazione all’amministrazione concedente e l’abbandono del servizio con privazione del locale costituiscono condotta gravemente colposa, se non dolosa, del convenuto (sent. n. 46/2024, Piemonte)”.

Sul danno da disservizio: “Nell’ambito di una pronuncia in cui è stata riconosciuta la responsabilità contabile del titolare della concessione del gioco del lotto, per mancato riversamento degli incassi relativi alle giocate, è stata affermata la contestuale responsabilità del titolare della concessione per danno da disservizio, derivante dalla frustrazione dell’interesse pubblico che governa l’attività affidata in concessione, identificata nel corretto funzionamento della rete territoriale di raccolta del gioco, a tutela della sicurezza dell’utente e dell’integrità dei flussi economici ritratti dalla stessa amministrazione finanziaria. A fronte dell’accertato inadempimento all’obbligazione di riversamento degli incassi del gioco, è stata inferita l’interruzione del nesso sinallagmatico del contratto di diritto pubblico cui accede l’affidamento in concessione del gioco del lotto al raccoglitore; l’entità del danno è stata commisurata, in via equitativa, ex art. 1226 c.c., alla misura del corrispettivo spettante al ricevitore del lotto – l’aggio, pari all’8% della giocata – proprio per adempiere a quei doveri di servizio rimasti completamente inevasi (sent. n. 228/2024, Sez. I)”.

In riferimento al danno da mancata entrata si legge: “È stata disposta la condanna all’integrale risarcimento del danno erariale cagionato all’Agenzia delle dogane e dei monopoli per il mancato riversamento all’erario dei proventi del gioco del lotto, riscossi dall’appellata quale soggetto titolare della ricevitoria. Richiamando la pacifica giurisprudenza formatasi in ordine alla responsabilità contabile è stato precisato che a carico della titolare della ricevitoria, in qualità di agente contabile, si ravvisa un illecito arricchimento e l’estremo rigore che delinea siffatta responsabilità non consente di configurare come esimente l’affidamento riposto nella gestione di altri soggetti estranei al rapporto incardinato con l’agente contabile stesso. Il collegio di appello, riformando la sentenza di primo grado, ha escluso la sussistenza di una responsabilità parziaria e ha condannato l’appellante per l’intero importo del danno (sent. n. 16/2024, Sez. II)”. cdn/AGIMEG