Consiglio di Stato “Le sale Vlt sono esercizi pubblici e come tali è legittimo imporre distanza minima da luoghi sensibili”

Le regole che valgono per le slot nei bar o in qualsiasi altro esercizi pubblico valgono anche per le sale Vlt. E’ quanto hanno stabilito i giudici del Consiglio di Stato che si sono espressi in merito ad un ricorso presentato dal Comune di Bolzano. Per i giudici deve qualificarsi pubblico esercizio, ai sensi del T.U.L.P.S. e della disciplina provinciale dettata in materia, “ogni luogo di esercizio di un’attività d’impresa, avente ad oggetto una prestazione d’opera o di servizio rivolta al pubblico, il quale vi possa accedere liberamente (mentre irrilevante è il divieto di accesso a determinate categorie di persone, quali i minori d’età, trattandosi di limitazione inerente alle modalità di esercizio dell’attività, non incidente sulla sua natura)”. Le sale “dedicate” in questione rientrano, quale species, nel genus delle “sale da gioco e di attrazione”, soggette alla disciplina della legge provinciale del 13 maggio 1992, e dunque, anche per questa via, attratte nell’orbita del divieto di localizzazione contenuto nel comma 1 dell’art. 5-bis, ancora prima dell’espressa formulazione del relativo enunciato normativo con riguardo alle “sale dedicate”, nel nuovo comma 2-bis che, anche sotto tale profilo, è qualificabile come disposizione di natura interpretativa con valore ricognitivo.

La vicenda prende il via con la sentenza del Tribunale Amministrativo di Bolzano con la quale si respingeva il ricorso proposto dal Comune di Bolzano avverso il provvedimento del Presidente della Provincia autonoma di Bolzano con il quale veniva rilasciata una licenza avente ad oggetto l’autorizzazione alla raccolta di giocate tramite gli apparecchi da gioco appartenenti alla tipologia di cui all’art. 110, sesto comma, lett. b), r.d. 18 giugno 1931, n. 773, denominati VLT .Il Tarrespingeva il ricorso in considerazione del fatto che le c.d. “sale dedicate”, nelle quali potevano essere installati gli apparecchi VLT, non erano qualificabili né come pubblici esercizi (per gli effetti di cui all’art. 11 l. prov. 14 dicembre 1988, n. 58), né come sale pubbliche da giochi (per gli effetti di cui all’art. 5-bis l. prov. 13 maggio 1992, n. 13), e che, nell’ordinamento della Provincia di Bolzano, solo con la legge provinciale 21 dicembre 2011, n. 15, entrata in vigore il 28 dicembre 2011, e cioè dopo il rilascio dell’autorizzazione, era stato introdotto il comma 2-bis dell’art. 5-bis l. prov. 13 maggio 1992, n. 13, con cui le limitazioni alla localizzazione delle sale da gioco e di attrazione, di cui al primo comma dello stesso articolo di legge, erano state estese “ad ogni tipo di esercizio dedicato al gioco tramite apparecchi di cui all’art. 110, comma 6, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modifiche” (v. così, testualmente, la nuova disposizione normativa), con conseguente inapplicabilità ratione temporis alla fattispecie dedotta in giudizio, sul presupposto della qualificazione della norma citata come innovativa, e non interpretativa.

L’appellante Comune di Bolzano chiedeva dunque, previa sospensione della provvisoria esecutorietà dell’impugnata sentenza e in sua riforma, l’accoglimento del ricorso di primo grado.

Secondo i giudici “scendendo alla disanima dell’appello principale proposto dal Comune, sostanzialmente incentrato su un unico, complesso, motivo d’impugnazione, si osserva che lo stesso è fondato. Giova precisare, in linea di fatto, che con l’impugnato provvedimento del Presidente della Provincia del 21 novembre 2011 è stata autorizzata la raccolta di giocate tramite gli apparecchi da gioco appartenenti alla tipologia di cui all’art. 110, comma 6, lett. b), r.d. 18 giugno 1931, n. 773, denominati VLT, con mescita di cibi, bevande alcoliche e superalcoliche, “nell’esercizio ‘sala dedicata’ con sede in Bolzano, via Resia 27”, con espresso divieto di accesso ai minori di anni 18.

“La questione centrale della presente controversia è costituita dalla qualificazione della disposizione da ultimo citata come norma di interpretazione autentica ed a valenza ricognitiva, come tale applicabile alla fattispecie dedotta in giudizio, oppure come norma ad efficacia innovativa, introduttiva di un nuovo precetto valevole solo per il futuro.

Ritiene il Collegio che non possa essere condivisa la soluzione cui è pervenuto il T.r.g.a., attributiva alla disposizione in esame della valenza di norma innovativa.

Infatti, a prescindere dalla formulazione letterale di una disposizione legislativa, alla stessa deve essere attribuita natura di norma d’interpretazione autentica (o valenza ricognitiva), quando, pur rimanendo immutata la formulazione letterale della disposizione interpretata, se ne chiarisca e precisi il significato, giacché è necessario e sufficiente che la scelta ermeneutica imposta dalla legge interpretativa rientri tra le varianti di senso compatibili col tenore letterale del testo interpretato, stabilendo un significato che ragionevolmente poteva essere ascritto alla legge anteriore (v., ex plurimis, Cons. St., ad. plen., 24 luglio 1997, n. 15), sicché le leggi interpretative vanno definite tali in relazione al loro contenuto normativo, nel senso che la loro natura va desunta da un rapporto fra norme che sia tale, che la sopravvenienza della norma interpretativa non faccia venir meno la norma interpretata, ma l’una e l’altra si saldino fra loro dando luogo ad un precetto normativo unitario.

Si aggiunga che costituisce, ormai, ius receptum, che il legislatore può adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze sull’applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, così rendendo vincolante un significato ascrivibile ad una norma anteriore .

Tenuto conto di tali principi, enunciati dalla Corte Cost. per esaminare la legittimità costituzionale della ‘successiva’ disposizione interpretativa (o a valenza ricognitiva), si deve affrontare la questione centrale nel presente giudizio, e cioè quale fosse il quadro normativo vigente alla data di emanazione dell’atto impugnato in primo grado.

Orbene, nel caso di specie, le “sale dedicate” agli apparecchi di giocoVLT, di cui al novellato art. 110, sesto comma, lett. b), r.d. 18 giugno 1931, n. 771 (T.U.L.P.S.), ed alla disciplina attuativa dettata dal decreto direttoriale del 22 gennaio 2010 (emanato dal Direttore dell’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato), devono ritenersi comprese nel novero degli esercizi pubblici, disciplinati dal capo secondo (artt. 86 – 100) del T.U.L.P.S. (rilevante nel giudizio, poiché l’impugnata autorizzazione è stata emanata ai sensi dell’art. 88 T.U.L.P.S.).

Infatti, deve qualificarsi pubblico esercizio, ai sensi del T.U.L.P.S. e della disciplina provinciale dettata in materia, ogni luogo di esercizio di un’attività d’impresa, avente ad oggetto una prestazione d’opera o di servizio rivolta al pubblico, il quale vi possa accedere liberamente (mentre irrilevante è il divieto di accesso a determinate categorie di persone, quali i minori d’età, trattandosi di limitazione inerente alle modalità di esercizio dell’attività, non incidente sulla sua natura).

Quali pubblici esercizi, le “sale dedicate” erano, dunque, assoggettate ai divieti di localizzazione posti dall’art. 11, comma 1-bis, l. prov. 14 dicembre 1988, n. 58, già prima della relativa espressa “estensione” ad opera della nuova disposizione normativa, assurgente dunque a valenza ricognitiva/interpretativa di un precedente significato normativo già presente nell’ordinamento.

Per altro verso, le“sale dedicate” in questione rientrano, quale species, nel genus delle “sale da gioco e di attrazione”, soggette alla disciplina della l. prov. 13 maggio 1992, n. 13, e dunque, anche per questa via, attratte nell’orbita del divieto di localizzazione contenuto nel comma 1 dell’art. 5-bis, ancora prima dell’espressa formulazione del relativo enunciato normativo con riguardo alle “sale dedicate”, nel nuovo comma 2-bis che, anche sotto tale profilo, è qualificabile come disposizione di natura interpretativa con valore ricognitivo.

Il sopra delineato quadro normativo si sottrae alle censure di incostituzionalità e di contrasto con il diritto dell’Unione Europea, paventate dagli originari controinteressati e da ritenersi manifestamente infondate, in quanto:

– il contrasto con l’art. 117 Cost. è stato, ormai, escluso dalla richiamata sentenza n. 300/2011 della Corte Costituzionale;

– non sono ravvisabili le dedotte violazioni dei principi della ragionevolezza, della libertà d’iniziativa economica e della libera concorrenza, poiché le disposizioni censurate si basano su un ragionevole bilanciamento di interessi costituzionalmente rilevanti, non incidendo direttamente sulla individuazione e sulla installazione dei giochi leciti, bensì su fattori (quali la prossimità a determinati luoghi e la pubblicità) che potrebbero, da un canto, indurre al gioco un pubblico costituito da soggetti psicologicamente più vulnerabili od immaturi e, quindi, maggiormente esposti alla capacità suggestiva dell’illusione di conseguire, tramite il gioco, vincite e facili guadagni, e, dall’altro, influire sulla viabilità e sull’inquinamento acustico delle aree interessate;

– la Corte di Giustizia europea ha specificato che, in subiecta materia, eventuali restrizioni alla disciplina europea sono giustificate da esigenze imperative connesse all’interesse generale, come ad esempio la tutela dei destinatari del servizio e dell’ordine sociale, la protezione dei consumatori, la prevenzione della frode e dell’incitamento dei cittadini ad una spesa eccessiva legata al gioco medesimo (v. in tal senso, ex plurimis, sentenza 24 gennaio 2013, nelle cause riunite C-186/11 e C-209/11; sentenza 19 luglio 2012, nelle cause riunite C-213/11, C-214/11 e C-217/11), con conseguente legittima introduzione, da parte degli Stati membri (e delle loro articolazioni ordinamentali), di restrizioni all’apertura di locali adibiti al gioco, a tutela della salute di determinate categorie di persone maggiormente vulnerabili in funzione della prevenzione della dipendenza dal gioco (interesse fondamentale, salvaguardato dallo stesso Trattato CE), al contempo escludenti la loro qualificazione come “regole tecniche” necessitanti di una previa comunicazione alla Commissione Europea, ai sensi della direttiva CE 98/34.

Per le esposte ragioni, e tenuto conto che, in linea di fatto, non è contestato che nel raggio di 300 m dalla sala autorizzata con l’impugnato provvedimento provinciale sono situate due strutture, di natura scolastica e socio-assistenziale (il liceo ‘Pascoli’ e, rispettivamente, la struttura semi-residenziale ‘Polo socio-educativo di via Mozart’), rientranti tra i luoghi sensibili limitativi della localizzazione degli esercizi e sale di raccolta di giochi leciti, in accoglimento dell’appello principale e in reiezione degli appelli incidentali, l’appellata sentenza deve essere riformata, con accoglimento del ricorso di primo grado ed il conseguente annullamento del provvedimento ivi impugnato”. lp/AGIMEG