Scommesse, PVR: vietato giocare sul conto del gestore del punto. La sentenza del Consiglio di Stato

Una società di giochi ha presentato un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica per chiedere l’annullamento del provvedimento dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli con il quale era stata irrogata la sanzione di 5mila euro prevista dall’art. 19 dell’atto integrativo della convenzione, per avere consentito attività di intermediazione mediante accettazione di denaro contante e uso di un conto gioco intestato a persona diversa dallo scommettitore.

Il ricorso, secondo il parere del Consiglio di Stato chiesto da ADM, non è fondato. Secondo i giudici di Palazzo Spada “l’articolo 5, comma 2, lettera g) dell’atto integrativo della convenzione di cui si assume la violazione da parte della ricorrente prevede che il concessionario è tenuto ad “osservare e/o far rispettare, nell’eventuale attività di promozione e diffusione dei giochi oggetto di convenzione, dei relativi contratti di conto di gioco e di rivendita della carta di ricarica, il divieto di intermediazione per la raccolta del gioco a distanza nonché il divieto di raccolta presso luoghi fisici, anche per il tramite di soggetti terzi incaricati, anche con apparecchiature che ne permettano la partecipazione telematica”.

“L’inosservanza di tale ultima disposizione, fatta salva l’eventuale responsabilità civile verso terzi, nonché eventuali ulteriori danni provocati agli interessi erariali, comporta l’applicazione della penale convenzionale prevista dall’art.19, comma 2, lett. g), da euro 1.000,00 (mille/00) a euro 50.000,00 (cinquantamila/00) per ogni irregolarità riscontrata, in relazione alla gravità ed alla reiterazione della stessa”.

“Secondo la costante giurisprudenza, da cui non si ravvisano ragioni per discostarsi, dal quadro normativo e convenzionale, costituito dalla legge 7 luglio 2009 n. 88 e dal decreto legge n. 40 del 2010 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73- emerge come la ricorrente, in qualità di concessionario, abbia assunto l’obbligo –non contestato nella sua portata – di non svolgere alcuna attività di intermediazione per la raccolta del gioco, limitando l’attività di commercializzazione esclusivamente al canale prescelto, ossia quello online, senza operare la raccolta del gioco presso luoghi fisici, neanche avvalendosi di apparecchiature che permettano la partecipazione telematica dei giocatori, e, inoltre, di non svolgere tali attività neppure per il tramite di operatori facenti parte della propria filiera di gioco”.

“In particolare in forza dell’art. 9 della convenzione il concessionario è “responsabile degli obblighi posti a suo carico” e “assume in proprio ogni responsabilità organizzativa, tecnica ed economica e di ogni altra natura, inerente l’esecuzione e la gestione delle attività e delle funzioni oggetto della concessione”.

“Tale norma, imponendo al concessionario l’adozione di misure organizzative, tecniche ed economiche per l’esecuzione e la gestione delle attività e delle funzioni oggetto della concessione, affiancandone la previsione della relativa responsabilità, si traduce nell’imposizione di un’obbligazione di garanzia e di controllo sull’andamento della concessione e sul suo svolgimento in conformità alle relative previsioni.

Ne discende che si tratta di responsabilità connotata dal profilo della personalità, parametrata alla violazione degli obblighi di vigilanza e controllo che il concessionario deve porre in essere al fine di assicurare l’osservanza dei divieti che presidiano l’attività di raccolta del gioco a distanza, i quali si estendono anche ai soggetti riconducibili alla filiera del concessionario”.

“Alla luce delle predetti principi e ritenuti pacifici i fatti accertati dalla Guardia di Finanza – conclude il Consiglio di Stato – consistenti nella consegna ad un cliente della ricevuta di una giocata effettuata a nome di quest’ultimo su conto intestato al titolare della ricevitoria, nonché nella cospicua movimentazione di giocate, ricariche e prelievi, riscontrata su detto conto, idonea a dimostrare la violazione del divieto di intermediazione, sono infondate e da disattendere tutte le censure articolate dalla società ricorrente“.

Il Consiglio di Stato, per tutti i motivi elencati, pronuncia il parere che il ricorso debba essere respinto. ac/AGIMEG