Giovanni Garrisi racconta molte cose della sua vita. Che quando era vice direttore dell’Ufficio Italiano Cambi, durante un governo Forlani, contribuì al salvataggio della lira. Che la sua carriera nella Banca d’Italia fu ostacolata e che decise di dimettersi da Via Nazionale per dedicarsi ad un’altra sua passione, i giochi. Racconta che il Totocalcio fece la sua fortuna. Letteralmente. Con una laurea in matematica e una specializzazione in econometria, fu il primo a produrre quelli che un tempo erano i «sistemi». Combinazioni di doppie e triple per aumentare la possibilità di vincita. Garrisi racconta pure che grazie ad uno dei suoi sistemi fece un 13 e vinse 318 milioni delle vecchie lire e che fondò una sua società, la TC Informatica con la quale si mise a vendere questi sistemi alle ricevitorie del Totocalcio, arrivando ad averne 5 mila clienti. Fin qui il racconto. Il fatto è che oggi Giovanni Garrisi è al vertice della StanleyBet, uno dei più grandi bookmaker europei, da anni in guerra con i Monopoli italiani. Stanley raccoglie scommesse senza concessione, ma grazie ad una serie di sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Ed ora è finito nel mirino della Procura di Roma che ha chiesto l’esecuzione e la notifica di un decreto di sequestro preventivo per 56 milioni di euro con l’accusa di evasione fiscale. II Messaggero lo ha raggiunto telefonicamente a Liverpool, dove vive da anni e dove la sua società ha il quartier generale. Garrisi, la Procura di Roma sostiene che la StanleyBet ha evaso le tasse in Italia con un gioco di scatole cinesi, per cui la raccolta italiana viene gestita da una società di Malta dove si paga un’aliquota di appena il 5%. «Non è così. La StanleyBet non paga le tasse a Malta, ma in Inghilterra. La StanleyBet Malta Limited ha sede fiscale a Liverpool. È come la Fiat che ha sede legale in Olanda ma sede fiscale a Londra, dove ha il place of effective management. Le tasse le paghiamo per intero in Gran Bretagna. Mi meraviglio che la Guardia di Finanza e la Procura non se ne siano accorte. Sarebbe bastato chiedere…» A che serve allora la società maltese? «È una società che esiste da più di un decennio. La creammo perché c’è stato un periodo in cui avevamo valutato di spostare tutte le nostre attività dall’Inghilterra, ma poi abbiamo deciso di mantenere il nostro place of effective management in UK». Si, ma perché Malta, comunque considerata un paradiso fiscale all’interno della Comunità? «Vede, a quei tempi molte società inglesi si spostavano a Gilbilterra. Noi scegliemmo Malta perché è un Paese nel quale si sono concentrate molte competenze professionali sui giochi, soprattutto per la determinazione del rischio e delle quote delle scommesse. La StanleyBet a Malta fa ancora questo, gestione del rischio. Ma vorrei dire una cosa». La dica. «In Inghilterra abbiamo pagato tasse sui redditi in alcuni anni più alte di quelle che avremmo versato se la società fosse stata in Italia». Quello che di certo non pagate in Italia è l’imposta unica sulle scommesse. Secondo i concorrenti questo vi permette di fare quote migliori. Concorrenza scorretta, insomma. «L’imposta sulle scommesse la paghiamo a Malta e, prima che me lo chieda, le dico che è molto bassa, noi abbiamo provato a pagarla anche in Italia». In che senso, scusi? «L’anno scorso abbiamo a lungo trattato con i Monopoli ed eravamo arrivati ad un accordo, eravamo pronti a pagare tale imposta». E poi che è successo? «Che hanno ricominciato a chiudere i nostri punti scommesse. A quel punto il board ha fermato tutto». Ora comunque dovrete pagare. Nella legge di Stabilità il governo ha inserito una norma che prevede che anche chi raccoglie senza concessione, come voi, debba versare l’imposta unica. «Una norma che non avrà vita lunga. È come sempre discriminatoria. Prevede che i punti affiliati a StanleyBet, che legittimamente raccolgono scommesse, come riconosciuto dalla Corte di Giustizia, debbano pagare il doppio o il quadruplo di quello che pagano i concessionari». Senta, lei finora ha sempre vinto le sue dispute giuridiche con lo Stato italiano. Non teme che con un’accusa di evasione fiscale sia più complicato spuntarla? Soprattutto in una fase di grande attenzione in tema di caccia agli evasori? «Sono sicuro di aver ragione. La Stanley ha pagato le tasse in UK ed è controllata e verificata da auditors. Non esiste evasione fiscale, al più si tratta di una disputa sulla doppia imposizione. Le dico una cosa, mi hanno sequestrato un terreno a Roma sul quale avevo intenzione di costruire una casa. Sono così sicuro di essere innocente che chiederò al Pm di poter proseguire i lavori». lp/AGIMEG