L’analisi di Nicola Porro, durante la diretta Facebook con il direttore di Agimeg Fabio Felici, che ridimensiona i numeri dell’allarme sociale derivante dalla ludopatia, viene corroborata da un articolo pubblicato nel 2007 dalla prestigiosa rivista scientifica Lancet: “L’antropologo McLennan evidenzia come oggi ci siamo inventati delle malattie che prima non erano tali. Se io tutte le mattine spendo una piccola porzione del mio reddito per giocare non sono malato. Se si guardano i numeri veri dei ludopatici, non quelli correlati ad altre malattie come droghe e alcolismo, emerge che stiamo parlando di un fenomeno che è sempre esistito e che non viene risolto abolendo il gioco legale. Il fenomeno non si supera con il proibizionismo, viceversa il gioco legale può permettere di avere risorse da utilizzare risorse per far guarire chi cade nella ludopatia”. “Un’altra cosa pazzesca sono i decreti sull’aumento della tassazione del gioco. Considerando che il continua aumento della tassazione avrebbe ammazzato l’industria del gioco, hanno avuto il colpo di genio che per rifarsi delle tasse si abbassasse il payout. Ma la politica non capisce che se si tassa un’industria in maniera così forte e si abbassa la percentuale di vittoria dei giocatori, si fa un danno proprio ai giocatori”.
I soldi persi dalle imprese di gioco con la chiusura non si potranno mai recuperare
Purtroppo per Porro il danno è già stato fatto e non è una riapertura anticipata che potrà sistemare le cose: “Se chiudi un bar, i caffè non venduti non è che li vendi il mese dopo, stesso discorso per una sala bingo o scommesse. Ma questa è un questione che riguarda tante categorie. Purtroppo il settore del gioco combatte contro i mulini a vento, dovete rendervi conto che vi è maggioranza delle persone che spesso gioca, ma che considera il gioco qualcosa di cui sentirsi in colpa. Chiaro che chi gioca il 99% dello stipendio va curato, ma non puoi costruire una politica sulle patologie del sistema, il gioco è fisiologico, tutti noi giochiamo e nessuno mi può obbligare a non farlo. Il pericolo della compulsività c’è da tutte le parti, anche negli acquisti online: vanno curati gli aspetti patologici, ma la normalità non è compulsività. Con il gioco abbiamo fatto emergere tutto ciò che era illegale grazie alla liberalizzazione, ma più regole si mettono più si danno possibilità alla criminalità organizzata di infiltrarsi nel settore. Il gioco è stato ghettizzato in periferia e oggi criminalizzando il gioco si crea la patologia. Bisognerebbe piuttosto occuparsi di videogiochi come Fortnite che incitano alla violenza o dei messaggi sessuali di Tik Tok”. cr/AGIMEG