I Comuni che adottano il distanziometro per limitare l’apertura delle sale da gioco non sono tenute a indicare “in sede di regolamento le concrete aree in cui sarebbe materialmente possibile la delocalizzazione”, ovvero l’apertura delle sale, “non essendo tale onere desumibile dalla legge regionale” dell’Emilia Romagna, “né dalle deliberazioni” comunali. Spetta piuttosto alle sale dimostrare “l’effetto espulsivo sul territorio infra comunale”. Lo afferma il Tar Emilia Romagna respingendo una serie di ricorsi intentati dalle sale che – appunto a causa delle distanze – sono state costrette a chiudere. Le sale hanno depositato una perizia per dimostrare che – una volta applicate le distanze – le uniche aree residue sono delle “zone esterne al centro urbano”, e hanno censito “cinque aree consentite e commercialmente fattibili”. Il Comune ha tuttavia replicato che esistono “aree all’uopo idonee seppur pari ad una minuscola porzione di territorio superstite (0,39 Kmq pari allo 0,28% del totale)”, concludendo che non si verifica nessun “effetto espulsivo a prescindere dalla collocazione in area esterna al perimetro urbano”. E il Tar conclude quindi che la disciplina adottata dal Comune di Bologna realizza “un proporzionale contemperamento tra i principi europei in tema di libertà di stabilimento con l’interesse generale al contrasto della ludopatia quale motivo imperativo di interesse generale”. lp/AGIMEG