La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha pronunciato una sentenza che chiarisce l’applicazione della Direttiva (UE) 2015/849, volta a prevenire l’uso del sistema finanziario per il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. La decisione, originata da un rinvio pregiudiziale di un tribunale amministrativo lettone, nasce da una disputa tra un operatore di gioco e l’autorità nazionale di vigilanza, che aveva imposto una sanzione pecuniaria di oltre 52.000 euro per presunte violazioni degli obblighi di verifica della clientela.
Al centro della controversia c’era la corretta interpretazione di alcune disposizioni chiave della direttiva. La Corte ha innanzitutto affrontato la definizione di “soggetto con il quale una persona politicamente esposta intrattiene stretti legami”. Ha stabilito che “una persona fisica non può essere considerata un soggetto con il quale una persona politicamente esposta intrattiene stretti legami per il solo motivo che queste due persone sono membri dell’organo esecutivo di una stessa associazione”. Tuttavia, ha aggiunto che tale situazione “costituisce nondimeno una circostanza pertinente da prendere in considerazione nell’ambito di tale valutazione”, sottolineando la necessità di un’analisi individuale basata su evidenze concrete per evitare approcci automatici che rischierebbero di stigmatizzare ingiustamente le persone coinvolte.
La Corte ha ribadito che “gli Stati membri sono tenuti a consentire ai soggetti obbligati appartenenti a uno stesso gruppo di condividere tra loro informazioni”, ma ha precisato che “un siffatto scambio di informazioni non esonera il soggetto obbligato interessato dalla sua responsabilità di esercitare il proprio dovere di adeguata verifica della clientela”. Questo significa che, pur favorendo la cooperazione tra società affiliate per ottimizzare le risorse, ogni entità deve condurre una propria valutazione del rischio, senza affidarsi ciecamente ai dati ricevuti.
In merito alle decisioni dirigenziali, la Corte ha escluso che un soggetto obbligato possa “applicare automaticamente una decisione adottata da una persona che occupa un posto dirigenziale in un’altra impresa del medesimo gruppo” senza effettuare una propria analisi. Tale principio, ha spiegato la Corte, risponde all’esigenza di garantire un approccio personalizzato e proporzionato, in linea con gli obiettivi della direttiva di prevenire flussi di denaro illecito che, come sottolineato nel considerando 1, “possono minare l’integrità, la stabilità e la reputazione del settore finanziario dell’Unione”.
Sul controllo della clientela esistente, la sentenza ha chiarito che un soggetto obbligato “non è tenuto ad applicare misure di adeguata verifica della clientela esistente fintantoché il termine previsto dalla normativa nazionale e quello previsto dalle procedure di controllo interno per attuare nuove misure di controllo non siano scaduti e il soggetto obbligato non sia venuto a conoscenza di altre circostanze nuove idonee a incidere sulla valutazione del rischio”. Tuttavia, questo vale solo se la mancata individuazione di cambiamenti non deriva da “carenze nel controllo costante permanente” richiesto dalla direttiva.
Infine, per i prestatori di servizi di gioco, la Corte ha confermato che l’obbligo di verifica scatta “ogniqualvolta l’importo della transazione di cui trattasi sia pari o superiore a 2.000 euro”, come vincite o puntate, senza limiti temporali rispetto a operazioni precedenti. Questo, ha sottolineato la Corte, risponde alla preoccupazione espressa nel considerando 21 della direttiva, secondo cui “il ricorso a servizi del settore del gioco d’azzardo a scopo di riciclaggio dei proventi dell’attività criminosa desta preoccupazione”. ac/AGIMEG