“Il mercato del gioco necessita di una migliore capacità di pianificazione, in grado di creare condizioni di sufficiente stabilità per gli attori del sistema all’interno di una visione del futuro condivisa, associata ad una minor dipendenza dagli umori dell’opinione pubblica, a reale beneficio della tutela della salute pubblica, del gettito fiscale, del presidio della legalità ma anche della libertà di impresa”.
E’ quanto si legge nello studio “Le regole del gioco”, curato da “The European House – Ambrosetti”, commissionato dall’associazione dei concessionari Acadi, che fotografa lo stato attuale del settore del gioco, e ne delinea gli scenari futuri.
Tra i passi necessari si segnala la necessità di “ridefinire il numero di concessionari attivi in ciascun comparto, favorire un’azione di ulteriore contrasto dell’illecito, valutare se e come rilanciare tempestivamente settori in difficoltà, definire un obiettivo realistico di gettito e soprattutto mettere a punto un diverso, più agile, modello di regolamentazione per accompagnare i cambiamenti in un contesto a elevata turbolenza ambientale”.
Lo studio si basa quindi sui numeri. Dopo gli interventi della Legge di Stabilità 2016, con le 294mila macchine (slot e Vlt) che resteranno in Italia entro il 2019, il nostro Paese conterà un apparecchio ogni 206 abitanti, il 22% in punti specializzati, il restante 78% in punti non specializzati. Numeri e concentrazione simili a quelli di altri Paesi come il Regno Unito (220mila slot, una ogni 293 abitanti), la Germania (277mila macchine, una ogni 291 abitanti) o la Spagna (210mila macchine, una ogni 231 abitanti). Differente invece la collocazione degli apparecchi: mentre in Spagna la presenza è concentrata nei punti non specializzati, così come in Italia (l’80% nei locali “generalisti”), la proporzione è inversa in Uk (70% delle macchine in punti dedicati al gioco) e Germania (dove il 74% delle macchine è in location specializzate).
“In virtù dell’esperienza maturata – si legge – in quasi vent’anni di interventi legislativi e di gestione attiva del comparto, oggi il nostro Paese può vantare quella che è considerata una delle migliori regolamentazioni settoriali a livello mondiale. Ciò non significa che non vi siano ancora problemi da affrontare, come evidenziato, anche molto seri, quali la persistenza di una sacca di illegalità ancora pronunciata o le criticità associate al gioco d’azzardo patologico; il settore (sia dal punto di vista delle Istituzioni che degli operatori di merca- to) ha però certamente le competenze e l’esperienza e per affrontare con successo i prossimi passaggi.
Ciò che desta preoccupazione, alla luce delle vicende regolamentari degli ultimi 5 anni, è però l’elevato grado di discontinuità nelle scelte e negli interventi, che si è tradotto in una proliferazione di azioni correttive, soprattutto di natura fiscale, e nella difficoltà a tradurre in realtà le determinazioni assunte. La stabilità del quadro normativo e la sua progressiva ottimizzazione, lungo un percorso prevedibile, costituiscono una delle caratteristiche essenziali di una buona azione di regolamentazione.
La mancanza di un’armonizzazione delle regole tra i diversi livelli di governo può impattare in modo importante sulla redditività e sostenibilità del settore.
Il mercato dei giochi in Italia è stato sottoposto negli ultimi anni a una lunga serie di interventi normativi: se ne contano almeno 8 solo nella normativa primaria dal 2002, senza contare i numerosi interventi fiscali. A questi vanno aggiunte 14 leggi regionali, 2 provinciali e numerose ordi- nanze comunali che contribuiscono a rendere il quadro normativo intri- cato ed incerto. Esiste quindi una sovrapposizione di più livelli normativi non sempre ordinati e coordinati”.
Deve diventare prioritario quindi secondo gli analisti una banca dati completa.
“Ogni tentativo di approfondimento che vada oltre un’analisi standard si scontra infatti con un’insufficiente disponibilità di dati e informazioni pubbliche. Ciò non solo rende difficile sviluppare analisi finalizzate alla comprensione delle dinamiche micro-economiche di fondo e all’introduzione di interpretazioni originali della realtà, ma anche di disporre di un terreno comune di confronto rispetto al quale lo Stato, i mezzi di informazione, l’opinione pubblica possano confrontarsi con trasparenza”.
Lo studio passa poi all’analisi della questione del gioco patologico.
“In Italia – si legge – si stima vi siano 16 milioni di persone, cioè circa il 40% della po- polazione adulta, che abbiano giocato nel corso dell’ultimo anno almeno una volta somme di denaro. Di questi solo l’1,6% rientra nella categoria “a rischio problematico” che, come noto, non definisce un insieme di per- sone con patologia ma solamente un insieme potenzialmente a rischio da monitorare con particolare attenzione in quanto più esposto alla possibilità di sviluppare patologie. Il numero di soggetti problematici, che hanno una probabilità non trascurabile di diventare patologici, risulta pari a circa 250.000 persone. Non è facile, ad oggi, definire con esattezza il giocatore problematico, trattandosi di una categoria non clinica ma “statistica”. Risulta ugualmente difficile comprendere quale rapporto esista tra gioco problematico e gioco patologico e non esistono dati relativi a quanti dei giocatori a rischio problematico siano poi diventati effettivamente giocatori patologici, così come quanti eventualmente tra questi siano tornati da una forma di gioco patologico a quella di gioco ricreativo. I dati disponibili sui giocatori problematici non vanno pertanto riferiti a quelli patologici”. lp/AGIMEG