Oggi a a New York una riservata famiglia di Novara si presenterà come principale azionista di un colosso mondiale nelle lotterie e nelle slot machines. Marco Drago, presidente di De Agostini, i cui soci sono per l’appunto le famiglie Drago e Boroli, suonerà la tradizionale campanella per l’esordio a Wall Street del titolo Igt. Lo farà assieme all’amministratore delegato della società Marco Sala e al Ceo di De Agostini Spa Lorenzo Pellicioli. Igt è il nome del nuovo colosso dei giochi da oltre sei miliardi di dollari di fatturato, 13.000 dipendenti in oltre 60 Paesi, che nasce dalla fusione tra Gtech/Lottomatica e l’americana International Gaming Technologies. È l’ennesima rivoluzione per una casa editrice nata oltre cento anni fa e che ha saputo spesso cambiare pelle, fino a diventare una multinazionale fortemente diversificata.
Dottor Drago, diciamolo chiaramente. II settore del gaming – ma a proposito come si traduce in italiano? – non gode di buona fama. Questo per voi può essere un problema?
«De Agostini fa e farà l’azionista di Igt come fa l’editore da sempre, con gli stessi valori etici e la stessa passione con cui sviluppiamo tutte le nostre attività, con grande attenzione all’impatto sociale dei nostri prodotti. E poi il settore del gaming, o del gioco, è fortemente regolato. Gli Usa in particolare hanno un sistema di regole e controlli specifici a cui noi ci siamo sottoposti volentieri, sia come azienda sia come azionisti, fin da quando nel 2006 abbiamo acquisito Gtech».
In discussione non c’è la vostra onestà personale, ma l’attività in settori – le slot machines e le lotterie istantanee – che possono avere un impatto sociale netto, colpendo i più deboli.
«I nostri clienti sono cento governi nazionali o locali nel mondo, tra cui 36 sono Stati Usa. Sono loro che decidono le politiche del gioco, anche in base agli introiti che vogliono ottenere da questa attività, e il nostro compito è eseguire quanto hanno deciso. A volte li aiutiamo ad analizzare in anticipo le conseguenze, anche sociali, delle misure che intendono adottare. E le posso garantire che più di una volta ci è capitato di mettere in guardia alcuni governi clienti rispetto ad eventuali conseguenze socialmente negative di alcune azioni che volevano attuare».
II governo italiano sta studiando una legge delega per il riordino del settore del gioco e punta a una riduzione delle slot machines in Italia. Voi che posizione avete?
«Credo anche io che in Italia ci siano troppe slot. Se si dovesse avviare una riduzione, purché fatta in modo intelligente ed equilibrato, noi – si legge nell’intervista di Francesco Manacorda pubblicata oggi su La Stampa – non saremo certamente contrari; teniamo però presente che lo Stato di solito non è disposto a ridurre i suoi introiti».
Insomma, da una parte alimentate i pubblici vizi, dall’altra siete essenziali per i bilanci pubblici…
«Ovviamente mi ritrovo di più con la seconda giacchetta. E in effetti una riduzione delle slot fatta con poca lungimiranza potrebbe avere effetti negativi sull’erario. Lottomatica, così si chiamano ancora oggi le attività italiane di Igt, inoltre, è stata fondamentale per ridurre e quasi cancellare l’illegalità nel gioco in Italia. Se si lascia spazio al gioco illegale diventa impossibile tenerlo sotto controllo e l’impatto sociale di certi fenomeni può anche aumentare».
Non siete i primi a portare la sede a Londra. Fare impresa globale con il passaporto italiano è così difficile?
«E’ una scelta che potrebbe anche rivelarsi fiscalmente vantaggiosa, ma non è stata fatta per questo motivo. E stata una decisione obbligata: l’acquisizione di Igt è avvenuta per il 75% con cassa e il 25% con azioni e la nostra controparte non ha accettato azioni di una società italiana. Tutte le attività di Lottomatica in Italia, ovviamente, continueranno a pagare le tasse in Italia. Inoltre la holding De Agostini è italiana, così come i suoi azionisti».
E la quotazione solo a New York? Piazza Affari perde ancora un pezzo…
«II mercato Usa è più liquido, ci sono più analisti, il settore giochi è più conosciuto, gli azionisti americani sono abituati alla regolamentazione Usa».
Quali spazi di crescita per Igt?
«L’investimento in Igt è strategico e di lungo termine. Ci sono buone prospettive sulla crescita per linee interne e sulla vendita dei nostri prodotti, dalle lotterie al gaming, sui nuovi dispositivi mobili. Inoltre i mercati asiatici sono in gran parte ancora inesplorati. Abbiamo già qualcosa in Cina e certamente ci interessa crescere là, anche attraverso accordi con soci locali».
Al di là dei giochi, che cosa è oggi il gruppo DeAgostini?
«Nasciamo come editori ma dagli Anni 90 abbiamo diversificato, poi dal 2000 siamo diventati internazionali e ora puntiamo a essere globali. Continueremo ad essere editori anche se oggi è più difficile e i margini sono più risicati. Proseguiremo sulla strada della semplificazione concentrando la nostra presenza nei mercati più redditizi. L’area dei media con Zodiak ha avuto anni difficili per via della crisi e del crollo della pubblicità; qui stiamo assistendo ad una fase di consolidamento del settore a cui potremmo partecipare. In Spagna, dove siamo presenti con televisione e radio in Atresmedia, il settore si sta riprendendo bene con prospettive interessanti, soprattutto per la crescita della pubblicità. Nelle attività finanziarie, dopo la cessione di alcuni investimenti di private equi-ty, ci concentreremo sulle piattaforme di risparmio gestito attraverso IDeA Capital Funds e IDeA Fimit».
Voi siete un gruppo familiare che ha scelto da tempo di affidare la gestione a manager esterni – Lorenzo Pellicioli è vostro AD da dieci anni. Perché per molte aziende è difficile fare questo passo?
«Si sa che di norma chi ha la proprietà di un’azienda è abbastanza geloso del suo ruolo. Non sempre ha voglia di aprire a un manager, né di confrontarsi con investitori terzi».
Anche per questo le aziende italiane difficilmente diventano gruppi globali?
«Il quadro di partenza è quello di un Paese con molte aziende medio-piccole, che spesso hanno problemi di mezzi finanziari e di management adeguato. Ma è vero anche che alla base di una scarsa espansione internazionale c’è un tema culturale. Gli imprenditori italiani hanno più coraggio nel cercare mercati per l’export, nell’investire o al limite nell’indebitarsi che non nell’aprire il loro capitale ad azionisti terzi, che si tratti di private equity o di una quotazione di Borsa».
Un gruppo così globalizzato quale legame manterrà con la sua città di origine?
«La De Agostini è a Novara. Per tantissimi anni è stato così e non vedo ragione di cambiare il quartier generale del gruppo». lp/AGIMEG