Giochi, Aronica (ADM): “C’è troppa informazione distorta sui dati di raccolta e ludopatia. Il proibizionismo nel gioco riprende vigore”

dai nostri inviati a Salerno – “Si ha tutto il diritto di essere ostili al gioco per ragioni etiche o religiose e si può anche legittimamente ritenere che il proibizionismo, cui aspirano oggi, per esempio, alcuni sindaci del nostro Paese, sia la sola soluzione praticabile per evitare che il divertimento di parte della popolazione si converta in un dramma per un’altra. Non si comprende però perché, per avvalorare questo punto di vista, si debbano mettere in circolazione informazioni che impediscono ai cittadini di formarsi in piena autonomia il proprio giudizio. Ogni anno, la filiera industriale del gioco fattura in Italia non 85 miliardi ma, sotto un profilo strettamente economico, una cifra che oscilla tra gli 8 e i 9 miliardi di euro, ovvero 10 volte di meno; una somma analoga viene versata allo Stato a titolo di imposte indirette sul gioco. La somma di questi due valori (ciò che va allo Stato e ciò che va all’industria) è pressoché costante ormai dal 2009, si aggira sui 17 miliardi annui e corrisponde a ciò che le famiglie spendono effettivamente”. E’ quanto ha voluto chiarire Alessandro Aronica, vicedirettore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, all’Università di Salerno, nel corso della due giorni dedicata al tema del gioco pubblico in Italia, organizzato dall’Osservatorio Internazionale sul Gioco, durante il convegno “Economie di gioco, dinamiche storico-economiche e processi decisionali”.
“Il legame del gioco con le buone cause – ha proseguito Aronica – è un elemento quasi costituzionale nel caso delle lotterie. Sono molti gli esempi storici di lotterie organizzate per finalità benefiche, altre o, quantomeno, più specifiche rispetto all’obiettivo di rimpinguare le casse dei promotori. Un tentativo di riproporre il meccanismo virtuoso della lotteria si ha quando lo Stato annuncia la destinazione per una buona causa – la cultura ad esempio – di qualsiasi introito provenga dal gioco o dall’insieme dei giochi. Tutti noi sappiamo come questo scambio nel circuito etico, con trasformazione del vizio privato in pubblica virtù, sia stato sino a qualche anno indietro considerato perfettamente plausibile. I rischi per la salute connessi in ipotesi alla maggioranza dei giochi moderni rendono però lo scambio non più omogeneo. Non si tratta più di espiare un peccato ma di rimediare ai guasti che si  producono nel corpo sociale e che non si riparano per il fatto di perseguire su altri piani il bene pubblico.
La questione – ha detto ancora il vicedirettore ADM – non rileva soltanto per lo Stato, nel suo ruolo di regolatore e talvolta di monopolista della produzione, ma anche per gli eventuali imprenditori privati che operano nel mondo del gioco con uno scopo di profitto. Questi hanno davanti diverse strade tradizionali per guadagnare consenso: possono destinare la spesa pubblicitaria in modo opportuno per finanziare iniziative meritevoli o comunque utili ai propri scopi (in questa direzione rientra anche una certa attività di lobby); possono pacificare i vari stakeholders sostenendo allo scopo costi specifici; possono destinare parte degli utili a finalità benefiche esterne al sistema del gioco e del tutto astratte rispetto ad esso. Queste tre strade sono coerenti con l’esigenza di pagare il costo del perdono, ma si rivelano del tutto insufficienti, per non dire incongrue, quando l’industria del gioco viene considerata come causa immediata di danni al corpo sociale. Se questa è la prospettiva da cui si guarda al mondo del gioco, l’investimento nel consenso di breve periodo associato ai tre ordini di iniziative citate non è più, di per sé solo, né necessario né sufficiente ai fini dell’equilibrio economico di lungo periodo delle imprese. Si noti, però, che si sono già avute, proprio in questi ultimi mesi nel nostro Paese, ampie prove del fatto che la spesa per sponsorizzazioni può diventare addirittura controproducente. Il caso in questione ha avuto una vasta eco sulla stampa. Forse si può sostenere che una certa politica promozionale delle compagnie private, per quanto largamente praticata sullo scenario internazionale, sia arrivata alle sue colonne d’Ercole. All’industria del gioco non si chiede più di pagare il prezzo del perdono, ma di non peccare o, se si vuole utilizzare il linguaggio mutuato da altri settori, di non inquinare”, ha detto Aronica. es/AGIMEG