Tra circa un mese ci saranno le elezioni politiche. Potrebbe essere un momento importante anche per il settore del gioco che da troppo tempo sta vivendo di improvvisazioni politiche. La disomogeneità normativa ha creato un federalismo dei giochi, dove la fa da padrone un’incertezza imprenditoriale nelle cui crepe si sta infilando il mercato illegale. Tutto questo è condito da un fenomeno, quello della ludopatia, di cui si conosce poco e che spesso viene utilizzato come maschera per nascondere fini politici ed economici che nulla hanno a che vedere con la tutela del giocatore. Insomma una situazione grigia tendente allo scuro e che è oggetto dell’intervista esclusiva rilasciata, al direttore di Agimeg Fabio Felici, da Giuliano Frosini, direttore delle Relazioni esterne, istituzionali e comunicazione di Lottomatica.
Già un anno fa ci occupammo del clima di incertezza che coinvolgeva il settore del gioco italiano. Negli ultimi 12 mesi le cose sono anche peggiorate. Le elezioni politiche del 4 marzo prossimo potrebbero segnare un’inversione di rotta? Speranze e paure?
Si sta per concludere la 17ma legislatura che ha visto il susseguirsi di tre governi durante i quali le decisioni della politica, in tema di gioco, sono state caratterizzate da un approccio incerto e poco soddisfacente per l’industria. Si è andati dalla delega fiscale del 2014 mai attuata, alla Conferenza Stato-Regioni con linee guida poco chiare. Il tutto condito da aumenti della tassazione ed instabilità regolatoria dove la parola “definitivo”, riferendosi ad interventi legislativi, ha perso ogni significato. Difficile prevedere cosa succederà adesso con le nuove elezioni, visto che l’attuale legge elettorale potrebbe portare ad un parlamento molto frammentato. Personalmente penso che da ogni discontinuità possa nascere un’opportunità. Spero quindi che il nuovo clima politico che si verrà a creare possa registrare un cambiamento di visione verso il settore, sostenuto da un nuovo approccio incentrato su politiche di gioco responsabile obbligatorie, maggiori investimenti in tecnologie dedicate alla sicurezza del giocatore e destinazioni d’uso degli utili erariali derivanti dal gioco (la destinazione di scopo già praticata in altri paesi come l’Inghilterra, ndr). L’importante è che si abbiano ben chiari temi ed aspetti che invece – se mal gestiti – potrebbero portare a derive pericolose. Ad esempio, è conclamato che un aumento di tassazione su comparti legali spesso si traduce in effetti negativi per il gettito erariale che, seppure importante, non è l’aspetto principale del problema. Gli aspetti importanti – infatti – restano quelli del controllo del territorio e della sicurezza del giocatore. Inoltre, riguardo al modello distributivo credo che sia arrivato il momento di ridurne la capillarità. Questo però non vuol dire sostenere politiche proibizioniste: preso atto che c’è una domanda si può scegliere di organizzare un’offerta o di non farlo. In tal caso – però – si rischia di consegnare ampi segmenti industriali all’illegalità, come stiamo registrando in alcune aree del Paese dove sono entrati in vigore regolamenti locali espulsivi.
L’accordo di settembre tra Stato ed Enti locali sembrava aver messo un punto alla legislazione fai da te di molte regioni e comuni. Così non è stato, tant’è che la frammentazioni legislativa in materia di gioco sta toccando livelli impensabili. Perché tutto questo?
Manca sincronia fra le parti e c’è una netta distinzione tra il piano istituzionale ed il piano politico. Per quanto riguarda il piano istituzionale, se ci sono normative territoriali in contrasto con la normativa nazionale, queste andrebbero messe in discussione dal Governo. Se quest’ultimo però decide di non agire, le regioni possono andare legittimamente avanti con le proprie iniziative legislative. Sul piano politico è un cane che si morde la coda: la mancanza di sincronia tra regole nazionali e locali mette a rischio gli investimenti delle aziende, anche quelli in risorse strategiche, e porta alla progressiva perdita della dignità industriale del settore che quindi a sua volta diventa facile preda delle legislazioni “fai da te”. Ha ragione il sottosegretario Baretta quando parla di casi come quello del Piemonte: la Regione ha prima condiviso, sul piano politico, la necessità di un modello distributivo sostenibile ma successivamente ha disatteso l’accordo attuando le proprie politiche proibizionistiche. Al Piemonte ha poi fatto seguito l’Emilia Romagna ed altre Regioni seguiranno. Tutto legittimo, ovviamente, ma il risultato è il perpetuarsi di una situazione caotica il cui conto politico continua a gravare sul governo e sull’industria.
Il gioco subisce da tempo una forte campagna mediatica contraria. Perché secondo lei accade questo e come si può riequilibrare l’informazione?
La comunicazione sul gioco vive una situazione anomala. Un approccio equilibrato permetterebbe alle persone di capire meglio. Ad esempio, la questione del modello distributivo del gioco è stata affrontata fino ad oggi in senso negativo, cercando di canalizzare l’opinione pubblica verso il “no”. Si è parlato, talvolta anche a ragione, di troppi punti dove viene offerto gioco. Questo ha spinto alcuni enti locali a proporre politiche territoriali di confinamento dell’offerta, ma nessuno ha poi evidenziato come negli spazi liberi lasciati dall’offerta legale si sia subito inserita l’offerta illegale. Fino ad oggi la notizia negativa ha sempre prevalso su quella positiva. Avrebbe invece meritato più spazio un’informazione equilibrata, che desse conto anche agli aspetti positivi del gioco legale come ad esempio, sicurezza a parte, i numerosi interventi di recupero del patrimonio culturale nazionale o le iniziative di sostegno allo sport e al sociale.
La ludopatia è una spada con la quale politici, giornalisti, ecc cercano di “tagliare” il gioco. Eppure in Italia i dati parlano dell’1,5% della popolazione a rischio, un dato in linea con gli altri paesi europei dove però non c’è questo allarme sociale.
Che non sia un allarme sociale lo dicono i numeri, ma ciò non toglie che alcune persone possano vivere un disagio ed avere un approccio scorretto con il gioco. Negli altri paesi non c’è lo stesso allarme sociale che abbiamo in Italia probabilmente anche perché ci sono modelli distributivi diversi. Ad esempio in Francia – ma non dico che sia questo il motivo – alcuni giochi vengono offerti solo in punti specializzati. Noi in Italia siamo abituati a guardare con diffidenza alle forme di regolarizzazione quando esse rischiano di generare impatti sociali, senza soffermarci ad analizzare l’entità reale di tali impatti. Il problema, comunque, seppure in dimensioni assai ridotte rispetto alla narrazione, esiste e va gestito; ma se questo diventa “a priori” il problema principale, si finisce per smontare l’offerta legale e vince l’illegale.
La liquidità internazionale è un tema d’attualità. Per l’Italia è più un rischio o un’opportunità?
La liquidità internazionale rappresenta di fatto un allargamento del portafoglio su cui la politica ha delle giuste perplessità, soprattutto se si considera che questo tipo di apertura di mercato, realizzata nel modo che viene proposto dagli altri Paesi, favorirebbe solo alcuni operatori penalizzandone altri. Inoltre, con la quarta direttiva sull’antiriciclaggio, stiamo andando in senso opposto a forme di liquidità condivisa e, se ci aggiungiamo che siamo in un momento in cui anche l’Europa ci chiede di prestare attenzione allo scambio di transazioni e flussi finanziari, si capisce meglio perché la liquidità internazionale è una strada molto pericolosa da percorrere. L’unica possibile soluzione – forse- potrebbe essere un’infrastruttura tecnica sovranazionale, dove ognuno contribuisca all’interno di uno standard valevole per tutti.
Lei è sempre riuscito ad avere una visione “anticipata” del mercato. Che succederà nei prossimi anni?
Nel medio periodo abbiamo già perso la possibilità di intervenire. Dobbiamo pensare al decennio 2022/2031 e ripartire da quando scadranno diverse concessioni, comprese quelle relative alla prossima gara delle scommesse. Per il decennio in questione istituzioni e industria dovranno creare le condizioni per avviare un modello condiviso che dovrà privilegiare una distribuzione dell’offerta sostenibile, accompagnata da un processo di sdoganamento della dignità industriale del settore. Se questo non succederà la curva della regolazione rischierà di tuffarsi velocemente verso l’illegalità, a scapito della sicurezza e con importanti effetti evasivi collegati, rischiando così un “déjà vu”: nel 2030 potrebbe arrivare un nuovo regolatore che magari farà riemergere l’offerta illegale creatasi nel decennio precedente a causa del proibizionismo spinto. ff/AGIMEG