Dossier Manovra: “Definizione agevolata delle controversie tributarie pendenti in cui sono parte l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia delle dogane”. I dettagli

Definizione agevolata delle controversie tributarie. Si tratta di una delle norme contenute nella Manovra che è stata approvata dalla Camera e che è arrivata blindata al Senato.

“I commi 186-205, modificati alla Camera, consentono di definire con modalità agevolate le controversie tributarie pendenti alla data di entrata in vigore della norma medesima, anche in Cassazione e a seguito di rinvio, in cui sono parte l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia delle dogane (tale estensione è stata operata durante l’esame parlamentare), aventi ad oggetto atti impositivi (avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione), mediante il pagamento di un importo pari al valore della controversia.

Se il ricorso pendente è iscritto in primo grado, la controversia può essere definita con il pagamento del 90 per cento del valore.

Se vi è soccombenza dell’Agenzia fiscale, le controversie pendenti possono essere definite con il pagamento del 40% del valore della controversia, in caso di soccombenza dell’Agenzia nella pronuncia di primo grado e del 15% del valore, in caso di soccombenza della medesima Agenzia nella pronuncia di secondo grado.

Nel corso dell’esame alla Camera sono stati modificati gli effetti della definizione agevolata delle controversie sul processo tributario. Ferma restando la sospensione della controversia fino al 10 luglio 2023, condizionata all’apposita richiesta del contribuente di avvalersi della definizione agevolata, si pone in capo al contribuente l’obbligo di depositare, perentoriamente entro la medesima data, la domanda di definizione e il versamento degli importi dovuti o della prima rata.

Con le modifiche in sede parlamentare è stata eliminata la disposizione che prevede, come conseguenza del deposito, l’ulteriore sospensione del processo fino al 31 dicembre 2024.

Il comma 198, in luogo della predetta ulteriore sospensione del processo, dispone che al deposito della documentazione richiesta dalle norme il processo è dichiarato estinto (con decreto del presidente della sezione o con ordinanza in camera di consiglio se è stata fissata la data della decisione) e le spese del processo restino a carico della parte che le ha anticipate, in relazione alle controversie pendenti in ogni stato e grado.

L’integralmente sostituito comma 201 in luogo di disciplinare le fasi successive all’eventuale prolungamento della sospensione del processo, prevede: che l’eventuale diniego della definizione sia impugnabile dinanzi all’organo giurisdizionale che ha dichiarato l’estinzione; che il predetto diniego sia motivo di revocazione del provvedimento di estinzione per adesione alla definizione agevolata; che la revocazione sia chiesta congiuntamente all’impugnazione del diniego”.

E’ quanto si legge nel Dossier del Servizio Studi di Camera e Senato in riferimento alla Manovra.

“Secondo quanto emerge dalla Relazione sullo stato del contenzioso tributario per l’anno 2021, al 31 dicembre 2021 risultavano pendenti 147.889 ricorsi in commissione tributari provinciale (-27,8% rispetto all’anno precedente) per un valore pari a 17,8 miliardi di euro e 124.788 appelli in secondo grado (-11,2% rispetto all’anno precedente) per un valore di 19,8 miliardi di euro. Nei due gradi di giudizio il valore complessivo delle pendenze ammonta a 37,6 miliardi di euro. Il 39,4% delle controversie pendenti al 31 dicembre 2021 (107.414 unità) aveva valore fino a 3.000 euro ed il 39,4% (107.375 unità) compreso tra 3.000 e 50.000 euro. L’analisi per ente impositore rivela che il 38,0% (56.174 unità) dei ricorsi pendenti presso le commissioni tributarie provinciali ed il 59,0% (73.584 unità) degli appelli pendenti presso gli organi di secondo grado riguardano l’Agenzia delle Entrate, che risulta essere, quindi, l’ente impositore con il maggior numero di controversie pendenti. Un dato rilevante attiene all’anzianità media delle controversie pendenti, calcolata come la somma del numero di giorni intercorsi tra la data di presentazione della singola controversia e il 31 dicembre 2021, rapportata al numero delle controversie pendenti. L’analisi evidenzia che l’anzianità media generale registrata nel 2021 nei due gradi di giudizio, pari a 736 giorni (circa 2 anni), è superiore del 2,7% rispetto al valore fatto registrare nel 2020 (716 giorni) e del 7,9% rispetto al valore fatto registrare nel 2019 (682 giorni). È stato calcolato anche un valore sintetico della capacità di riduzione delle controversie pendenti da parte delle Commissioni tributarie, ossia il c.d. “tasso di smaltimento” di periodo, ottenuto rapportando il numero di controversie definite al numero delle controversie pervenute nello stesso periodo. Un valore del tasso superiore a 100 indica la capacità della singola Commissione tributaria, mediante le definizioni, di smaltire non solo un numero di ricorsi pari a quelli nuovi in entrata ma anche parte delle pendenze esistenti; un valore inferiore a 100 segnala, invece, che la singola Commissione non riesce a far fronte al numero dei nuovi ricorsi affluiti nel medesimo periodo, generando di conseguenza un aumento delle pendenze. Il primo grado di giudizio ha fatto registrare nel 2021 un tasso pari a 173,6, con un deciso miglioramento rispetto al 2020 (93,4) ed al 2019 (119,8). Anche nel secondo grado, il tasso di smaltimento registrato nel 2021 è stato superiore a 100, più precisamente pari a 136,6, migliorando le prestazioni registrate nel 2020 (93,9) e nel 2019 (123,0).

  • La definizione agevolata delle controversie tributarie dal decreto-legge n. 119 del 2018 alla riforma della giustizia tributaria

L’articolo 6 del decreto-legge n. 119 del 2018 ha concesso di definire con modalità agevolate le controversie tributarie pendenti, anche in cassazione e a seguito di rinvio, in cui fosse parte l’Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi (avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione).

In caso di ricorso pendente iscritto nel primo grado, la controversia poteva essere definita con il pagamento del 90 per cento del valore della controversia. In deroga alla regola generale che prevede il pagamento di un importo uguale al valore della lite, in caso di soccombenza dell’Agenzia, le controversie potevano essere definite con il pagamento:

 del 40% del valore della controversia (soccombenza in primo grado)

 del 15% del valore della controversia (soccombenza in secondo grado).

La norma ha consentito di definire le controversie tributarie pendenti in Corte di cassazione al 19 dicembre 2018 (data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 119), per le quali l’Agenzia delle Entrate fosse soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio, con il pagamento di un importo pari al 5% del valore della controversia. Legittimati alla presentazione della domanda sono stati coloro che hanno proposto l’atto introduttivo del giudizio o chi vi è subentrato o ne aveva la legittimazione.

La definizione ha riguardato solo le controversie in cui il ricorso in primo grado fosse stato notificato entro il 24 ottobre 2018 e per le quali, alla data di presentazione della domanda di definizione agevolata, il processo non si fosse concluso con una pronuncia definitiva. Entro il 31 maggio 2019, per ciascuna controversia autonoma (una per ogni atto impugnato) poteva essere presentata una distinta domanda di definizione, esente dall’imposta di bollo, con effettuazione di un distinto versamento. Per importi superiori a 1.000 euro è stato ammesso il pagamento rateale. Nel caso di assenza di importi da versare, la definizione si perfezionava con la sola presentazione della domanda.

La riforma della giustizia tributaria, operata dalla legge n. 130 del 2022 (modificando il decreto legislativo n. 545 del 1992, provvedimento il quale disciplina l’ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria e l’organizzazione degli uffici di collaborazione) da un lato ha razionalizzato il sistema della giustizia tributaria prevedendo la figura del magistrato tributario a tempo pieno e, conseguentemente, modificando le norme che disciplinano il reclutamento, il tirocinio e la formazione professionale, la nomina alle funzioni direttive e le progressioni in carriera dei componenti delle commissioni tributarie. Dall’altro lato, con riguardo agli aspetti processuali della riforma, la legge n. 130 apporta una serie di modifiche – anche conseguenti alla nuova articolazione degli organi di giustizia tributaria – al decreto legislativo n. 546 del 1992, che disciplina il processo tributario.

In questa sede occorre in particolare segnalare che la riforma, all’articolo 5, consente di definire con modalità agevolata le controversie tributarie pendenti innanzi alla Corte di cassazione per le quali l’Agenzia delle entrate risulti integralmente soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio, con valore della lite non superiore a 100.000 euro.

In sintesi tali controversie sono definite, a domanda dei soggetti legittimati, previo pagamento di un importo pari al 5 per cento del valore della lite.

Analogamente, sono definibili le controversie tributarie pendenti innanzi alla Corte di cassazione, per le quali l’Agenzia delle entrate risulti soccombente in tutto o in parte in uno dei gradi di merito e il cui valore delle quali non superi i 50.000 euro. In tal caso per la definizione è previsto il previo pagamento di un importo pari al 20 per cento del valore della lite. Legittimato a chiedere la definizione agevolata è il soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio o di chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione. Per controversie tributarie pendenti si intendono quelle per le quali il ricorso per cassazione è stato notificato alla controparte entro il 15 settembre 2022 purché, alla data della presentazione della domanda, non sia intervenuta una sentenza definitiva. L’adesione alla definizione agevolata delle controversie comporta la contestuale rinuncia ad ogni eventuale pretesa di equa riparazione e le spese del giudizio estinto restano a carico della parte che le ha anticipate. Sono escluse dall’applicazione delle disposizioni del presente articolo le controversie concernenti anche solo in parte:

  1. a) le risorse proprie tradizionali UE e l’Iva all’importazione;
  2. b) le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato.

La definizione si perfeziona con la presentazione della domanda entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e con il pagamento degli importi dovuti. Qualora non ci siano importi da versare, la definizione si perfeziona con la sola presentazione della domanda. Le controversie definibili non sono sospese, salvo che il contribuente faccia apposita richiesta al giudice, dichiarando di volersi avvalere delle relative disposizioni. L’eventuale diniego della definizione va notificato entro trenta giorni con le modalità previste per la notificazione degli atti processuali. Il diniego è impugnabile entro sessanta giorni dinanzi alla Corte di cassazione. In mancanza di istanza di trattazione presentata dalla parte interessata, entro due mesi decorrenti dalla scadenza del termine di cui al comma 7, il processo è dichiarato estinto.

Preliminarmente all’analisi più dettagliata delle disposizioni in commento, si rileva che il comma 204 dispone in ordine al rapporto tra la definizione agevolata prevista dalle norme in parola e quella disposta dalla riforma della giustizia tributaria. Si chiarisce che la definizione della legge n. 130 del 2022 resta ferma ed è alternativa a quella prevista dalle norme in commento.

Le norme in esame appaiono analoghe, nel contenuto, a quanto già disposto dall’articolo 6 del decreto-legge n. 119 del 2018.

In particolare, il comma 186 consente di definire con modalità agevolate le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’Agenzia delle entrate e, come precisato nel corso dell’esame parlamentare, dell’Agenzia delle dogane, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello pendente presso la Corte di cassazione e anche a seguito di rinvio, alla data di entrata in vigore della disposizione in esame. La definizione agevolata è adita su domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio o di chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione; si consente il pagamento di un importo pari al valore della controversia, stabilito ai sensi dell’articolo 12, comma 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.

Ai sensi del richiamato comma 2 dell’articolo 12, il valore della lite è l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative alle sole irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste.

Ai sensi del comma 187, per i ricorsi pendenti iscritti nel primo grado, si prevede che la controversia possa essere definita con il pagamento del 90 per cento del valore della stessa.

In deroga al comma 186, per il caso di soccombenza dell’Agenzia nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare depositata alla data di entrata in vigore della norma in esame, le controversie possono essere definite con il pagamento di una quota parte del valore della controversia pari al:

  1. a) 40% del valore della controversia in caso di soccombenza nella pronuncia di primo grado;
  2. b) 15% del valore della lite in caso di soccombenza nella pronuncia di secondo grado (comma 188)”, aggiunge.

“Il comma 189 reca disposizioni applicabili ai casi di accoglimento parziale del ricorso o comunque di soccombenza ripartita tra il contribuente e l’Agenzia. Per tali fattispecie, viene chiarito che è dovuto, per intero, l’importo del tributo relativo alla parte di atto confermata dalla pronuncia giurisdizionale. Per la parte di atto annullata viene applicata la misura ridotta (40 o 15 per cento), secondo le disposizioni sopra illustrate.

La relazione illustrativa chiarisce che, in sostanza, le misure ridotte si applicano limitatamente alla parte del valore della controversia in cui l’Agenzia è risultata soccombente, mentre per la parte del valore della controversia in cui è risultato soccombente il contribuente è dovuto l’intero importo. Si chiarisce inoltre, nella stessa relazione, che ove sia intervenuta sentenza di Cassazione con rinvio, la controversia si considera pendente in primo grado, in coerenza con la previsione dell’articolo 68, comma 1, lettera c-bis) del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, in materia di riscossione in pendenza di giudizio di rinvio.

Ai sensi del comma 190, le controversie tributarie pendenti innanzi alla Corte di cassazione, per le quali l’Agenzia risulti soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio, possono essere definite con il pagamento di un importo pari al 5 per cento del valore della controversia.

Il comma 191 prevede che le controversie relative esclusivamente alle sanzioni non collegate al tributo possano essere definite con il pagamento del quindici per cento del valore della controversia in caso di soccombenza dell’Agenzia nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare, sul merito o sull’ammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio, depositata alla data di entrata in vigore delle norme in esame, e con il pagamento del quaranta per cento negli altri casi.

In caso di controversia relativa esclusivamente alle sanzioni collegate ai tributi cui si riferiscono, per la definizione non è dovuto alcun importo relativo alle sanzioni, qualora il rapporto relativo ai tributi sia stato definito, anche con modalità diverse dalla definizione in commento.

Possono essere definite con modalità agevolate le controversie in cui il ricorso in primo grado è stato notificato alla controparte entro la data di entrata in vigore della norma in esame e per le quali, alla data della presentazione della domanda di definizione, il processo non si sia concluso con pronuncia definitiva (comma 192).

Sono invece escluse dalla definizione, ai sensi del comma 193, le controversie concernenti anche solo in parte:

  1. a) le risorse proprie tradizionali dell’Unione europea previste dall’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), delle decisioni 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, 2014/335/ UE, Euratom del Consiglio, del 26 maggio 2014, e 2020/2053/UE, Euratom del Consiglio del 14 dicembre 2020, e l’imposta sul valore aggiunto riscossa all’importazione;
  2. b) le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 16 del regolamento (UE) 2015/1589 del Consiglio, del 13 luglio 2015.

La definizione (comma 194) si perfeziona con la presentazione della domanda e con il pagamento degli importi dovuti o della prima rata entro il 30 giugno 2023; nel caso in cui gli importi dovuti superino mille euro, è ammesso il pagamento rateale, in un massimo di venti rate trimestrali di pari importo, con decorrenza dal 1° aprile 2023 e da versare, rispettivamente, entro il 30 giugno 2023, 30 settembre, 20 dicembre e il 31 marzo di ciascun anno.

Trovano applicazione, in quanto compatibili, delle disposizioni dell’articolo 8 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, relativo al versamento delle somme dovute a seguito dell’accertamento con adesione.

Sulle rate successive alla prima, si applicano gli interessi legali calcolati dalla data del versamento della prima rata. Non è ammesso il pagamento tramite compensazione. Nel caso di versamento rateale, la definizione si perfeziona con la presentazione della domanda e con il pagamento degli importi dovuti con il versamento della prima rata entro il termine previsto del 30 giugno 2023.

Qualora non ci siano importi da versare, la definizione si perfeziona con la sola presentazione della domanda.

Ai sensi del comma 195, in presenza di autonome controversie, occorre presentare una distinta domanda di definizione, entro il 30 giugno 2023, esente dall’imposta di bollo. Per controversia autonoma si intende quella relativa a ciascun atto impugnato.

Il comma 196 prevede che dagli importi dovuti vanno scomputati quelli già versati a qualsiasi titolo in pendenza di giudizio (importi versati per effetto delle disposizioni vigenti in materia di riscossione in pendenza di giudizio).

In ogni caso, la definizione non dà luogo alla restituzione delle somme già versate, ancorché eccedenti rispetto a quanto dovuto per la definizione. Gli effetti della definizione perfezionata prevalgono su quelli delle eventuali pronunce giurisdizionali non passate in giudicato prima della data di entrata in vigore delle norme in commento.

Il comma 197 è stato modificato nel corso dell’esame parlamentare.

Resta fermo che le controversie definibili sono sospese soltanto a seguito di apposita istanza al giudice nella quale il richiedente dichiara di volersi avvalere delle disposizioni in commento e in tal caso, il processo è sospeso fino al 10 luglio 2023.

Nella formulazione originaria della norma, il deposito entro tale data della documentazione richiesta ex lege (copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata) si sarebbe determinata l’ulteriore sospensione del processo fino al 31 dicembre 2024.

Per effetto delle modifiche parlamentari, si elimina il riferimento all’ulteriore sospensione e si prevede che, entro la stessa data del 10 luglio 2023, il contribuente ha l’onere di depositare presso l’organo giurisdizionale innanzi al quale pende la controversia la documentazione sopra menzionata (copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata).

Il nuovo comma 198 prevede invece, nelle controversie pendenti in ogni stato e grado, che se avviene il deposito della predetta documentazione il processo è dichiarato estinto con decreto del presidente della sezione o con ordinanza in camera di consiglio se è stata fissata la data della decisione. Le spese del processo restano a carico della parte che le ha anticipate. Per le controversie definibili sono sospesi per nove mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione, nonché per la proposizione del controricorso in Cassazione che scadono dalla data di entrata in vigore delle norme in esame fino al 31 luglio 2023 (comma 199).

In base al comma 200, l’eventuale diniego della definizione va notificato entro il 31 luglio 2024 con le modalità previste per la notificazione degli atti processuali. Il diniego è impugnabile entro sessanta giorni dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la controversia. Nel caso in cui la definizione della controversia è richiesta in pendenza del termine per impugnare, la pronuncia giurisdizionale può essere impugnata dal contribuente unitamente al diniego della definizione entro sessanta giorni dalla notifica di quest’ultimo ovvero dalla controparte nel medesimo termine.

Il comma 201 è stato integralmente sostituito durante l’esame parlamentare.

Nella formulazione originaria del testo, esso disponeva l’estinzione del in mancanza di istanza di trattazione presentata entro il 31 dicembre 2024 dalla parte avente il relativo interesse; si prevedeva che l’impugnazione della pronuncia giurisdizionale e del diniego, qualora la controversia risulti non definibile, valessero anche come istanza di trattazione e che le spese del giudizio estinto restassero a carico della parte che le avesse anticipate.

Il novellato comma 201 dispone invece che, per i processi dichiarati estinti – in quanto è stata presentata la documentazione attestante l’adesione alla definizione agevolata, ai sensi del comma 198 –l’eventuale diniego della definizione è impugnabile dinanzi all’organo giurisdizionale che ha dichiarato l’estinzione. Il diniego della definizione è motivo di revocazione del provvedimento di estinzione e la revocazione è chiesta congiuntamente all’impugnazione del diniego. Il termine per impugnare il diniego della definizione e per chiedere la revocazione è di sessanta giorni dalla notificazione del diniego di definizione agevolata (di cui al comma 200).

Il comma 202 prevede che, nei casi in cui la definizione sia perfezionata dal coobbligato, la stessa giova in favore degli altri, inclusi quelli per i quali la controversia non sia più pendente, fermo restando che la definizione non dà luogo alla restituzione di quanto già versato, anche in eccesso.

Il comma 203 demanda a uno o più provvedimenti del direttore dell’Agenzia competente le modalità di attuazione del presente articolo. Il comma 205 dà facoltà agli enti territoriali di stabilire, entro il 31 marzo 2023, l’applicazione delle disposizioni in esame alle controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte il medesimo ente o un suo ente strumentale”, conclude. cdn/AGIMEG