L’Agcom, Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, ha archiviato il procedimento avviato nei confronti della società TikTok Technology Limited per la violazione della disposizione normativa contenuta nel Decreto Dignità riguardante il divieto di pubblicità per il settore del gioco.
La società non ha responsabilità in merito ai contenuti illeciti diffusi presso la piattaforma di condivisione di video TikTok in violazione dell’articolo 9 del decreto dignità, sebbene ricadi su di essa un onere di vigilanza specifico circa i video analoghi o equivalenti a quelli individuati nell’atto di contestazione, caricati su tale piattaforma da parte dei 30 content creator, sottolinea l’AGCOM.
“A partire da giorno 2 agosto 2022 e sino a giorno 2 maggio 2023 sono pervenute diverse segnalazioni all’Autorità (prot. nn. 237586 del 2 agosto 2022, 242415, 242498 del 9 agosto 2022, 245915 del 18 agosto 2022, 246548, 246977 del 23 agosto 2022, 303212 del 21 ottobre 2022, 75984 del 17 marzo 2023, 115891 del 2 maggio 2023) nelle quali venivano denunciate presunte violazioni dell’art. 9 del decreto dignità effettuate anche attraverso la piattaforma per la condivisione di video “TikTok”. A valle dell’attività preistruttoria, l’Autorità ha contestato la violazione dell’articolo 9 del menzionato Decreto per la diffusione, sul servizio di piattaforma per la condivisione di video “TikTok”, di pubblicità di siti che svolgono attività di gioco e scommessa a pagamento, notificando, in data 6 giugno 2023, l’atto di contestazione n. 09/23/DSDI, alla società TikTok Italia S.r.l. con sede legale in via Mazzini 9-11 Milano e alla società TikTok Technology Limited con sede legale a Earlsfort Terrace 10, Dublino, D02 T380, Irlanda. Più precisamente, dalla navigazione del servizio di piattaforma per la condivisione di video “TikTok”, è emerso che attraverso i seguenti 30 canali di TikTok come di seguito individuati (di seguito cumulativamente indicati come “Canali Contestati”):
veniva realizzata la promozione di innumerevoli siti internet con vincite in denaro in violazione del predetto divieto introdotto dall’art. 9 del Decreto. In particolare, in ciascuno dei 30 canali sopra identificati, viene realizzata la promozione del gioco d’azzardo, mediante la riproduzione di sessioni di gioco registrate o in diretta (di slot machine o video lottery terminal) ovvero attraverso la rappresentazione di consumi di giochi con premi in denaro; in alcuni casi vengono illustrate le modalità per accedere ai siti di gioco con vincite in denaro, i bonus e i sistemi di pagamento che si possono usare per depositare e ritirare le vincite, anche sotto forma di recensioni. Inoltre, vengono utilizzate espressioni enfatizzanti il gioco medesimo e le vincite in denaro, sia tramite audio, sia in forma grafica: peraltro, in molteplici casi il soggetto del video, oltre a descrivere le caratteristiche tecniche e il funzionamento delle singole piattaforme di gioco, presenta le proprie sessioni di gioco (in diretta o registrate) nel corso delle quali induce il pubblico a ritenere che vincere denaro al gioco sia possibile e frequente e alcuni soggetti, nel corso delle sessioni di gioco o nelle chat dei canali, enfatizzano le giocate e sottolineano la remuneratività e la convenienza di tale attività, anche attraverso il riferimento a bonus riscattabili”, si legge nella delibera dell’Autorità.
“In data 26 luglio 2023 (prot. n. 200545) sono state presentate le memorie difensive in cui si afferma che le contestazioni sollevate dall’Autorità sono infondate. In via preliminare, TikTok Technology Limited (di seguito anche “TikTok” o “la società”) afferma la completa estraneità di TikTok Italy nel caso di specie. Infatti, l’art. 1 dei Termini di Servizio che disciplinano la Piattaforma (di seguito anche solo “TdS”) prevede espressamente che “Se sei residente in uno dei Paesi che fanno parte dello Spazio Economico Europeo (“SEE”) o in Svizzera, il tuo contratto è con TikTok Technology Limited, una società registrata nella Repubblica d’Irlanda, con sede legale a Dublino, 10 Earlsfort Terrace, D02 T380, Irlanda, con numero d’iscrizione al registro delle imprese: 635755”. Di conseguenza, gli utenti italiani o residenti nel SEE instaurano rapporti con TikTok Technology Limited la quale, pertanto, è la sola entità del gruppo responsabile per il funzionamento della Piattaforma a livello SEE e per la fornitura dei servizi oggetto del presente procedimento. Al riguardo, la società sottolinea, inoltre, come la posizione TikTok Italy appaia del tutto identica a quelle delle società (i) Google Italy S.r.l. nell’ambito del procedimento chiuso da questa Autorità con decisione n. 275/22/CONS e (ii) Facebook Italy S.r.l. nel caso conclusosi con decisione n. 422/22/CONS. In entrambi i casi, l’Autorità ha sostanzialmente preso atto di quanto dichiarato dalle società in merito alla loro estraneità alle condotte contestate e ha quindi escluso qualsiasi responsabilità delle società di diritto italiano, escludendole dal perimetro dei destinatari della decisione finale. In un’ottica collaborativa, TikTok, pur senza ammettere la propria responsabilità, ha rilevato di aver prontamente rimosso e disabilitato i contenuti segnalati dall’Autorità, manifestando la propria disponibilità anche pro-futuro a rimuovere contenuti rivolti al pubblico italiano che risultino in ipotesi contra legem. Sul punto, la società afferma di servirsi di uno strumento apposito, ovvero un proprio canale prioritario di segnalazione gestito dal team di TikTok responsabile per la sicurezza e l’integrità dei contenuti presenti sulla piattaforma, avente l’obiettivo di coinvolgere istituzioni e partner terzi nella segnalazione di contenuti potenzialmente in violazione delle Linee Guida di TikTok per l’uso della piattaforma. La società illustra come a tale canale di segnalazione prioritario abbiano accesso soltanto realtà accreditate da TikTok, cui viene fornito un indirizzo email di TikTok destinato appositamente a tale scopo. Le segnalazioni ricevute attraverso questo canale vengono esaminate con massima priorità e celerità, rispetto alle “ordinarie” segnalazioni che tutti gli utenti possono inviare. Inoltre, TikTok lamenta l’assoluta carenza di giurisdizione di AGCOM nei propri confronti, poiché afferma di essere un operatore stabilito in Irlanda e come tale soggetto alla giurisdizione delle autorità locali irlandesi. Sul punto la parte richiama gli artt. 28-bis e ss. della direttiva (EU) 2018/1808 (“direttiva AVMS”). A tal riguardo, richiama l’art. 41 del decreto legislativo n. 208 dell’8 novembre 2021 (“Tusma”) in attuazione della direttiva AVMS, secondo cui, soltanto “i fornitori di servizi di piattaforma per la condivisione di video stabiliti sul territorio nazionale sono soggetti alla giurisdizione italiana”. In sostanza, in base al principio del paese di origine, ribadito in diverse sedi a livello comunitario (la parte richiama la direttiva AVMS e di riflesso anche il Tusma oltre che il Regolamento UE n. 2022/2065, cd. “Digital Services Act” o “DSA”), la società ritiene che nel procedimento in questione vi sia un’assoluta carenza di potere in capo all’Autorità. La società eccepisce altresì la decadenza della potestà sanzionatoria dell’Autorità, e comunque la violazione dei diritti di difesa procedimentale della esponente, e quindi, nel suo complesso, dell’art. 6 CEDU, tra l’altro sub specie di principio di pronta contestazione degli addebiti, di cui all’art. 6, § 3 (a), CEDU (secondo cui “ogni accusato ha diritto di (a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico”). In particolare, nel caso di specie è la stessa AGCOM, secondo TikTok, ad aver affermato di essere stata a conoscenza della “presenza di contenuti riferibili al gioco d’azzardo sulle piattaforme social” già ad agosto del 2022. Tuttavia, la Comunicazione di avvio è stata inviata alla Società quasi un anno dopo. Peraltro, TikTok lamenta la genericità della Contestazione anche riguardo a elementi essenziali della pretesa responsabilità, non consentendo alla Società di svolgere a pieno le proprie difese, poiché non risulta chiaro, da un lato, a che titolo sia imputata a TikTok la condotta in esame, dall’altro se la pretesa condotta illecita sia unitaria o frazionabile in più illeciti, con tutto ciò che ne consegue in termini sanzionatori e di lesione del diritto di TikTok di eventualmente avvalersi del pagamento in misura ridotta ex art. 16 l. 689 del 1981, in violazione dell’art. 14 l. 689 del 1981 e del diritto di difesa. La società ritiene inoltre che, anche volendo assumere la giurisdizione dell’Autorità nazionale e il suo tempestivo intervento, le contestazioni mosse nel merito non sarebbero comunque fondate. Il campo di applicazione del decreto dignità infatti, secondo TikTok, esula dal contesto normativo del procedimento in questione poiché è mancata la notifica della regola tecnica di cui al divieto di pubblicità del gioco d’azzardo ex art. 9 del Decreto Dignità, in violazione della Direttiva 2015/1535. In ogni caso, TikTok ritiene che la materia delle comunicazioni commerciali dei giochi d’azzardo sulle piattaforme online sia oggi regolata dal Tusma (artt. 41-43) e non dall’art. 9 del Decreto Dignità. Peraltro, la società ritiene che nel caso di specie manchi il presupposto di quest’ultima disciplina, ovvero un rapporto di sponsorizzazione/pubblicità, sulla base del quale viene individuata la sanzione. Infatti, il database di TikTok degli account sponsorizzati non riporta nessuno dei 30 account in esame, dimostrando con ogni evidenza che TikTok non ha alcun rapporto di sponsorizzazione o pubblicità intercorrente con tali account. A ciò si aggiunge che, in base a quanto disposto dalle Linee Guida AGCOM, la società ritiene non integrati i requisiti soggettivi per l’applicazione del Decreto Dignità, ovvero che i destinatari abbiano “la sede legale, ivi incluse le sedi secondarie, in Italia” oppure siano “con sede legale all’estero, qualora: (a) abbiano ricevuto la concessione per l’offerta del gioco a pagamento in Italia dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli; (b) siano stati autorizzati alla fornitura di servizi media audiovisivi in Italia”. TikTok osserva che i suddetti requisiti non erano presenti nei contenuti segnalati da codesta Autorità e che la maggior parte dei contenuti erano “video generati da utenti non italiani (per lo più statunitensi) non in lingua italiana, rivolti a soggetti non italiani e realizzati da utenti nel proprio paese di origine”. Sul punto, la società lamenta che l’Autorità non ha fornito alcuna specifica considerazione o elemento per evidenziare su quali basi tali contenuti potessero essere ritenuti specificatamente mirati ad utenti italiani. In particolare, per quanto concerne i profili di merito della contestazione, la società rappresenta che non può essere accertato alcun profilo di responsabilità per la mera presenza sulla piattaforma di cd. “User Generated Content”, poiché si tratta di video creati e condivisi direttamente dagli utenti. Diversamente, la contestazione sembra far emergere, a detta di TikTok, un profilo di “responsabilità da mera posizione per fatto altrui”, di conseguenza inammissibile perché in contrasto con i principi costituzionali interni e comunitari. Secondo la parte, le società TikTok parrebbero in particolare essere considerate nella Contestazione come “responsabili non in quanto legate da un rapporto di committenza funzionale ad una determinata attività pubblicitaria, ma solo “in qualità di titolari del mezzo o del sito di diffusione o di destinazione tramite la piattaforma per la condivisione di contenuti video TikTok”. Inoltre, la società evidenzia come non sussista alcun obbligo generale di sorveglianza sui contenuti ospitati da parte della Piattaforma richiamando il decreto legislativo n. 70/2003 (“Decreto”) in recepimento della Direttiva e-commerce. TikTok sostiene infatti che il proprio servizio debba essere considerato come un servizio di un hosting provider, dal momento che la propria attività rientra nella definizione di cui all’art. 16 del Decreto di “prestazione di un servizio della società dell’informazione, consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio”. Secondo la società, nonostante sia la Direttiva e-Commerce sia il Decreto escludano il gioco d’azzardo dal proprio ambito di applicazione, le disposizioni in tema di esenzione di responsabilità dei prestatori di servizi della società dell’informazione trovano ugualmente applicazione, anche sulla base di quanto affermato dalla giurisprudenza amministrativa nazionale. D’altronde, TikTok segnala che il regime di esenzione di responsabilità e l’assenza di un obbligo generale di sorveglianza sui contenuti ospitati sono stati riproposti agli articoli 4, 5, 6 e 8 del DSA e dalla direttiva AVMS oltre che dal Tusma e che, peraltro, il DSA non prevedendo alcuna esclusione del gioco d’azzardo dal proprio ambito di applicazione, non esclude ma anzi riafferma l’esenzione di responsabilità dei prestatori, essendo questa una disposizione di carattere generale che non può essere derogata da una norma interna. Ciò premesso, TikTok in conclusione sottolinea che non era, né poteva essere, in alcun modo a conoscenza della natura illecita dei video e degli account segnalati, in ogni caso almeno fino al momento in cui non è stata resa edotta dalla stessa Autorità circa la loro presenza. Pertanto, la società auspica che venga valorizzata la propria condotta procedimentale collaborativa, in quanto TikTok si è attivata prontamente per garantire la rimozione/disabilitazione della totalità dei 30 video/account segnalati dall’Autorità. Infine, con nota pervenuta in data 17 novembre 2023 (prot. n. 296984) la società ha prodotto delle memorie integrative alla luce della recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 9 novembre 2023 sul caso C-376/22 (9 novembre 2023, Google Ireland Limited, Tik Tok Technology Limited and Meta Platforms Ireland Limited v Kommunikationsbehörde Austria (Komm Austria)), affermando che “I giudici dell’Unione Europea hanno statuito che uno Stato membro non può assoggettare un fornitore di servizi della società dell’informazione stabilito in un altro Stato membro a misure normative generali e astratte che si discostino dalle misure dello Stato membro in cui l’operatore è stabilito. Dunque, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha dichiarato inapplicabile a TikTok (come noto con sede in Irlanda) la legge austriaca sulle piattaforme di comunicazione”. Alla luce di tale pronuncia la società ritiene che “il c.d. Decreto dignità (art. 9 D.L. 12 luglio 2018, n. 87) sia in contrasto con il diritto dell’Unione Europea direttamente applicabile (principio del Paese d’origine) e quindi da disapplicare da parte delle Autorità nazionali amministrative e giurisdizionali; – comunque non sussista né possa sussistere alcuna attribuzione in capo ad AGCOM””, aggiunge.
“Con nota trasmessa in data 28 luglio 2023, l’Autorità, tenuto conto di quanto previsto dall’articolo 9, comma 2, del Decreto dignità – a norma del quale la violazione del divieto di pubblicità di giochi con vincite in denaro è punita con l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria “di importo pari al 20 per cento del valore della sponsorizzazione o della pubblicità” – ha richiesto ogni più utile informazione funzionale alla determinazione del “valore della sponsorizzazione o della pubblicità” avuto riguardo alla fattispecie oggetto di contestazione, ed in particolare ogni tipo di ricavo da pubblicità diretta o indiretta (ivi inclusi i ricavi da abbonamento al canale, pubblicità di annunci in stream, video discovery, annunci outstream e annunci bumper) afferenti a ciascuno dei sopra richiamati canali TikTok, e, inoltre, di trasmettere gli elementi identificativi dei suddetti content creators. Con nota pervenuta in data 11 settembre 2023 (prot. N. 227520), successivamente integrata dalla nota del 13 settembre 2023 (prot. N. 231435), la società TikTok ha dichiarato che il database TikTok sulla raccolta pubblicitaria non ha in essere alcun rapporto di sponsorizzazione o pubblicità con alcuno degli account identificati nell’atto di contestazione. Pertanto, non sussistendo alcun rapporto di questo tipo, la società afferma di non aver conseguito alcun ricavo e che inoltre nessuna quota dei ricavi pubblicitari viene riversata dalla società ai content creators. Ciò posto, per ragioni di completezza e trasparenza la società aggiunge che: – uno degli account, @Pokerist, appare collegato ad una società che risulta aver inserito annunci pubblicitari sulla piattaforma TikTok. Tuttavia, nessuna delle pubblicità inserite da questa entità è stata mostrata in Italia o in Europa; – 3 degli account identificati (ossia @pokerstars.us, @wolfgangpoker e @thepokerplayesr) hanno precedentemente partecipato al “Creator Fund Program” di TikTok. La parte descrive il Creator Fund Program come un “programma incentivante che consente ai creatori di ricevere ricompense di natura monetarie da TikTok. Il calcolo delle ricompense si basa su una serie di fattori quali il numero di visualizzazioni del video caricato dall’account e altre forme di coinvolgimento del video”. Tuttavia, gli account @pokerstars.us e @wolfgangpoker sono stati rimossi (bannati) dalla piattaforma e l’account @thepokerplayesr è stato disabilitato in Italia, di conseguenza non partecipano più al predetto Programma. Sul punto, TikTok sottolinea che i creatori che partecipano al Programma sottoscrivono un accordo che regola la partecipazione allo stesso ma, al contempo, sono soggetti e devono rispettare le Linee guida della Community e i Termini di servizio di TikTok. Infine, aggiunge che, come indicato nella “Informativa sulle Ricompense” applicabile a tutti i programmi di incentivazione della piattaforma, compreso il Programma, “un creatore può riscuotere ricompense sulla piattaforma a condizione che non violi i termini del Programma, i Termini di servizio di TikTok, le Linee Guida della Community o di qualsiasi altra informativa applicabile. In aggiunta a quanto sopra, si rammenta, infine, che ogni utente della piattaforma è tenuto ad accettare i Termini di servizio”. – nel gennaio 2023 l‘account “@grattaconme” ha azionato tre ordini della funzione “Promuovi”, per una spesa complessiva di $ 5,36. La funzione “Promuovi” consente agli utenti di far visualizzare un determinato contenuto per un numero concordato di volte. Al riguardo TikTok evidenzia che questo account è stato bannato dalla piattaforma e i suoi contenuti sono stati rimossi. – gli account identificati ai numeri 4 e 19 della lista predisposta dall’Autorità, in realtà fanno riferimento allo stesso medesimo account “@mondaytvofficial”. Di conseguenza gli account sono in realtà 29. La società, come richiesto dall’Autorità, ha inoltre fornito gli elementi identificativi dei suddetti content creators, dichiarando di aver fornito ogni elemento a propria disposizione relativo agli account oggetto del procedimento. Infine, TikTok ha dichiarato di aver adempiuto al proprio dovere di cooperazione secondo buona fede in uno spirito di massima collaborazione con l’Autorità, auspicando che quest’ultima ne tenga conto in sede di valutazione”, prosegue.
“Con riferimento alle argomentazioni svolte dalla Società relative all’asserita liceità delle condotte oggetto di contestazione, appare opportuno procedere, in via preliminare, ad una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento allo scopo di chiarire quali siano le condotte che il legislatore considera illecite. L’articolo 9 del sopra citato Decreto dignità prescrive che “al fine di un più efficace contrasto del disturbo da gioco d’azzardo è vietata qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro nonché al gioco d’azzardo, comunque effettuata e su qualunque mezzo, incluse le manifestazioni sportive, culturali o artistiche, le trasmissioni televisive o radiofoniche, la stampa quotidiana e periodica, le pubblicazioni in genere, le affissioni e i canali informatici, digitali e telematici, compresi i social media […]”. Il comma 2 del richiamato articolo, al fine di rafforzare la portata dissuasiva della sanzione che assiste il divieto sancito al primo comma, ha previsto che siano responsabili dell’illecito: (1) “committente”, (2.1) “proprietario del mezzo o del sito di diffusione”, (2.2) “proprietario del mezzo o del sito di destinazione” e (3) “organizzatore della manifestazione, evento o attività”. Invero, la ratio del divieto, che giustifica l’ampiezza del perimetro soggettivo e oggettivo di applicazione, risiede nell’esigenza di contrastare il fenomeno della ludopatia, (qualificato oggi come “disturbo da gioco d’azzardo”, c.d. DGA, ai sensi dell’articolo 9, comma 1-bis del Decreto dignità) e di rafforzare la tutela del consumatore/giocatore, con particolare riferimento alle categorie vulnerabili (giocatori patologici, minori, anziani, etc.). Ai fini dell’irrogazione della sanzione trova applicazione la legge n. 689/81, espressamente richiamata dalla norma. Come chiarito, l’articolo 9 del Decreto dignità punisce il committente, il proprietario del mezzo o del sito di diffusione o di destinazione e l’organizzatore della manifestazione, evento o attività responsabili della propria azione od omissione “cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”. Come confermato da costante giurisprudenza, non rileva che il proprietario del mezzo o del sito sia o possa essere “consapevole” dell’illiceità del messaggio pubblicitario con la conseguenza che, ai fini della relativa imputazione, la colpa si presume. Nel caso di specie, il legislatore ha infatti ritenuto di porre in capo a tutti i soggetti obbligati il divieto di realizzare “qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro nonché al gioco d’azzardo, comunque effettuata e su qualunque mezzo” al fine di assicurare un contrasto serio ed effettivo nei confronti dei pericoli connessi alla pubblicità (tanto più se propagata con un mezzo così pervasivo come il mezzo internet) dei giochi a pagamento con vincite in denaro. Il divieto ha, dunque, una portata così ampia che in capo ai soggetti obbligati non residuano margini di discrezionalità sulla possibile liceità di contenuti afferenti a giochi con vincite in denaro. L’Autorità, con la richiamata delibera n. 132/19/CONS, ha adottato le Linee guida con l’obiettivo di coordinare le nuove previsioni del Decreto dignità con l’articolata disciplina di settore previgente, non incisa dall’intervento legislativo, e con i principi costituzionali e dell’Unione europea. Segnatamente, le Linee guida si prefiggevano di fornire chiarimenti interpretativi rispetto all’applicazione dell’articolo 9, ma limitatamente ai servizi media tradizionali. Come chiarito dal TAR del Lazio nella sentenza n. 11036/2021 la citata delibera che ha adottato le Linee guida sulle modalità attuative dell’art. 9 del decreto dignità è mero atto amministartivo con contenuto orientativo ma non vincolante. – Sulla carenza di legittimazione passiva della società TikTok Italia S.r.l. L’Autorità prende atto di quanto dichiarato dalla Società TikTok Technology Limited individuando, per l’effetto, esclusivamente quest’ultima società quale destinataria della presente delibera. – Sulla presunta violazione della normativa in oggetto dell’art. 1, comma 1, lett. f), della direttiva 2015/1535/UE (regola o specifica tecnica). Relativamente alla presunta violazione dell’articolo 9 del Decreto Dignità rispetto all’art. 1, comma 1, lett. f), della direttiva 2015/1535/UE (regola o specifica tecnica) si riporta quanto già statuito dal Tar per il Lazio in un analogo procedimento «Con riferimento al caso di specie, va rilevato che il divieto di pubblicità del gioco d’azzardo ha portata generale, essendo tale attività perseguita indipendentemente dal mezzo con il quale viene posta in essere, dunque non solo se ciò avvenga tramite un servizio della società dell’informazione, così che lo stesso non può essere inteso alla stregua di una “regola tecnica” nei termini indicati, non essendo peraltro la definizione in argomento, come affermato dal citato precedente (che sul punto richiama le conclusioni dell’Avvocato Generale nella causa C-320/16, punto 31; e la sentenza C-255/16, punto 30) “strutturalmente suscettibile di interpretazione estensiva oltre i confini della materia”).» (cfr. Tar per il Lazio sentenza n. 11036 del 28 ottobre 2021). – Sulla presunta carenza di potere di Agcom anche in ragione della natura di hosting provider di TikTok. In merito alla presunta carenza assoluta di potere da parte di Agcom sulla fattispecie oggetto della presente delibera, si osserva che l’illecito disciplinato dall’articolo 9 del decreto dignità non si pone in contrasto né rispetto alla direttiva AVMS e, in particolare, all’articolo 28-bis né rispetto al Regolamento DSA. Di contro, si osserva che la menzionata Direttiva AVMS non disciplina in alcun modo tale materia; nel Considerando 30 si ricorda l’importanza di “tutelare efficacemente i minori dall’esposizione a comunicazioni commerciali audiovisive connesse alla promozione del gioco d’azzardo”. Inoltre, il Considerando 10 chiarisce che “Conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea («Corte»), è possibile limitare la libera prestazione dei servizi sancita dal trattato per motivi imperativi di interesse pubblico generale, ad esempio il conseguimento di un elevato livello di tutela dei consumatori, a condizione che le limitazioni in questione siano giustificate, proporzionate e necessarie. Di conseguenza, uno Stato membro dovrebbe poter adottare talune misure al fine di garantire il rispetto delle proprie norme in materia di tutela dei consumatori che non rientrano nei settori coordinati dalla direttiva 2010/13/UE. Le misure adottate da uno Stato membro per attuare il proprio regime nazionale in materia di tutela dei consumatori, anche per quanto concerne la pubblicità del gioco d’azzardo, dovrebbero essere giustificate, proporzionate all’obiettivo perseguito e necessarie ai sensi della giurisprudenza della Corte….”. Ne discende, quindi, che il legislatore italiano ha ritenuto di introdurre una disciplina ad hoc che come sopra riportato ha introdotto un divieto assoluto alla pubblicità del gioco con vincite in denaro comunque effettuata e presso qualunque piattaforma trasmissiva. Relativamente, poi al Regolamento DSA si osserva che l’atto di contestazione in oggetto ha riportato al suo interno tutte le informazioni richieste oggi dall’articolo 9 del DSA ed in particolare: i) un riferimento alla base giuridica dell’ordine a norma del diritto dell’Unione o nazionale; ii) la motivazione per cui le informazioni costituiscono contenuti illegali, mediante un riferimento a una o più disposizioni specifiche del diritto dell’Unione o del diritto nazionale conforme al diritto dell’Unione; iii) informazioni per identificare l’autorità emittente; iv) informazioni chiare che consentano al prestatore di servizi intermediari di individuare e localizzare i contenuti illegali in questione, quali uno o più URL esatti e, se necessario, informazioni supplementari; v) informazioni sui meccanismi di ricorso a disposizione del prestatore di servizi intermediari e del destinatario del servizio che ha fornito i contenuti; vi) se del caso, informazioni in merito a quale autorità debba ricevere le informazioni relative al seguito dato agli ordini”. In tema poi di esenzione di responsabilità in ragione della propria natura di hosting provider della piattaforma di condivisione video “TikTok”, si osserva che il prestatore può invocare l’esenzione di responsabilità laddove ricorra una o entrambe le seguenti condizioni: (1) non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l’attività o l’informazione è illecita, e (2) “non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso”. Inoltre, sebbene l’articolo 8 del DSA (ex articolo 17 del Decreto e-commerce) preveda che l’hosting provider non abbia un obbligo generale di controllo delle informazioni memorizzate, né un obbligo generale di cercare attivamente fatti o circostanze che indichino un’attività illecita, è altresì chiaro che al fine di poter invocare l’esenzione generale di responsabilità la piattaforma non deve essere in alcun caso a conoscenza dell’illiceità del contenuto trasportato. La conoscenza effettiva dell’illiceità dei contenuti trasportati rende infatti responsabile la piattaforma stessa a prescindere dalla segnalazione derivante dall’autorità amministrativa o giudiziaria competente. A tal riguardo, è necessario osservare che, con specifico riferimento alla natura di hosting provider, il Decreto dignità ha inteso adottare una norma generale che non consente in alcun modo di promuovere direttamente o indirettamente giochi con vincite in denaro. In altre parole, il legislatore italiano ha introdotto un divieto assoluto del tutto analogo a quello in tema di pubblicità del tabacco. Si tratta, infatti, di previsioni che non consentono alcun margine di discrezionalità nei confronti dei soggetti destinatari di qualunque servizio. Occorre, infatti rilevare, che la disciplina giuridica dell’hosting provider è risalente (introdotta dalla direttiva e-commerce e oggi confluita nel Regolamento DSA) e che, proprio in ragione del rapidissimo sviluppo tecnologico, la stessa è stata oggetto di numerosi chiarimenti e mutamenti giurisprudenziali che ne hanno tracciato una più puntuale perimetrazione soggettiva (addivenendo anche alla nota distinzione tra hosting attivo e passivo). Con specifico riferimento alla giurisprudenza nazionale e, in particolare, unionale, questa si è pronunciata in più occasioni sulla nozione di hosting provider (Cassazione Civile Sez. I, sentenza n. 39763/2021, Cassazione Civile Sez. I, sentenza n. 7708/2009, Corte di giustizia UE 7 agosto 2018, Cooperatieve Vereniging SNBREACT U.A. c. Deepak Mehta, C-521/17, Corte di giustizia UE 11 settembre 2014, C-291/13, Sotiris Papasavvas, Corte di giustizia UE 12 luglio 2011, C-324/09, L’Oréal c. eBay International, Corte di giustizia UE 23 marzo 2010, da C-236/08 a C-238/08, Google c. Luis Vuitton) chiarendo che il regime generale di esenzione di responsabilità è in primis soggetto al rispetto delle due condizioni previste dall’articolo 16 del Decreto e-commerce sopra menzionate. In particolare, è stato chiarito che occorre verificare in concreto (case by case) l’eventuale partecipazione della piattaforma rispetto ai contenuti da essa veicolati. La Corte di giustizia dell’Unione europea ha, infatti, rilevato che è sufficiente che il prestatore di servizi sia stato, in qualunque modo, al corrente di fatti o circostanze in base ai quali un operatore economico diligente avrebbe dovuto constatare l’illiceità di cui trattasi e agire conformemente all’articolo 14, paragrafo 1, lettera b), della citata Direttiva e-commerce (sentenza del 12 luglio 2011, L’Oréal C‑324/09, EU:C:2011:474, punto 122). Inoltre, e più di recente, la Suprema Corte di cassazione (sez. I Civile, sentenza n. 7708/2019) ha precisato che “(l)a figura dell’hosting provider attivo va ricondotta alla fattispecie della condotta illecita attiva di concorso. […] Gli elementi idonei a delineare la figura o “indici di interferenza” da accertare in concreto ad opera del giudice del merito, sono – a titolo esemplificativo e non necessariamente tutte compresenti – le attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti/ operate mediante una gestione imprenditoriale del servizio, come pure l’adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione: condotte che abbiano, in sostanza, l’effetto di completare ed arricchire in modo non passivo la fruizione dei contenuti da parte di utenti indeterminati” (enfasi aggiunta). Ed ancora, la medesima Corte ha chiarito, proprio in linea con quanto già affermato in merito alla conoscenza dei contenuti trasportati dalla piattaforma, da ultimo e per quanto qui di interesse, che in ragione dello specifico ruolo svolto dalla piattaforma è possibile rilevare almeno due diverse figure: hosting provider attivo e passivo, affermando, al riguardo, che “i servizi prestati on line e, segnatamente, l’attività di hosting hanno subito nel corso degli ultimi anni un’evoluzione radicale. La cernita ed il riordino dei contenuti, lungi dall’essere assorbiti dalla nozione di mera memorizzazione, sono invece oggigiorno il cuore dell’attività economica di un hosting provider. Grazie a sistemi di data mining (insieme di tecniche e metodologie che hanno per oggetto l’estrazione di informazioni utili da grandi quantità di dati attraverso metodi automatici o semi-automatici e il loro utilizzo scientifico, aziendale, industriale o operativo) e di elaborazione massiva di big data, questi prestatori di servizi sono in grado di trarre enormi guadagni dalla loro attività di hosting. Attraverso complessi sistemi di profilazione dell’utenza, gli operatori hanno la capacità di intercettare le preferenze dell’utenza, in modo da variare l’offerta dei contenuti a seconda dei 9 di 16 destinatari e di aumentare a dismisura le visualizzazioni, di fatto contribuendo, in modo causalmente determinante, alla diffusione o meno di prodotti illeciti. Traendo le dovute conclusioni, è evidente che i fatti accertati giustificano l’inquadramento dell’attività svolta dalla ricorrente nel paradigma dell’hosting provider attivo.” (così Cass., ordinanza del 13 dicembre 2021, n. 39763). In altri termini, osserva la Cassazione, l’evoluzione tecnologica e la capacità di elaborare in modo automatizzato quelle informazioni e quei dati, che prima erano solo “ospitati”, temporaneamente o definitivamente sui server, comporta che oggi essi siano “elaborati” per trarre ulteriori profitti e, quindi, risulta oggi non più predicabile alcuna presunzione di “ignoranza” sui contenuti ospitati per conto terzi. – Sul presunto contrasto dell’articolo 9 del Decreto Dignità rispetto alla normativa europea alla luce della sentenza del 9 novembre 2023 sul caso C‑376/22 In merito a quanto, da ultimo, eccepito dalla società alla luce della recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea sul caso C‑376/22 (9 novembre 2023, Google Ireland Limited, Tik Tok Technology Limited and Meta Platforms Ireland Limited v Kommunikationsbehörde Austria (Komm Austria)), si ritiene il riferimento non pertinente in quanto riguarda la possibilità da parte di ciascuno Stato membro di derogare “caso per caso” al principio del Paese di origine per determinati casi e secondo le specifiche modalità previste dall’articolo 3, commi 4 e 5 della Direttiva sul commercio elettronico. In particolare, occorre osservare che l’articolo 9 del decreto dignità rientra proprio tra quei provvedimenti, previsti dall’articolo 14 della direttiva e-commerce prima e del regolamento DSA adesso ex art. 6, che, conformemente all’ordinamento giuridico di ciascun Stato membro, attribuiscono ad un’autorità giudiziaria o amministrativa la possibilità di esigere che il prestatore del servizio impedisca o ponga fine a una violazione. Ciò posto, si osserva che alla luce di quanto dichiarato dalla società circa l’assoluta mancanza di alcun tipo di rapporto commerciale con i 30 content creator non può essere imputata alcuna responsabilità in capo alla piattaforma in oggetto in quanto la stessa non ha avuto alcuna conoscenza circa l’illecito commesso presso la propria piattaforma di condivisione di video, in ossequio a quanto previsto dalla elaborazione giurisprudenziale formatasi sulla direttiva e-commerce nonché alla luce del dettato dell’articolo 6, comma 1, lett. a) del Regolamento DSA. Parimenti, si rileva che nessuna responsabilità è possibile imputare alla società sempre alla luce dell’elaborazione giurisprudenziale nonché ai sensi dell’articolo 6, comma 1, lett. b) del predetto Regolamento DSA in quanto la società ha immediatamente rimosso tutti i video identificati nell’atto di contestazione inibendo altresì l’accesso ai relativi account da parte degli utenti italiani”, conclude. cdn/AGIMEG