Scommesse, oggi alla Corte Costituzionale il ricorso Stanley contro la tassazione dei Ctd

La Corte Costituzionale discute oggi la questione del prelievo fiscale imposto a Ctd e bookmaker paralleli. A disporre il rinvio, nel dicembre 2015, è stata la Commissione tributaria provinciale di Rieti impegnata a decidere su quattro ricorsi intentati da StanleyBet e da alcuni Ctd collegati. La controversia nasce da una norma della Stabilità 2011 che equipara dal punto di vista fiscale i Ctd alle normali agenzie di scommesse, e li assoggetta quindi al pagamento dell’imposta unica sulle scommesse. Secondo il giudice rietino questa norma potrebbe violare il principio della capacità contributiva, il principio di uguaglianza, e quelli di proporzionalità e ragionevolezza.

I giudici tributari hanno sottolineato infatti che il Ctd è in sostanza una ricevitoria che si limita a raccogliere la scommessa e a trasmetterla al bookmaker estero, ricavandone un semplice aggio. Pertanto il prelievo “viola il dettato costituzionale, in quanto colpisce un soggetto che non possiede la capacità contributiva individuata dal Legislatore” e che “non ha alcuna possibilità di traslare l’onere su chi la possiede”. Il prelievo sulle scommesse – in termini generali – è un’imposta indiretta, “pensata per colpire il consumo della scommessa da parte dello scommettitore”. Il concessionario di conseguenza “non è il soggetto gravato dell’imposta, ma solo colui che materialmente ne versa il gettito all’erario”. Nel caso specifico dei bookmaker esteri, di fatto il soggetto che gravato è il Centro: “Non v’è alcuna norma infatti che consenta o imponga al centro di rivalersi sullo scommettiotire o di effettuare la ritenuta sulle puntate ricevute o sulle vincite versate. Piuttosto la disciplina amministrativa prevede il contrario”. Il centro infatti, sottolinea il giudice tributario, “ricevuta la somma da parte dello scommettitore deve trasmetterla al bookmaker, verso cui ha un obbligo di rendicontazione, così in alcun modo la ricevitoria può traslare sullo scommettitore l’imposta”.

Il prelievo inoltre violerebbe anche il principio di eguaglianza, dal momento che accomuna “situazioni oggettivamente diverse sotto molteplici profili”. Il giudice sottolinea infatti che il bookmaker organizza le scommesse (scegliendo ad esempio gli eventi su cui raccogliere gioco e fissando le quote), mentre il centro “si limita a fornirgli il supporto logistico esterno, mettendolo in contatto materiale con i giocatori”. In sostanza “il bookmaker è parte del contratto di scommessa”, mentre “la ricevitoria si limita a ricevere le schede di partecipazione”. Di conseguenza, il ricevitore insomma non ha la possibilità propria del bookmaker “di incidere la ricchezza dello scommettitore mediante quote meno favorevoli” e di “rinvenire la provvista necessaria all’assolvimento del tributo nelle puntate raccolte”.
La Commissione di Rieti sottolinea che alcuni giudici hanno provato a superare questa obiezione ipotizzando accordi specifici tra bookmaker e ctd. Ma simili accordi evidenziano “l’inidoneità della norma a garantire da sola la ragionevolezza della discriminazione”.

Ancora, la norma violerebbe il principio di proporzionalità e di ragionevolezza. In pratica, secondo la Commissione Tributaria, manca un nesso “tra l’obiettivo della norma e i mezzi che il Legislatore ha approntato per il suo raggiungimento, essendo sufficiente per dubitare della sua costituzionalità, il riscontro della sua intrinseca irragionevolezza”. E quindi sottolinea che la legge del 2010 che ha assoggettato a tassazione i Ctd non è idonea a raggiungere gli obiettivi che si era fissata. “Non realizza alcuna equiparazione soggettiva” tra i ricevitori paralleli e quelli in concessione (i primi sarebbero sottoposti a tassazione, i secondi no) e tra bookmaker fuori concessione e operatori autorizzati (in questo caso i primi sono esenti, i secondi versano il prelievo).
I giudici tributari si sono scagliati anche contro il carattere retroattivo del prelievo: “Se è vero che non sussiste un divieto costituzionale delle leggi extrapenali retroattive, queste soggiacciono però ‘ad un più penetrante scrutinio, a salvaguardia dei fondamentali valori di civiltà giuridica posti a tutela dei destinatari della norma’” come aveva già evidenziato la Corte Costituzionale nel 2007. gr/AGIMEG