Decreto Dignità, AGCOM: violazione divieto pubblicità gioco, maxi sanzione da quasi un milione di euro per Twitch

L’Agcom, Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, ha ordinato alla società Twitch Interactive Germany Gmbh di pagare una sanzione di 900mila euro per la violazione del divieto di pubblicità dei giochi con vincite in denaro contenuto nel Decreto Dignità.

Nello specifico, sulla piattaforma di condivisione di video Twitch, è stata riscontrata la presenza di numerosi canali contenenti molteplici video, diffusi in streaming live o in differita, con contenuto di promozione o comunque di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro ovvero di invito alla pratica del gioco.

Ecco quanto si legge nella delibera:

Fatto, attività preistruttoria e contestazione

“A partire da giorno 2 agosto 2022 e sino a giorno 2 maggio 2023 sono pervenute diverse segnalazioni all’Autorità (prot. n. 237586 e 239679 del 02.08.2022, 242456, 242418, 242415, 292416, 242896, 242898 del 9 agosto 2022, prot. 241726 e 246548 del 22.08.2022, prot. n. 253215 del 2 settembre 2022, prot. 303212 del 21 ottobre 2022 e prot. n. 115891 del 2 maggio 2023) nelle quali venivano denunciate presunte violazioni dell’art. 9 del decreto dignità effettuate attraverso la piattaforma per la condivisione di video Twitch in relazione ad attività di pubblicizzazione di vincite realizzate attraverso casinò online e, in generale, con il gioco d’azzardo. A ciò occorre aggiungere che in data 20 febbraio 2023 è pervenuta all’Autorità una segnalazione (prot. n. 46310) dal nucleo speciale della Guardia di Finanza nella quale si segnalava la presenza su Twitch di numerosi canali contenenti molteplici video, diffusi in streaming live o in differita, con contenuto di promozione o comunque di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro ovvero di invito alla pratica del gioco d’azzardo, in presunta violazione – ad avviso del Nucleo medesimo – del divieto sancito nel decreto. Pertanto, a valle dell’attività preistruttoria, l’Autorità, esaminate ed aggregate le richiamate segnalazioni ai sensi dell’articolo 4, comma 6 del Regolamento sanzioni e alla luce della segnalazione trasmessa dalla Guardia di Finanza, ha contestato la presunta violazione dell’articolo 9 del Decreto dignità per la diffusione, sul servizio di piattaforma per la condivisione di video “Twitch”, di video in streaming live o in differita, di promozione o comunque di pubblicità, anche indiretta, di siti che svolgono attività di gioco e scommessa a pagamento, notificando, in data 16 maggio 2023, l’atto di contestazione n. 06/23/DSDI dell’8 maggio 2023, con nota prot. n. 122225 alla società Twitch Italia s.r.l. con sede legale in viale Monte Grappa 3/5, CAP 20124 Milano, alla società Amazon Europe Core Sàrl, con sede legale in 38 avenue John F. Kennedy, L-1855 Luxembourg, e alla società Twitch Interactive, Inc. c/o Corporation Service Company con sede legale a 2710 Gateway Oaks Drive, Suite 150N, Sacramento, CA 95833. Più precisamente, dalla navigazione sul servizio di piattaforma per la condivisione di video “Twitch”, è emerso che, attraverso i seguenti 48 canali di Twitch come di seguito contestati:

veniva realizzata la promozione, mediante i video caricati quotidianamente, di molteplici siti di gioco con vincite in denaro, mediante la riproduzione di sessioni di gioco registrate o in diretta (di slot machine o video lottery terminal) ovvero attraverso la rappresentazione di consumi di giochi con premi in denaro e che tutti i video invitano alla pratica del gioco d’azzardo o comunque incentivano all’acquisto e al consumo di giochi o scommesse con vincite in denaro, così realizzando un’attività promozionale del gioco medesimo nei confronti del pubblico. Inoltre, sebbene in diversi casi siano presenti disclaimer iniziali sulla pericolosità del gioco di azzardo o i canali siano indicati come destinati a maggiori di 18 anni, i contenuti video in violazione risultano liberamente accessibili su Twitch, salva l’attivazione delle impostazioni di limitazione all’accesso disponibili per la piattaforma; peraltro, in molteplici casi il soggetto del video induce il pubblico a ritenere che vincere denaro al gioco sia possibile e frequente e, alcuni soggetti, nel corso delle sessioni di gioco o nelle chat dei canali, enfatizzano le giocate e sottolineano la remuneratività e la convenienza di tale attività, anche attraverso il riferimento a bonus riscattabili”.

Deduzioni difensive e informazioni fornite dalla società

“In data 17 luglio 2023 (prot. n. 190863) la società ha presentato le proprie memorie difensive nelle quali ha osservato in via preliminare che la società Amazon Europe Core Sàrl (di seguito anche “AEC”) e la società Twitch Italia non hanno nulla a che vedere con la gestione del Servizio di condivisione di video Twitch. Inoltre, per quanto riguarda Twitch Inc., la società ha osservato che si tratta di una società di diritto statunitense, con sede legale a Sacramento in California. Di conseguenza, gli utenti italiani o residenti nel SEE instaurano rapporti con Società Twitch Interactive Germany Gmbh la quale, pertanto, è la sola entità del gruppo responsabile per il funzionamento della piattaforma a livello SEE e per la fornitura dei servizi oggetto del presente procedimento. In merito a quanto contestato dall’Autorità, la società ha preliminarmente affermato che l’articolo 4 delle Linee guida di attuazione dell’articolo 9 del Decreto Dignità adottate dall’Autorità escludono gli operatori stabiliti all’estero dal novero dei soggetti sanzionabili ai sensi del Decreto Dignità; di conseguenza, a suo dire, Twitch Inc. non sarebbe soggetta all’applicazione della normativa de quo. Inoltre, anche laddove tale circostanza non fosse ritenuta decisiva, la Società ha richiamato l’applicazione della normativa comunitaria sul commercio elettronico, in particolare la Direttiva e-commerce 2000/31/CE e il relativo decreto legislativo di recepimento in Italia n. 70/2003. In particolare, Twitch, nella sua qualità di Internet service provider, ha rivendicato l’applicazione della richiamata Direttiva nella parte in cui definisce il luogo di stabilimento del prestatore quale il luogo in cui esso esercita effettivamente e a tempo indeterminato un’attività economica mediante un’installazione stabile (ex articolo 2, co. 1, lett. c)), al contempo la società rileva che il prestatore non può, all’interno dell’ambito della Direttiva, subire nel paese di destinazione prescrizioni più rigorose di quelle previste dal Paese di origine. Inoltre, la società ha osservato che ai sensi della direttiva europea 2018/1808 ed in particolare dell’articolo 28-bis, il paese di stabilimento delineato da Twitch Inc. è la Germania, come confermato dall’Autorità tedesca competente di regolazione dei media (BLM) che ha accertato la propria giurisdizione riguardo alle attività di Twitch Inc.. Sulla base di tali considerazioni, la Società ritiene che l’intervento dell’Autorità sia più rigoroso rispetto alla normativa tedesca e, di conseguenza, in contrasto con i principi affermati a livello comunitario. La società ha inoltre sostenuto che la contestazione non tiene conto delle modalità di effettivo funzionamento del Servizio di live streaming denominato “Twitch.tv” (di seguito anche il “Servizio”). Al riguardo, Twitch, nel richiamare la normativa di settore, ribadisce di beneficiare di peculiari limitazioni di responsabilità, in base alla sua qualità di fornitore di servizi internet. Sul punto, specifica che il Servizio funziona principalmente come servizio di live streaming, “il che implica una trasmissione end-toend e quindi una memorizzazione altamente effimera dei contenuti, riconducibile alla cosiddetta attività di caching. Il Servizio dispone anche di alcune limitate funzionalità di streaming on-demand, che implicano invece una memorizzazione non transitoria dei contenuti e rientrano quindi nell’attività di hosting. In entrambi i casi, tuttavia, l’attività di Twitch Inc. risulta meramente tecnica, automatica e passiva rispetto ai contenuti inseriti dagli utenti (cosiddetti user generated content o “UGC”), in quanto consente semplicemente la trasmissione di tali contenuti, non agevolandone o promuovendone in alcun modo la diffusione. Il singolo canale è UGC e quindi creato e gestito autonomamente dall’utente”. Sulla base di tali considerazioni, Twitch afferma di non avere alcuna conoscenza preventiva o dettagliata delle informazioni trasmesse o memorizzate dagli utenti sui rispettivi canali, non essendo peraltro tenuta ad un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni trasmesse o memorizzate, né ad un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite, alla luce dell’art. 17 del Dlgs. 70/03. Sul punto, la parte richiama diversi pronunciamenti della giurisprudenza amministrativa e civile, che sostanzialmente “hanno escluso che il gestore di una piattaforma di condivisione di video o di una piattaforma di hosting e condivisione di file possa ritenersi responsabile, ai sensi dell’art. 3 della direttiva 2001/29/CE del 22.5.2001 sul diritto d’autore, di un atto di comunicazione al pubblico per il solo fatto che abbia messo a disposizione degli utenti la piattaforma digitale, in quanto sono gli utenti che risultano responsabili del caricamento del video sulla piattaforma”. Per quanto concerne il regime di responsabilità per l’attività di hosting, la società, richiamando l’art. 16 della Direttiva, nella parte in cui stabilisce che “Nella prestazione di un servizio della società dell’informazione, consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non è responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore: a) non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l’attività o l’informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illiceità dell’attività o dell’informazione; b) non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso”, afferma che Twitch Inc. si affida principalmente ai suoi utenti, o alle forze dell’ordine o ad altre autorità governative, per la segnalazione di comportamenti scorretti, in modo che il Servizio possa affrontarli in modo tempestivo. Peraltro, aggiunge che i propri utenti possono facilmente segnalare a Twitch Inc. comportamenti scorretti utilizzando la funzionalità di segnalazione in servizio disponibile su ciascun canale della piattaforma e che, qualora Twitch Inc. riceva una segnalazione da parte di un utente, un membro del team di moderazione la esamina per determinare se il contenuto violi i Termini di servizio (comprese le Linee Guida). In caso affermativo, il team adotta le misure correttive del caso. Per quanto riguarda la pubblicità, Twitch nelle proprie memorie ha illustrato la distinzione tra: la pubblicità che Twitch Inc. inserisce nel Servizio attraverso accordi con propri clienti pubblicitari e gli UGC che possono includere sponsorizzazioni, pubblicità o altri contenuti brandizzati. Ebbene, solo con riferimento alla prima categoria Twitch afferma di ottenere una remunerazione, a fronte di contratti con propri clienti pubblicitari; peraltro gli annunci pubblicitari in questione devono rispettare la rigorosa politica pubblicitaria di Twitch che vieta espressamente di pubblicizzare il gioco d’azzardo in Italia. D’altra parte, per ciò che concerne le pubblicità e le sponsorizzazioni che un utente può includere nei propri UGC, Twitch afferma di non essere in alcun modo coinvolta e che la responsabilità di rispettare i termini e condizioni e le Linee Guida del servizio grava in via esclusiva sul singolo utente. Sul punto, la società rileva che immaginare un controllo capillare sui singoli contenuti sarebbe, oltre che sproporzionato, oggettivamente impossibile. Ciò nonostante, Twitch osserva di aver comunque adottato regole severe per garantire che i suoi utenti rispettino le leggi in materia quando utilizzino il servizio. In particolare, con l’accettazione dei termini di servizio al momento della registrazione l’utente “accetta di non violare leggi, contratti, diritti di proprietà intellettuale o altri diritti di terzi, di non commettere atti illeciti, e di rispondere integralmente della propria condotta sui Servizi Twitch. L’Utente accetta di rispettare le presenti Condizioni per l’utilizzo del servizio e le Linee guida per la community Twitch e di non: i. creare, caricare, trasmettere, distribuire, o archiviare contenuti inesatti, illeciti, contraffatti, diffamatori, osceni, pornografici, invasivi della privacy o dei diritti di pubblicità, molesti, minacciosi, abusivi, istigatori, o comunque opinabili; […]”. Per quanto riguarda in particolare il gioco d’azzardo online, Twitch dichiara di aver integrato le sue Linee Guida, inserendo divieti specifici di condividere link o codici di affiliazione a siti che contengono slot, roulette o giochi di dadi, al fine di prevenire il rischio che gli utenti svolgano iniziative di gioco d’azzardo illegali, riservandosi il diritto di prendere provvedimenti contro i canali che violini tali divieti. Con specifico riferimento agli interventi correttivi di Twitch, la società ha osservato di essersi prontamente attivata al fine di rispondere alle richieste legittime dell’Autorità. Nello specifico, Twitch dichiara di aver intrapreso le seguenti azioni: (i) ha chiuso definitivamente sette dei canali indicati nella contestazione, che risultavano operare dall’Italia e trasmettere UGC legati al gioco d’azzardo: 1. https://www.twitch.tv/spikeslot 2. https://www.twitch.tv/casino_squad 3. https://www.twitch.tv/ilgabbrone 4. https://www.twitch.tv/tonytubo 5. https://www.twitch.tv/misterciko 6. https://www.twitch.tv/antontv_2k 7. https://www.twitch.tv/crazytime24h (Twitch rileva che il predetto canale è stato indicato due volte nella contestazione). A ciò la società ha aggiunto che tutti i contenuti de quo erano UGC e nessuno di questi, dunque, era stato inserito direttamente da Twitch. (ii) ha chiuso definitivamente quattordici dei canali indicati nella Contestazione, che non risultavano operare dall’Italia: 8. https://www.twitch.tv/massimo08it 9. https://www.twitch.tv/slotsmarko (Twitch fa notare che il predetto canale è stato indicato due volte nella Contestazione) 10. https://www.twitch.tv/gamblecaslover 11. https://www.twitch.tv/kafeneion _ 12. https://www.twitch.tv/fliptheswitch_eng 13. https://www.twitch.tv/bonuscafe247 14. https://www.twitch.tv/7justme 15. https://www.twitch.tv/bonustesterdeutsch; 16. https://www.twitch.tv/nerafpss; 17. https://www.twitch.tv/yuuri22_br; 18. https://www.twitch.tv/deutschtesterplay 19. https://www.twitch.tv/slotsgewinnede 20. https://www.twitch.tv/deplaytester (Twitch fa notare che il predetto canale è stato indicato due volte nella Contestazione) 21. https://www.twitch.tv/mflorencio_brasil. (iii) ha rilevato, con riguardo ai restanti ventiquattro canali segnalati, che essi non provenissero dall’Italia e che i loro contenuti non potessero essere considerati destinati al pubblico italiano, in quanto la lingua utilizzata non è l’italiano.

Nei confronti di tali ultimi canali, Twitch ha dichiarato di non aver preso alcun provvedimento, ritenendo non configurabile la promozione del gioco d’azzardo in quanto una loro gran parte è in lingue probabilmente incomprensibili per l’utente medio italiano. Sul punto, la parte ha osservato che “l’uso della lingua è stato considerato un fattore chiave in caso di condotte transfrontaliere per stabilire l’applicabilità della legge nazionale e la giurisdizione delle autorità italiane, nonché per escludere entrambe”. Specialmente in materia di hosting provider, la società ha richiamato la giurisprudenza nazionale nella parte in cui ha chiarito che sussiste giurisdizione italiana quando “la società attrice della causa ha sede in Italia e il danno si è ivi verificato, attraverso l’illecita diffusione di filmati in lingua italiana nell’area di mercato in cui l’attrice svolge la propria attività e sfrutta i programmi oggetto dell’illecito” (in ambito consumeristico, cfr. Consiglio di Stato, 13 gennaio 2015, n. 253; T.A.R. Roma, Sez. I, 19 aprile 2007, n.3451). Inoltre, la società richiama la decisione n. 122/09 dell’Istituto di Autodisciplina pubblicitaria (IAP), che ha chiarito che la mera conoscibilità di messaggi non preordinati alla promozione della vendita presso i consumatori italiani (ad esempio, perché non in lingua italiana) non risulta sufficiente a qualificare tali messaggi come comunicazioni commerciali soggette alle norme del codice del consumo. Sotto diverso aspetto, Twitch ha sottolineato che la propria attività e i propri interventi sono sempre ispirati ad uno spirito collaborativo nei rapporti con le autorità di regolamentazione e che, nel caso di specie, ritiene di poter beneficiare della clausola di esonero dalla responsabilità di cui all’articolo 16 del D.lgs. n. 70/2003. Con riguardo a quanto attiene ai profili sanzionatori, Twitch ritiene che all’esito del presente procedimento debba escludersi qualsivoglia sanzione. Tuttavia, nell’eventualità che l’Autorità decida di orientarsi diversamente, la parte auspica venga valorizzato che ogni profilo di responsabilità di Twitch sarebbe un “mero riflesso” delle condotte ascrivibili agli utenti della piattaforma e che non sussisterebbe alcun atto o condotta di Twitch volta a favorire la diffusione di contenuti illeciti. Inoltre, imporre una sanzione anche pari al minimo edittale previsto dalla normativa vigente ai fini della sanzione, oltre a tradursi in un intervento sproporzionato e “sovra deterrente”, creerebbe uno scenario insostenibile in base al quale Twitch sarebbe obbligato a effettuare controlli capillari su tutti i contenuti e sanzionare gli utenti che non abbiano svolto attività illegali nel paese in cui trasmettono i contenuti streaming, oltretutto, in assenza di una legge che imponga tali obblighi. In conclusione, Twitch ha segnalato che il presente procedimento costituisce uno dei primissimi interventi in materia di gioco d’azzardo da parte dell’Autorità, rilevando come nessuna delle società del gruppo di appartenenza sia mai incorsa prima in provvedimenti sanzionatori del genere; pertanto, la società auspica che venga valorizzata la propria condotta procedimentale ispirata alla massima collaborazione con l’Autorità”.

Sul valore economico delle pubblicità

“Successivamente, con nota trasmessa in data 27 luglio 2023 (prot. n. 201709), l’Autorità, tenuto conto di quanto previsto dall’articolo 9, comma 2, del Decreto dignità – a norma del quale la violazione del divieto di pubblicità di giochi con vincite in denaro è punita con l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria “di importo pari al 20 per cento del valore della sponsorizzazione o della pubblicità” -, ha richiesto ogni più utile informazione funzionale alla determinazione del “valore della sponsorizzazione o della pubblicità” avuto riguardo alla fattispecie oggetto di contestazione, ed in particolare ogni tipo di ricavo da pubblicità diretta o indiretta (ivi inclusi i ricavi da abbonamento al canale, pubblicità di annunci in stream, video discovery, annunci outstream e annunci bumper) afferenti a ciascuno dei sopra richiamati canali Twitch. Pertanto, con nota pervenuta in data 8 settembre 2023 (prot. N. 259468), la società Twitch ha dichiarato che, a seguito di un esame approfondito di ciascuno dei 48 canali attenzionati dall’Autorità, ha intrapreso le seguenti azioni: (i) ha riscontrato che 3 canali erano indicati due volte nella Comunicazione, con conseguente riduzione a 45 del numero dei canali segnalati; (ii) ha chiuso 7 canali operanti in Italia in quanto riconducibili al perimetro della Comunicazione; (iii) ha chiuso 11 canali per altre violazioni delle policies del Servizio di Twitch, non correlate all’oggetto della Comunicazione; (iv) ha adottato un’ulteriore misura straordinaria con riguardo ai restanti canali, consistente nell’applicazione di un blocco ai live stream dei canali, in modo tale da impedire la visione dei live stream dei canali considerati in Italia (c.d. geoblocking). In sostanza, la società, pur ribadendo quanto affermato nella precedente memoria difensiva, ha comunque deciso di adottare la misura straordinaria del geo-blocking al fine di stabilire un rapporto con l’Autorità improntato su fiducia e trasparenza. Pertanto, la società sostiene di aver adottato misure adeguate in relazione a tutti i canali contestati nella Comunicazione. Con riguardo al rapporto con gli streamer, Twitch chiarisce in via preliminare che i termini di Servizio, che incorporano le Linee Guida della società, costituiscono un contratto che si applica a tutti gli spettatori e gli streamer, a prescindere dall’esistenza di ulteriori contratti. Attraverso tali documenti, la società mira a stabilire standard di comportamento, incluso il divieto di trasmettere contenuti illegali. Per quanto concerne le modalità di stipula degli ulteriori accordi contrattuali con gli streamer in relazione alla monetizzazione dei loro contenuti, Twitch ha evidenziato come la maggioranza di essi “su Twitch inizia come streamer c.d. “regular”, non monetizzati, il che significa che Twitch non visualizza annunci pubblicitari né gestisce prodotti di monetizzazione sui loro canali. Dei 45 canali riportati nella Comunicazione (48 canali meno i 3 ripetuti), 19 sono streamer regular. Twitch non ha accordi contrattuali di monetizzazione aggiuntivi con questi streamer, non monetizza questi canali e questi streamer non guadagnano nulla da Twitch in relazione ai loro canali”. Inoltre, la società ha osservato che, se uno streamer riceve una certa quantità di engagement e soddisfa altri criteri minimi, diventa idoneo a partecipare al programma di affiliazione e, se uno streamer raggiunge ulteriori milestones ed engagement, può essere ammesso a partecipare al programma di partnership. Con specifico riferimento al caso de quo, Twitch ha affermato che dei 48 canali individuati nell’atto di contestazione (rectius 45 in quanto 3 sono ripetuti), 26 canali fanno parte del programma di affiliazione o di partnership (9 streamer sono partner e 17 sono affiliati). Di questi 26 canali, solo 6 sono canali relativi ad affiliati o partner che trasmettono dall’Italia. Inoltre, ha aggiunto che il meccanismo di monetizzazione sui canali degli streamer viene attivato con la partecipazione ai programmi di affiliazione e partnership. In particolare, relativamente al programma di affiliazione la società ha affermato che “se uno streamer riceve una certa quantità di engagement e soddisfa altri criteri minimi, diventa idoneo a partecipare al programma di affiliazione”, rinviando per ulteriori informazioni sui criteri relativi al programma di affiliazione al seguente link: https://help.twitch.tv/s/article/joining-the-affiliate-program?language=it. Relativamente, invece, al programma di partnership la società ha affermato che “se uno streamer raggiunge ulteriori milestones ed engagement, può essere ammesso a partecipare al programma di partnership”, rinviando per ulteriori informazioni sui criteri al programma di partnership, si rinvia al seguente link: https://help.twitch.tv/s/article/partner-program-overview?language=it. Di conseguenza, ha affermato che lo streamer che partecipa ai programmi di affiliazione e partnership condivide con Twitch alcuni ricavi derivanti da: gli annunci pubblicitari inseriti sul proprio canale da Twitch, gli abbonamenti acquistati dal proprio pubblico al proprio canale e, infine, i c.d. “Bit” (ovvero beni digitali mediante i quali l’utente può esprimere apprezzamento del canale nella community)”. Per quanto riguarda poi gli annunci pubblicitari sul canale dello streamer, la società ha inteso chiarire ulteriormente le differenze tra gli annunci pubblicitari inseriti da Twitch in modalità pre-roll o in-roll, su cui la piattaforma ha la piena responsabilità, rispetto a qualsiasi annuncio pubblicitario scelto direttamente dal content creator all’interno dei propri video che lo può scegliere di inserire sul proprio canale o sui propri contenuti. In particolare, viene affermato che “gli annunci pubblicitari inseriti da Twitch sul canale di uno streamer sono il meccanismo pubblicitario ufficiale di Twitch, in cui Twitch contratta direttamente con gli inserzionisti. Le Linee guida sulla pubblicità e le Politiche di accettazione di Twitch sono applicabili agli inserzionisti con cui Twitch stipula direttamente i contratti. Twitch dispone di un processo consolidato e completo che regola tutte le pubblicità acquistate e vendute da Twitch. In particolare, dopo aver acquisito questi annunci direttamente dai clienti pubblicitari, il team di Twitch che si occupa delle operazioni sugli annunci esaminerà l’annuncio per confermare che sia conforme alle Linee guida e alle Politiche di accettazione degli annunci di Twitch”. Oltre a questi documenti che sono pubblici, Twitch afferma di disporre di “politiche interne che regolano le restrizioni sui contenuti pubblicitari, anche per quanto riguarda i contenuti di gioco d’azzardo, che sono anche specifiche per ogni paese. Tutte le inserzioni vengono dunque esaminate e valutate in base alle Linee guida e alle Politiche di accettazione della pubblicità di Twitch e alle politiche interne di Twitch prima di essere approvate e rese pubbliche. Se l’inserzione proposta viola queste politiche, i clienti pubblicitari vengono contattati e vengono fornite loro le motivazioni del diniego di pubblicazione. Gli annunci pubblicitari inseriti da Twitch sui canali degli Affiliati o dei Partner (si ricorda che non vengono inseriti annunci sui canali che non partecipano a tali programmi) sono soggetti alla rigorosa politica pubblicitaria di Twitch che vieta gli annunci sul gioco d’azzardo in Italia. Non sono pertanto inseriti annunci sul gioco d’azzardo”. Per quanto riguarda, al contrario, la pubblicità e le sponsorizzazioni generate dagli stessi streamer (c.d. “Branded Content”), Twitch ha osservato che questi costituiscono contenuti promozionali negoziati ed eseguiti tra lo streamer e un inserzionista. Pertanto, Twitch sottolinea di non essere coinvolta in questa tipologia di accordi privati né di esserne informata; di conseguenza, Twitch non opera alcun controllo preventivo sui Branded Content. Di conseguenza, afferma la società, “gli streamer sono pertanto responsabili di garantire la conformità legale dei Branded Content e che questi rispettino i Termini di Servizio, le Linee guida della community e le Linee guida dei Branded Content di Twitch. Tutti gli streamer accettano questi termini e Linee guida quando registrano un account su Twitch. Alla luce di quanto precede, dunque, quando si considerano i ricavi ottenuti da Twitch in relazione ai 26 canali attenzionati, è importante sottolineare che in nessun caso Twitch ha inserito pubblicità di gioco d’azzardo o si è impegnata in una sponsorizzazione o promozione di contenuti di gioco d’azzardo in Italia”. Sulla base di tali considerazioni, la società ha affermato di non aver conseguito ricavi corrispondenti ad alcuna sponsorizzazione di contenuti di gioco d’azzardo o da pubblicità su nessuno dei canali oggetto di Contestazione dell’Autorità. Pertanto, Twitch ritiene non vi siano i presupposti per l’irrogazione di una sanzione poiché la società non ha ottenuto alcun guadagno dalla pubblicità del gioco d’azzardo in Italia, ribadendo di aver sempre rispettato la legge italiana nelle proprie pratiche pubblicitarie. In conclusione, Twitch rileva di aver risposto prontamente e di aver posto rimedio all’eventuale non conformità da parte dei proprietari di taluni canali rispetto alla legge italiana in materia di gioco d’azzardo, ritenendo di aver correttamente operato in seguito alla ricezione della Comunicazione e, perciò, ritiene di non essere suscettibile di sanzione”.

Risultanze istruttorie e valutazioni dell’Autorità

“Sulla carenza di legittimazione passiva delle società Twitch Italia s.r.l., Amazon Europe Core Sàrl, e Twitch Interactive, Inc. c/o Corporation Service Company L’Autorità prende atto di quanto dichiarato dalle Società Twitch Italia s.r.l., Amazon Europe Core Sàrl, e Twitch Interactive, Inc. c/o Corporation Service Company individuando, per l’effetto, esclusivamente la Società Twitch Interactive Germany Gmbh con sede legale a Marcel-Breuer-Str. 12, 80807 Monaco, Germania, la quale, pertanto, è la sola entità del gruppo responsabile per il funzionamento della Piattaforma a livello SEE e per la fornitura dei servizi oggetto del presente procedimento. – Sul rapporto tra l’articolo 9 del Decreto dignità e il principio del paese di origine Con riferimento alle argomentazioni svolte dalla Società relative all’asserita liceità delle condotte oggetto di contestazione, appare opportuno procedere, in via preliminare, ad una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento allo scopo di chiarire quali siano le condotte che il legislatore considera illecite. L’articolo 9 del sopra citato Decreto dignità prescrive che “al fine di un più efficace contrasto del disturbo da gioco d’azzardo è vietata qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro nonché al gioco d’azzardo, comunque effettuata e su qualunque mezzo, incluse le manifestazioni sportive, culturali o artistiche, le trasmissioni televisive o radiofoniche, la stampa quotidiana e periodica, le pubblicazioni in genere, le affissioni e i canali informatici, digitali e telematici, compresi i social media […]”. Il comma 2 del richiamato articolo, al fine di rafforzare la portata dissuasiva della sanzione che assiste il divieto sancito al primo comma, ha previsto che siano responsabili dell’illecito: (1) “committente”, (2.1) “proprietario del mezzo o del sito di diffusione”, (2.2) “proprietario del mezzo o del sito di destinazione” e (3) “organizzatore della manifestazione, evento o attività”. Invero, la ratio del divieto, che giustifica l’ampiezza del perimetro soggettivo e oggettivo di applicazione, risiede nell’esigenza di contrastare il fenomeno della ludopatia, (qualificato oggi come “disturbo da gioco d’azzardo”, c.d. DGA, ai sensi dell’articolo 9, comma 1-bis del Decreto dignità) e di rafforzare la tutela del consumatore/giocatore, con particolare riferimento alle categorie vulnerabili (giocatori patologici, minori, anziani, etc.). Ai fini dell’irrogazione della sanzione trova applicazione la legge n. 689/81, espressamente richiamata dalla norma. Come chiarito, l’articolo 9 del Decreto dignità punisce il committente, il proprietario del mezzo o del sito di diffusione o di destinazione e l’organizzatore della manifestazione, evento o attività responsabili della propria azione od omissione “cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”. Come confermato da costante giurisprudenza, non rileva che il proprietario del mezzo o del sito sia o possa essere “consapevole” dell’illiceità del messaggio pubblicitario con la conseguenza che, ai fini della relativa imputazione, la colpa si presume. Nel caso di specie, il legislatore ha infatti ritenuto di porre in capo a tutti i soggetti obbligati il divieto di realizzare “qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro nonché al gioco d’azzardo, comunque effettuata e su qualunque mezzo” al fine di assicurare un contrasto serio ed effettivo nei confronti dei pericoli connessi alla pubblicità (tanto più se propagata con un mezzo così pervasivo come il mezzo internet) dei giochi a pagamento con vincite in denaro. Il divieto ha, dunque, una portata così ampia che in capo ai soggetti obbligati non residuano margini di discrezionalità sulla possibile liceità di contenuti afferenti a giochi con vincite in denaro. L’Autorità, con la richiamata delibera n. 132/19/CONS, ha adottato le Linee guida con l’obiettivo di coordinare le nuove previsioni del Decreto dignità con l’articolata disciplina di settore previgente, non incisa dall’intervento legislativo, e con i principi costituzionali e dell’Unione europea. Segnatamente, le Linee guida si prefiggevano di fornire chiarimenti interpretativi rispetto all’applicazione dell’articolo 9, ma limitatamente ai servizi media tradizionali. Come chiarito dal TAR del Lazio nella sentenza n. 11036/2021 le Linee guida non trovano applicazione rispetto al settore dell’online e, più in generale, rispetto agli operatori del settore in parola non stabiliti in Italia in quanto si configurerebbe, altrimenti, “una inammissibile limitazione, ad opera di un atto amministrativo, dell’efficacia di una norma di legge”. – Sul regime di responsabilità di Twitch in ragione della sua natura di hosting provider. In tema di responsabilità, la società ritiene relativamente agli illeciti commessi dai 48 (rectius 45 in funzione della rilevata presenza di errore materiale sul conteggio dei canali) di poter beneficiare del regime speciale di esenzione delineato dal quadro normativo di riferimento, in ragione della propria natura di hosting provider per la piattaforma di condivisione video Twitch. A tale riguardo, la società richiama, la Direttiva e-commerce ed in particolare, l’articolo 16 del Decreto e-commerce (oggi articolo 6 del DSA), nonché la relativa giurisprudenza unioniale e nazionale sul tema, da cui emergerebbe che “[…] nella prestazione dei servizi di cui agli articoli 14, 15 e 16, il prestatore non è assoggettato ad un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmette o memorizza, né ad un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite” (articolo 17 del Decreto e-commerce, oggi articolo 8 del DSA). In particolare, ai sensi dell’articolo 6 del DSA «nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore del servizio non è responsabile delle informazioni memorizzate su richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore: a) non sia effettivamente a conoscenza delle attività o dei contenuti illegali e, per quanto attiene a domande risarcitorie, non sia consapevole di fatti o circostanze che rendono manifesta l’illegalità dell’attività o dei contenuti; oppure b) non appena venga a conoscenza di tali attività o contenuti illegali o divenga consapevole di tali fatti o circostanze, agisca immediatamente per rimuovere i contenuti illegali o per disabilitare l’accesso agli stessi» (enfasi aggiunta). Orbene, la disciplina richiamata prevede espressamente che il prestatore possa invocare l’esenzione di responsabilità laddove ricorra una o entrambe le seguenti condizioni: (1) non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l’attività o l’informazione è illecita, e (2) “non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso”. Come si dirà nei successivi paragrafi, la tesi sostenuta dalla Società in base alla quale la responsabilità dell’hosting provider per la mancata rimozione dei contenuti sorge solo a seguito di una “comunicazione delle autorità competenti” non appare accoglibile essendo quest’ultima ipotesi solo una delle due previste eccezioni per poter invocare l’esenzione di responsabilità. Infatti, sebbene l’articolo 8 del DSA (ex articolo 17 del Decreto e-commerce) preveda che l’hosting provider non abbia un obbligo generale di controllo delle informazioni memorizzate, né un obbligo generale di cercare attivamente fatti o circostanze che indichino un’attività illecita, è altresì chiaro che al fine di poter invocare l’esenzione generale di responsabilità la piattaforma non deve essere in alcun caso a conoscenza dell’illiceità del contenuto trasportato. La conoscenza effettiva dell’illiceità dei contenuti trasportati rende infatti responsabile la piattaforma stessa a prescindere dalla segnalazione derivante dall’autorità amministrativa o giudiziaria competente. A tal riguardo, è necessario osservare che, con specifico riferimento alla natura di hosting provider, il Decreto dignità ha inteso adottare una norma generale che non consente in alcun modo di promuovere direttamente o indirettamente giochi con vincite in denaro. In altre parole, il legislatore italiano ha introdotto un divieto assoluto del tutto analogo a quello in tema di pubblicità del tabacco. Tale divieto è ancora più stringente nei casi in cui, come quello in oggetto, i contenuti diffusi rientrano in più canali, ben identificati e noti a Twitch, come confermato dalla stessa società, che in funzione del relativo successo presso i propri utenti ha contattato taluni (26) content creator tra quelli individuati nell’atto di contestazione, offrendogli a valle di un’attività di verifica sul canale e su relativi contenuti un contratto di natura economica nonché la possibilità di accedere ad una serie di vantaggi di natura non economica ma legati all’attività stessa. Tale condizione è dunque profondamente diversa rispetto agli innumerevoli contenuti caricati dagli utenti senza alcuna compartecipazione alle procedure di monetizzazione, per i quali è oggettivamente e tecnicamente complesso ipotizzare meccanismi di vigilanza preventiva. Occorre, infatti rilevare, che la disciplina giuridica dell’hosting provider è risalente (introdotta infatti dalla direttiva 2000/31/CE, cd. Direttiva e-commerce) e che, proprio in ragione del rapidissimo sviluppo tecnologico, la stessa è stata oggetto di numerosi chiarimenti e mutamenti giurisprudenziali che ne hanno tracciato una più puntuale perimetrazione soggettiva (addivenendo anche alla nota distinzione tra hosting attivo e passivo). Con specifico riferimento alla giurisprudenza nazionale e, in particolare, unionale, questa si è pronunciata in più occasioni sulla nozione di hosting provider (Cassazione Civile Sez. I, sentenza n. 39763/2021, Cassazione Civile Sez. I, sentenza n. 7708/2009, Corte di giustizia UE 7 agosto 2018, Cooperatieve Vereniging SNBREACT U.A. c. Deepak Mehta, C-521/17, Corte di giustizia UE 11 settembre 2014, C-291/13, Sotiris Papasavvas, Corte di giustizia UE 12 luglio 2011, C-324/09, L’Oréal c. eBay International, Corte di giustizia UE 23 marzo 2010, da C-236/08 a C-238/08, Google c. Luis Vuitton) chiarendo che il regime generale di esenzione di responsabilità è in primis soggetto al rispetto delle due condizioni previste dall’articolo 16 del Decreto e-commerce sopra menzionate. In particolare, è stato chiarito che occorre verificare in concreto (case by case) l’eventuale partecipazione della piattaforma rispetto ai contenuti da essa veicolati. La Corte di giustizia dell’Unione europea ha, infatti, rilevato che è sufficiente che il prestatore di servizi sia stato, in qualunque modo, al corrente di fatti o circostanze in base ai quali un operatore economico diligente avrebbe dovuto constatare l’illiceità di cui trattasi e agire conformemente all’articolo 14, paragrafo 1, lettera b), della citata Direttiva e-commerce (sentenza del 12 luglio 2011, L’Oréal C‑324/09, EU:C:2011:474, punto 122). Inoltre, e più di recente, la Suprema Corte di cassazione (sez. I Civile, sentenza n. 7708/2019) ha precisato che “(l)a figura dell’hosting provider attivo va ricondotta alla fattispecie della condotta illecita attiva di concorso. […] Gli elementi idonei a delineare la figura o “indici di interferenza” da accertare in concreto ad opera del giudice del merito, sono – a titolo esemplificativo e non necessariamente tutte compresenti – le attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti/ operate mediante una gestione imprenditoriale del servizio, come pure l’adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione: condotte che abbiano, in sostanza, l’effetto di completare ed arricchire in modo non passivo la fruizione dei contenuti da parte di utenti indeterminati” (enfasi aggiunta) . Ed ancora, la medesima Corte ha chiarito, proprio in linea con quanto già affermato in merito alla conoscenza dei contenuti trasportati dalla piattaforma, da ultimo e per quanto qui di interesse, che in ragione dello specifico ruolo svolto dalla piattaforma è possibile rilevare almeno due diverse figure: hosting provider attivo e passivo, affermando, al riguardo, che “i servizi prestati on line e, segnatamente, l’attività di hosting hanno subito nel corso degli ultimi anni un’evoluzione radicale. La cernita ed il riordino dei contenuti, lungi dall’essere assorbiti dalla nozione di mera memorizzazione, sono invece oggigiorno il cuore dell’attività economica di un hosting provider. Grazie a sistemi di data mining (insieme di tecniche e metodologie che hanno per oggetto l’estrazione di informazioni utili da grandi quantità di dati attraverso metodi automatici o semi-automatici e il loro utilizzo scientifico, aziendale, industriale o operativo) e di elaborazione massiva di big data, questi prestatori di servizi sono in grado di trarre enormi guadagni dalla loro attività di hosting. Attraverso complessi sistemi di profilazione dell’utenza, gli operatori hanno la capacità di intercettare le preferenze dell’utenza, in modo da variare l’offerta dei contenuti a seconda dei 9 di 16 destinatari e di aumentare a dismisura le visualizzazioni, di fatto contribuendo, in modo causalmente determinante, alla diffusione o meno di prodotti illeciti. Traendo le dovute conclusioni, è evidente che i fatti accertati giustificano l’inquadramento dell’attività svolta dalla ricorrente nel paradigma dell’hosting provider attivo.” (così Cass., ordinanza del 13 dicembre 2021, n. 39763). In altri termini, osserva la Cassazione, l’evoluzione tecnologica e la capacità di elaborare in modo automatizzato quelle informazioni e quei dati, che prima erano solo “ospitati”, temporaneamente o definitivamente sui server, comporta che oggi essi siano “elaborati” per trarre ulteriori profitti e, quindi, risulta oggi non più predicabile alcuna presunzione di “ignoranza” sui contenuti ospitati per conto terzi. Tanto premesso, si osserva che di regola tra l’utente comune, che crea contenuti (c.d. “content creator”) e li carica sulla piattaforma, e quest’ultima intercorre sempre un rapporto negoziale mediante la stipula di un “contratto per adesione”, in quanto è sufficiente l’accettazione delle clausole unilateralmente predisposte dal fornitore del servizio intermediario da parte del content creator, affinché il rapporto sinallagmatico si perfezioni. Ebbene, poiché da tale negozio non deriva un impegno da parte della piattaforma a verificare preventivamente i contenuti da caricare, qualora uno di questi violasse il Decreto Dignità si dovrà ritenere che l’effettiva conoscenza della illiceità del contenuto caricato da parte della piattaforma ospitante derivi (o comunque sia dimostrabile), di fatto, solo dall’atto di contestazione dell’Autorità che qualifica il contenuto specifico come illecito. Tuttavia, si osserva come ai content creator che raggiungono una certa quantità di engagement e soddisfano altri criteri minimi (programma affiliazione) o ulteriori milestones ed engagement (programma partnership) viene data la possibilità di aderire ai suddetti programmo offerti dal prestatore di servizio intermediario in relazione al raggiungimento dei descritti indicatori. Trattasi, da un punto di vista civilistico, di un “invito a proporre” cui non consegue l’automatica instaurazione del rapporto contrattuale. Come già evidenziato, nel caso de quo, i 26 canali hanno presentato formale istanza di diventare prima affiliati e partner di Twitch (9 streamer sono partner e 17 sono affiliati). Per valutare l’accessibilità dello streamer al programma, la Società avvia le proprie attività di verifica in un arco temporale dichiarato dalla stessa non inferiore a due giorni per ciascuna istanza. In base a quanto illustrato, si ritiene, in particolare, che la società non possa invocare nel caso in esame la clausola di esenzione di responsabilità essendo, invece, “edotta” dei contenuti veicolati dai 26 content creator affiliati e partner di Twitch e del livello di interesse generato da tali contenuti tra i fruitori, comprovato dalla circostanza che ha ammesso ai singoli creator a diventare “creator affiliati” e successivamente “creator partner” e ciò senza considerare che i video si pongono in contrasto con il divieto sancito dal citato articolo 9 del Decreto dignità in quanto gli stessi pubblicizzano siti di giochi online con vincite in denaro. In particolare, con specifico riguardo alla posizione di Twitch e alla qualificazione dell’attività svolta, dagli atti del procedimento è emerso come la Società non si limiti ad ospitare presso i propri server, con modalità puramente tecniche, passive ed automatiche, i contenuti caricati dagli utenti. Occorre rilevare, in particolare, che 26 canali oggetto di contestazione, rientrando nella qualifica di affiliati e partner di Twitch, come descritto dalla stessa Società, si differenziano chiaramente e nettamente dagli altri 19 canali ivi presenti e di cui la piattaforma non conosce alcun contenuto o linea editoriale. – Sui canali regular di Twitch Relativamente ai 19 canali cd regular, tra quelli individuati nell’atto di contestazione, ossia quelli in cui il content creator non ha alcun siglato nessun contratto con la società e dunque non accede a nessun meccanismo di monetizzazione dei propri contenuti diffusi su tale piattaforma di condivisione né altri benefici (di altra natura descritti nel paragrafo successivo) si osserva quanto segue. In particolare, si ritiene che tali canali Twitch non essendo stati visionati e verificati e dunque non soggetti ad alcun controllo tecnico ed umano in un arco temporale ben definitivo, non possano comportare alcuna responsabilità in capo alla piattaforma circa i contenuti illeciti ivi diffusi da parte di diversi content creator. Al riguardo, si osserva che ai sensi dell’articolo 15 della Direttiva e-commerce, oggi sostituito dall’articolo 8 del DSA non è possibile imporre alcun obbligo generale di sorveglianza nei confronti dei prestatori di servizi intermediari relativamente alle informazioni che questi trasmettono o memorizzano, né di accertare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illegali. Parimenti, non è possibile affermare, ai sensi dell’articolo 14 della Direttiva e-commerce, oggi sostituito dall’articolo 6 del DSA, che nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, Twitch sia responsabile delle informazioni memorizzate su richiesta dei 20 content creator che hanno diffuso contenuti in violazione dell’articolo 9 del Decreto Dignità. Non ricorrono dunque elementi atti a dimostrare che la società fosse “effettivamente a conoscenza delle attività o dei contenuti illegali” (ex art. 6, comma 1, lett. a) del DSA). – Sui canali affiliati e partner di Twitch Con specifico riferimento, invece, ai 26 canali con cui la società ha dichiarato di aver sottoscritto uno specifico contratto di affiliazione/partnership, occorre osservare quanto segue. In generale, in merito ai meccanismi di funzionamento dei due diversi rapporti contrattuali con la piattaforma e i propri content creator “di successo”, occorre notare che entrambe le due diverse modalità di collaborazione (affiliazione e partner) prevedono una preliminare valutazione da parte della piattaforma, prima di concludere il contratto, volta all’analisi dei contenuti del canale in questione. In particolare, la società dichiara nella sezione del proprio sito dedicato alle informazioni utili all’utente per diventare un affiliato che è necessario il raggiungimento di 4 soglie da parte del canale del content creator 1) 50 follower, 2) trasmettere per almeno 8 ore 3) trasmettere per almeno 7 giorni differenti e 4) raggiungere una media di almeno 3 spettatori. Al raggiungimento di detti obiettivi è la piattaforma stessa che contatta il proprio content creator sia via mail che mediante specifiche notifiche sul canale Twitch in questione. Al riguardo, la società afferma che “Prima che il canale ottenga l’idoneità per ricevere un invito potrebbero essere necessari alcuni giorni”. A ciò occorre aggiungere che è la piattaforma stessa che invita i propri content creator a diventare un proprio affiliato invitandoli in primis ad accedere a strumenti di “monetizzazione” (che, in pratica si traduce in “fare il tifo con i bit”, “abbonamenti” “entrate pubblicitarie” e “hype Chat”), nonché con nuovi e dedicati strumenti video (quali: “opzioni di transcodifica, streaming per abbonati, VOD e archi riservati, archiviazione dei VOD aumentata da 7 a 14 giorni” etc.). Al fine di consentire ai propri content creator di accedere a tale collaborazione, la società ha altresì creato una “scuola di streaming”. Inoltre, come sopra riportato, Twitch consente ai propri content creator già affiliati di accrescere il proprio ruolo accedendo al programma partner che prevede maggiori guadagni e maggiori benefici. Al riguardo la società, nella specifica sezione del sito dedicata al programma partner, dichiara che “Stiamo cercando partner che possano essere dei modelli per la community e soddisfare i criteri indicati più avanti”. Per quanto concerne i criteri per accedere al programma partner, la società afferma che 1) è necessario completare determinati obiettivi e 2) rispettare le proprie Linee Guida e Condizioni per l’utilizzo del Servizio (in tale parte si afferma che “Nella valutazione delle candidature valutiamo anche lo storico delle sospensioni). Occorre altresì notare che la società su tali aspetti aggiunge che in alcune circostanze, potremmo accettare delle candidature al di fuori di tali criteri. Alcuni casi potrebbero valutare una crescita eccezionale del numero di spettatori, o un pubblico consolidato su altre piattaforme. Ciò chiarito, con riguardo a tali canali, si ribadisce che la società non può avvalersi della condizione generale di esenzione di responsabilità di cui all’articolo 6 del DSA avendo la stessa avuto effettiva conoscenza dell’illecito in ragione delle procedure di verifica da questa effettuate a fronte dell’espressa richiesta da parte di un content creator. Come già evidenziato, la società ha invitato ciascun content creator a diventare proprio affiliato (19) e in alcuni casi (7) partner di Twitch. Come descritto, la società a valle dell’analisi effettuata in un arco temporale ben delineato (48 ore) ha verificato i contenuti diffusi presso tali canali e in ragione del “successo” di taluni di questi (a valle di un’analisi effettuata) e ne ha riconosciuto lo status di affiliati (che in ragione del successivo successo può diventare partner). In particolare, si osserva che una volta divenuto controparte di Twitch un content creator può accrescere la sua fonte di remunerazione non solo attraverso una revenue sharing del valore economico delle pubblicità diffuse da Twitch in fase di pre-roll e in-roll in funzione delle visualizzazioni ottenute, ma anche attraverso altre forme di vantaggio per il content creator in termini di spazio VOD di archiviazione ma soprattutto lo “stemma di utente verificato” https://link.twitch.tv/ChatBadges. Come, quindi, dichiarato dalla piattaforma i content creator in questione prima di diventare partner della stessa hanno ottenuto, a valle di una attività di verifica in un arco temporale ben delineato, lo status di utente verificato. Inoltre, proprio tale meccanismo, si osserva, ingenera nell’utente utilizzatore finale del servizio Twitch un rapporto di fiducia in ragione del fatto che detti content creator hanno ottenuto la verifica positiva da parte della piattaforma. Ne discende pertanto che la società, come ampiamente riportato era o avrebbe dovuto essere al corrente dell’illeceità di tali contenuti avendo di propria iniziativa contattato, verificato ed autorizzato la collaborazione economica con tali soggetti. Nessuna condizione di esenzione di responsabilità è possibile invocare per tali soggetti in ragione del fatto che questi non hanno fatto nulla per rimuovere i numerosi contenuti illeciti diffusi quotidianamente presso la piattaforma Twitch. Dalla semplice visione dei video diffusi attraverso i suddetti canali emerge infatti il chiaro intento di promuovere siti di gioco con vincite in denaro che la piattaforma, attraverso l’attività di verifica svolta, avrebbe potuto e dovuto riscontrare. Infine, considerata la connotazione tipicamente nazionale del divieto in esame – che mira al rafforzamento della tutela del consumatore e, segnatamente, all’efficace contrasto del disturbo da gioco d’azzardo – e vista la natura di video sharing platform del prestatore che viene in rilievo nel presente procedimento, fermo il potere di adottare ordini di notice & take down e notice & stay down, si ritiene che, in ossequio al principio di proporzionalità e di responsabilità in tema di sanzioni amministrative, la sanzione per la violazione del Decreto Dignità debba essere irrogata esclusivamente per canali univocamente destinati al pubblico italiano, in ossequio al dettato dell’art. 41, commi 7, 8 e 13, del d.lgs. n. 208/2021 e alle relative norme attuative di cui al “Regolamento recante attuazione dell’art. 41, comma 9, del d.lgs. 8 novembre 2021, n. 208, in materia di programmi, video generati dagli utenti ovvero comunicazioni commerciali audiovisive diretti al pubblico italiano e veicolati da una piattaforma il cui fornitore è stabilito in un altro Stato membro” (delibera n. 298/23/CONS del 22 novembre 2023). Pertanto, tra questi 26 canali verificati, si ritiene, in particolare, di dover identificare la responsabilità di Twitch esclusivamente per quei canali (6) che, come confermato dalla stessa società, diffondono contenuti destinati prevalentemente al pubblico italiano in relazione all’elevato numero di utenti italiani raggiunti – tenuto conto dell’utilizzo della lingua italiana – e ai ricavi conseguiti in Italia, come risulta dalla documentazione acquista agli atti. Alla luce delle argomentazioni sopra svolte e tenuto conto degli elementi forniti dalla società, si ritiene che la violazione del divieto sancito dall’art. 9 del decreto dignità sia ascrivibile solo a quelli, tra i vari affiliati/partner verificati di Twitch identificati nell’atto di contestazione, si rivolgono al pubblico italiano come di seguito identificati:

CONSIDERATO che nel procedimento sono stati acquisiti tutti gli elementi istruttori nella piena garanzia del contraddittorio; RITENUTO di confermare quanto rilevato nell’atto contestazione n. 06/23/DSDI per la violazione delle disposizioni contenute nell’articolo 9, comma 1, del Decreto dignità relativamente ai soli canali Twitch rivolti ad un pubblico italiano; VISTO il comma 2, dell’art. 9 del decreto legge 12 luglio 2018, n. 87, convertito con la legge n. 96 del 9 agosto 2018, il quale stabilisce che “l’inosservanza delle disposizioni di cui al comma 1, comporta a carico del committente, del proprietario del mezzo o del sito di diffusione o di destinazione e dell’organizzatore della manifestazione, evento o attività, ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689, l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria di importo pari al 20 per cento del valore della sponsorizzazione o della pubblicità e in ogni caso non inferiore, per ogni violazione, a euro 50.000”; ACCERTATO che la Società non ha inteso accedere all’istituto del pagamento in misura ridotta della sanzione amministrativa prevista dall’art. 16, comma 1, della legge n. 689 del 1981; RILEVATO che il 20% del valore economico delle pubblicità afferenti ai suddetti 26 canali risulta inferiore ad euro 50.000,00 e che per l’effetto trova dunque applicazione detto valore come base per l’irrogazione della sanzione; RILEVATO che, ai sensi del punto B.1, comma 9, della delibera n. 265/15/CONS: “ove la condotta illecita sia unitaria (seppur frazionata nel tempo) e sia violata più volte la medesima norma, potrà trovare applicazione il cosiddetto “cumulo giuridico” delle sanzioni previsto dalla norma (art. 8 della legge 24 novembre 1981, n. 689), da cui deriva l’irrogazione di un’unica sanzione il cui importo è modulato tenendo conto di tutte le circostanze del caso (ivi compresa, soprattutto, la plurioffensività della condotta ed il suo protrarsi nel tempo)”; CONSIDERATO che, nel caso concreto, con riferimento alla condotta accertata per ogni singolo canale affiliato o partner di Twitch rivolto al pubblico italiano, ricorre il c.d. concorso formale omogeneo di illeciti, in quanto la condotta illecita, reiterata con cadenza giornaliera e fruibile a richiesta senza soluzione di continuità, può considerarsi unitaria per unicità del fine o dell’effetto, consistendo la stessa nella diffusione di video aventi natura di comunicazione pubblicitaria di giochi d’azzardo e scommesse che ha comportato in capo alla società Twitch la commissione con una sola azione di più violazioni della medesima disposizione normativa; CONSIDERATO che ciascuno dei 6 canali rivolti al pubblico italiano è stato verificato da Twitch (nella qualifica di affiliati/partner) e che, pertanto, la Società ha colposamente omesso di rilevarne la natura promozionale dei contenuti diffusi in violazione dell’articolo 9 del Decreto dignità; CONSIDERATO che, nel caso de quo, la condotta, unitariamente rilevata e contestata, si estrinseca in sei (n. 6) violazioni, una per ogni singolo canale “verificato” e “affiliato/partner” contenente i suddetti video aventi natura di comunicazione pubblicitaria di siti che svolgono attività di gioco e scommessa con vincite in denaro rivolti al pubblico italiano e che ai fini della determinazione della sanzione trova dunque applicazione il criterio del cumulo materiale; RITENUTO ai sensi dell’articolo 8 della legge n. 689/81 di aumentare sino al triplo la sanzione amministrativa pecuniaria per ciascun canale in ragione dell’elevato numero di video diffusi e delle relative visualizzazioni da parte degli utenti; RITENUTO, per l’effetto, di dover determinare la sanzione per ciascuna violazione della disposizione normativa contestata nella misura pari a euro 150.000,00 (centocinquantamila,00) per ciascuna delle sei (n. 6) condotte contestate sopra riportate, per un totale di euro 900.000,00 (novecentomila/00) secondo il principio del cumulo materiale delle sanzioni. RITENUTO, per l’effetto, di dover determinare la sanzione per la violazione delle disposizioni normative contestate nella misura di euro 900.000,00 (novecentomila,00) corrispondente alla cornice edittale prevista per i 6 canali “verificati” e affiliati/partner di Twitch in cui è stata rilevata la violazione dell’articolo 9 del Decreto Dignità secondo il principio del cumulo materiale delle sanzioni amministrative, al netto di ogni altro onere accessorio e che in tale commisurazione rilevano altresì i seguenti criteri, di cui all’art. 11 della legge n. 689/1981: A. Gravità della violazione Il comportamento posto in essere dalla Società sopra menzionata deve ritenersi di entità elevata in quanto il bene giuridico protetto dalla norma, ossia il contrasto alla ludopatia, esige una tutela rafforzata proprio al fine di evitare effetti pregiudizievoli in danno dei consumatori. B. Opera svolta dall’agente per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze della violazione La Società, a seguito della ricezione dell’atto di contestazione, ha provveduto a chiudere i canali ivi identificati e a rimuovere i video indicati. C. Personalità dell’agente La Società è dotata di una struttura idonea a garantire una puntuale osservanza delle disposizioni richiamate e, peraltro, si era obbligata contrattualmente a verificare la liceità dei contenuti veicolati tramite i canali “verificati”. D. Condizioni economiche dell’agente Con riferimento alle condizioni economiche dell’agente, si ritiene che esse siano tali da giustificare la complessiva misura della sanzione pecuniaria oggetto del presente atto e tale da indurre a ritenere congrua l’applicazione della sanzione come sopra determinata. VISTI gli atti del procedimento; UDITA la relazione del Commissario Laura Aria, relatore ai sensi dell’art. 31 del Regolamento concernente l’organizzazione ed il funzionamento dell’Autorità;

ORDINA alla società Twitch Interactive Germany Gmbh, con sede legale a Marcel-BreuerStr. 12, 80807 Monaco, Germania – di pagare la sanzione amministrativa di euro 900.000,00 (novecentomila/00), al netto di ogni altro onere accessorio eventualmente dovuto, per la violazione del divieto sancito dall’articolo 9 del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2018, n. 96; – di rimuovere dalla piattaforma di condivisione di video “Twitch” tutti video contenuti nei canali verificati e affiliati/partner sopra identificati e caricati successivamente alla notifica dell’atto di contestazione ed ancora disponibili, entro e non oltre sette giorni dalla data di notifica del presente provvedimento, e di darne comunicazione all’Autorità entro 10 giorni dall’avvenuta rimozione all’indirizzo di posta certificata [email protected]; – di rimuovere/inibire dalla piattaforma di condivisione di video “Twitch” i video caricati successivamente alla notifica della presente delibera dai content creator identificati nell’atto di contestazione i cui contenuti siano analoghi o equivalenti a quelli oggetto del presente procedimento e rivolti prevalentemente ad un pubblico italiano e di darne comunicazione all’Autorità entro 10 giorni dall’avvenuta rimozione all’indirizzo di posta certificata [email protected]”. cdn/AGIMEG