Il titolare di una sala giochi ha presentato un ricorso al Consiglio di Stato per chiedere la riforma della sentenza del Tar Lazio che aveva confermato la chiusura di 10 giorni per l’esercizio commerciale per la violazione della disposizione che vieta ai minori l’ingresso nelle aree destinate al gioco con vincite in denaro.
Il ricorso evidenzia la violazione del principio di colpevolezza e di personalità dell’illecito, in considerazione del fatto che la società attuale non era la persona fisica che aveva commesso la violazione né la persona giuridica di cui essa sia legale rappresentante o dipendente, ma un soggetto terzo del tutto estraneo alla violazione. In particolare, il trasferimento della titolarità del pubblico esercizio, nel caso di specie avvenuto a distanza di nove mesi dall’accertamento della violazione, non potrebbe essere inteso presuntivamente come elusivo della sanzione.
Il Collegio ha innanzitutto ricordato che “la sentenza impugnata ha affermato, in particolare, che «quale che fosse il soggetto “imputabile”, la ricorrente aveva, nel caso di specie, il preciso obbligo di vigilare e di impedire l’ingresso del minore identificandolo già prima che entrasse nel negozio di scommesse, organizzando, sotto la propria responsabilità, l’attività in modo tale da evitarne l’accesso anche solo occasionale nei locali dove si svolge esclusivamente un’attività di gioco con vincita in denaro“.
Il Consiglio di Stato ha precisato che “l’oggetto della presente controversia è rappresentato dai presupposti di applicabilità del provvedimento di chiusura dell’esercizio pubblico, sul presupposto dell’avvenuto accertamento al suo interno, quando la titolarità era attribuibile ad un diverso soggetto, della violazione della norma che vieta ai minori l’ingresso nelle aree destinate al gioco con vincite in denaro”.
Dunque, “è evidente che l’irrogazione della sanzione prevista per la violazione dall’art. 7 comma 8 del D.L. n. 158/2012, non può prescindere dall’applicazione dei principi di colpevolezza, ovvero, quanto meno, di imputabilità soggettiva della condotta ai sensi degli artt. 3 e 6 della legge n. 689/1981. Diversamente opinando, si finirebbe per trasformare la sanzione in una sorta di onere reale, destinato a seguire l’azienda in tutte le sue vicende giuridiche, astrattamente anche molteplici, per tutto il tempo avocatosi dall’Amministrazione procedente per addivenire alla concreta irrogazione della chiusura. Ciò in palese contrasto con i principi di colpevolezza che devono improntare il sistema punitivo, giusta le indicazioni in tal senso rivenienti anche dalla giurisprudenza della CEDU”.
Per questi motivi il Consiglio di Stato ha deciso di accogliere il ricorso dell’esercente e annullare il provvedimento di chiusura. ac/AGIMEG