Consiglio di Stato: “Corretto revocare la licenza per la raccolta scommesse a seguito di un’interdittiva antimafia”

Il titolare di una sala scommesse ha presentato un ricorso al Consiglio di Stato per chiedere la riforma della sentenza del Tar della Puglia che aveva confermato la legittimità dell’interdittiva antimafia emessa dal Prefetto della Provincia di Lecce con la quale era stata revocata la licenza di Polizia per la raccolta di scommesse sportive.

Deve premettersi che la fonte del pericolo di condizionamento mafioso dell’attività esercitata dalla ditta ricorrente è stato ricondotto dal Prefetto di Lecce, con il provvedimento interdittivo, al “sodalizio criminale riconducibile alla famiglia -OMISSIS-, a capo dell’omonima cosca mafiosa gravitante nell’area della sacra corona unita”, cui – prosegue l’atto interdittivo – fa capo una “articolata rete di società” ed “i cui membri -OMISSIS- (già condannato per il reato di partecipazione ad associazione mafiosa con sentenza del Tribunale di Lecce del 17 gennaio 1997) sono imputati, tra l’altro, di associazione di stampo mafioso finalizzata alla commissione di una serie di reati legati al gioco d’azzardo ed alle scommesse”.

“Il potere interdittivo è finalizzato a colpire anche le manifestazioni meramente occasionali di condizionamento mafioso, a meno che dalla loro realizzazione non sia trascorso un rilevante lasso temporale (tale da collocare effettivamente nel più lontano passato gli indizi di permeabilità criminale) o non siano enucleabili indici positivi di fattiva discontinuità con il pregresso atteggiamento di promiscuità dell’impresa nei confronti degli esponenti del mondo mafioso, deve osservarsi che le circostanze allegate dalla parte appellante, se potrebbero astrattamente deporre nel senso della emancipazione della ditta appellante dal condizionamento mafioso promanante dalla famiglia -OMISSIS-, non possono esercitare identico effetto nei riguardi della inclinazione del -OMISSIS- ad entrare in contatto, confrontarsi e stringere relazioni reciprocamente convenienti con i rappresentanti delle cosche”.

I temi sollevati dalla parte appellante sono già stati diffusamente affrontati da questa Sezione con la sentenza del 2 settembre 2019, n. 6057, cui può senz’altro rinviarsi, essendosi in quell’occasione affermato che “le attività soggette a s.c.i.a. non sono esenti dai controlli antimafia, diversamente da quanto assume l’appellante (v. p. 5 del ricorso, laddove si afferma, a torto, che il d. lgs. n. 159 del 2011 “non fa affatto riferimento alle SCIA”), e che il Comune ben possa e anzi debba verificare che l’autocertificazione dell’interessato sia veridica e richiedere al Prefetto di emettere una comunicazione antimafia liberatoria o, come nel caso di specie, revocare la s.c.i.a. in presenza di una informazione antimafia comunque comunicatagli o acquisita dal Prefetto” e che “il combinato disposto degli artt. 67, 84, comma 2, 88, comma 2, 89, comma 2, lett. a), e 89-bis del d. lgs. n. 159 del 2011 ben consente al Comune, che acquisisca dal Prefetto notizia di una informazione antimafia adottata a carico di un soggetto in luogo della semplice comunicazione, di revocare immediatamente la s.c.i.a. o, comunque, di inibire l’attività, oggetto di segnalazione, al di là dei limiti e delle condizioni fissate dall’art. 19 della l. n. 241 del 1990.

Per questi motivi il Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso e confermato quanto stabilito dalla sentenza del Tar della Puglia. ac/AGIMEG