Alcuni concessionari del Bingo hanno presentato un ricorso in Consiglio di Stato per chiedere la riforma della sentenza del Tar Lazio che, il 26 marzo 2019, aveva rigettato l’appello, ritenendo, in particolare, che: la proroga avrebbe valenza temporanea e gli appellanti trarrebbero in ogni caso una utilità economica dalla protrazione del rapporto concessorio, senza che risulti dimostrata l’impossibilità di pagamento del nuovo canone; il trasferimento dei locali sarebbe giustificato dalla necessità di stabilire i criteri per la distribuzione e la concentrazione territoriale dei luoghi destinati alla raccolta del gioco.
“Le Società hanno proposto appello, sostenendo l’erroneità della sentenza e l’illegittimità dei provvedimenti impugnati per la violazione del principio di ragionevolezza e di proporzionalità dell’intervento normativo e del provvedimento amministrativo attuativo in quanto è stata disposta la proroga: i) senza che vi fosse una ragione giustificativa, non potendosi considerare tale la dichiarata finalità di assicurare l’allineamento temporale; ii) con un aumento del canone nonostante la costante diminuzione del volume di raccolta del Bingo; iii) con rinvio della indizione della nuova gara senza una precisa indicazione temporale e con imposizione dell’onere gravoso di dovere consentire la proroga come condizione per poter essere ammesso alla partecipazione alla nuova gara.
I giudici di Palazzo Spada hanno stabilito che “sussistono i presupposti, individuati dalla giurisprudenza europea, per disporre il rinvio pregiudiziale e, in particolare: i) la rilevanza della questione risulta dalla circostanza che, in caso di accertata difformità della normativa nazionale rispetto a quella europea, ne conseguirebbe l’accoglimento dell’appello; ii) il dubbio di non conformità al diritto europeo sussiste in mancanza di precedenti specifici della Corte di Giustizia e di evidenza di conformità. Tale dubbio si fonda sulle ragioni di seguito indicate (analoghi rinvii sono stati disposti da Cons. Stato, sez. VII, ordinanze 21 novembre 2022, n. 10264 e n. 10263)”.
“La prima verifica da svolgere è se la regola nazionale costituisca una restrizione della libertà di stabilimento e della libertà di prestazione di servizi. La riserva pubblica di attività è un evidente caso di chiusura del mercato che deve essere giustificata dalla sussistenza di preminenti interessi pubblici. L’art. 43 Cost. autorizza, infatti, forme di monopolio pubblico quando, tra l’altro, esse «abbiano carattere di preminente interesse generale». Nella specie, la Corte Costituzionale ha ritenuto che sussistono interessi pubblici da tutelare, costituiti dalle «esigenze di contrasto della criminalità e, più in generale, di ordine pubblico e di fede pubblica», nonché la «necessità di tutela dei giocatori e di controllo di un fenomeno suscettibile di coinvolgere ingenti quantità di denaro, talvolta di illecita provenienza».
“In primo luogo, i numerosi aumenti del canone disposti nel tempo, prescindendo dalla effettiva situazione del mercato e da ogni valutazione delle dimensioni delle imprese, incide in modo indifferenziato su tutti gli operatori economici del settore, senza tenere conto della reale capacità, soprattutto delle piccole imprese, di sostenere tale aumento”.
“In secondo luogo, l’imposizione dell’accettazione della proroga quale condizione legale per poter partecipare alle più volte preannunciate e mai attuate gare si risolve in una non ragionevole limitazione della libertà di impresa a causa, in particolare, della indeterminatezza temporale dell’effettivo momento di svolgimento delle gare stesse”.
“Infine, è imposto l’obbligo di non cedere i locali, che costituisce, considerata la valenza strumentale dei beni ai fini dello svolgimento dell’attività di impresa, indebita e apparentemente ingiustificata restrizione della suddetta libertà”.
“In definitiva, gli operatori economici sono privati della concreta possibilità di interrompere il rapporto concessorio, modificato ex lege in modo assai gravoso, in quanto non hanno certezze in ordine ai tempi di svolgimento delle future gare il cui avvio è finora sempre stato sistematicamente rinviato. L’ “uscita dal rapporto concessorio” si potrebbe risolvere in una “uscita dal mercato”, irragionevolmente imposta dalle leggi sopra riportate.
“La seconda verifica da svolgere attiene alla sussistenza di un motivo imperativo di interesse generale che giustifichi le suddette restrizioni. Il Collegio ritiene che tale motivo non sussista. Si potrebbe astrattamente ritenere che l’esigenza di “allineamento” abbia una sua giustificazione e possa indirettamente costituire un motivo imperativo generale di interesse pubblico, nel senso che la gestione unitaria delle gare rappresenti una modalità che assicuri meglio gli interessi pubblici sottesi alla stessa disciplina nazionale. In concreto, però, la normativa – soprattutto per la plurima reiterazione dei rinvii disposti negli anni – non sembra presentare un contenuto idoneo a perseguire realmente tale obiettivo, perché è stato introdotto un allineamento generalizzato per tutti i concessionari con proroghe ripetute non più giustificate dall’esigenza di allineamento. Deve, pertanto, ritenersi che, per come è stata nel tempo costruita la regola in esame, la stessa non possa costituire motivo imperativo di interesse generale.
In attesa della pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione Europea, il Consiglio di Stato ha stabilito la sospensione del presente processo, riservando alla sentenza definitiva ogni pronuncia in rito, nel merito e sulle spese di giudizio. ac/AGIMEG