Brachino (giornalista): “E’ indubbio che esiste un pregiudizio a livello politico e mediatico nei confronti del gioco, settore molto ferito. Ad un anno dall’inizio della pandemia non può essere il lockdown la ricetta per battere il virus”

“Conosco in parte la materia di questo settore perché ho avuto l’occasione di moderare un convegno in Lombardia prima del Covid e conosco anche le ferite di questa categoria che dà molto in termini di tassazione, ma spesso non viene molto considerata dal ceto politico subendo pregiudizi e norme restrittive. Se c’erano problemi prima del Covid, figuriamoci ora”. E’ quanto ha affermato il giornalista Claudio Brachino durante la trasmissione andata in onda ieri su Antenna Sud, dedicata al momento complicato che sta vivendo il settore del gioco. “Se si chiude un settore dove c’è anche una presenza forte femminile, come accaduto a quelli del terziario, ci devono essere dei motivi validi a livello scientifico. I dati nella nostra epoca sono molto importanti, dunque se c’è una rilevanza scientifica e c’è la possibilità di ristorare le perdita può andare anche bene. C’è ancora gente che parla ancora di lockdown. Il signor Ricciardi, di cui non discuto la carriera e le competenze, continua a parlare di lockdown. Ma ad un anno dall’inizio della pandemia dovrebbero essere più le attività che riapriamo rispetto a quelle che chiudiamo, poiché se non si ritorna ad una presunta normalità non ci sarà mai al mondo nessun ristoro o Recovery Plan che tenga. Ad un anno di distanza l’unico modo valido di combattere il virus è il vaccino, ma io non ne sento più parlare di vaccini. Non si sa più di chi è la responsabilità o se qualcuno si debba dimettere per la mancanza di vaccini. Lo scorso Natale si è detto che il 2021 era l’anno della battaglia al virus con i vaccini, non con le chiusure. Siamo indietro in tutta l’Unione Europea su questo tema, non è un problema solo italiano. In più, ci sono ancora categorie che sentono di parlare di lockdown. Questo non vale solo per il comparto del gioco, ma anche per le scuole, gli impianti sciistici e i ristoratori. Dobbiamo eliminare tutta una serie di cose, altrimenti nessun Governo e neanche il primo della classe Draghi potrà risolvere il problema”. Sulla discriminazione che il settore del gioco subisce Brachino afferma: “Spesso la parola gioco è associata psicanaliticamente e antropologicamente a qualcosa di negativo, soprattutto a una dipendenza, al gioco illegale o a qualcosa che crea un guadagno quasi non legittimo. Non è così perché ci sono tanti sistemi e regole. Poi, se uno si addentra nel tema e legge i testi vede che le cose non stanno così, ma rimane una prevenzione o un pregiudizio. Forse il lavoro nostro, come quello dei vostri rappresentanti, è quello di farsi sentire e di bussare alle porte del mondo politico e mediatico per eliminare il pregiudizio e spiegare che sono dei posti di lavoro, attività legittime riconosciute a livello statale. Inoltre, bisogna far emergere che c’è la possibilità di parlare con degli esperti qualora si sviluppassero un comportamento patologico. E’ indubbio che questo equivoco a livello mediatico e valori moralistici nei confronti del gioco esiste, e questa è una battaglia che vale anche a prescindere dal Covid poiché ora pagate la chiusura degli esercizi commerciali uniti al pregiudizio. E’ una battaglia che va fatta per riportare a una dimensione laica il vostro indotto e il vostro operato sociale. Quando si parla di numeri c’è una freddezza statistica, ma quando si guardano in faccia le persone che sono in difficoltà e che non arrivano a fine mese è più complicato. Il settore del gioco è considerato non essenziale – prosegue Brachino -, ma appassiona molte persone, dà un grande gettito fiscale e c’è una grande occupazione femminile. Il lavoro è una cosa che dovrebbe essere garantita dalla nostra Costituzione. Inoltre, io sono molto sensibile al tema dell’uguaglianza di genere e delle categorie lavorative. Qui c’è in gioco un principio fondamentale: se lo Stato, per combattere un virus, chiude delle attività deve ridare a queste persone la possibilità della sopravvivenza e poi, al verificarsi di determinate condizioni sanitarie, deve garantire il ritorno al lavoro. Ma ripeto, rimane un pregiudizio nei confronti del gioco poiché in quel convegno che ho moderato a Milano, nonostante i numerosi inviti, non venne nessun politico ad eccezione di un consigliere regionale della Lega che ho invitato personalmente. Il fatto che nessun politico sia venuto mi dà l’idea di una separazione tra i due mondi, come se non ci fosse comunicazione tra i due mondi se non in termini pregiudiziali. Ora, questa situazione non fa che raddoppiare il problema. L’unico consiglio che posso dare è quello di cominciare a fare comunicazione in termini pratici e farsi ascoltare dal nuovo Governo, dai nuovi ministri del Lavoro e dello Sviluppo Economico che sono deputate ad ascoltare queste tematiche e che possono avere un’ottica diversa rispetto a quella che c’era prima. La macchina economica la dobbiamo rimettere in piedi ancor prima che arrivino i soldi dell’Europa, altrimenti non riusciremo neanche a spenderli poiché la mancanza di lavoro comporta la depressione per larghe fasce della popolazione. La questione del lavoro femminile nel gioco si ritrova all’interno del problema più grande della mancanza di comunicazione del comparto con il mondo delle istituzioni che evidentemente viene ancora visto come un settore illegale”, conclude Brachino. ac/AGIMEG