“Deve ritenersi che la cessione (mediante trasferimento dell’unica azienda) dell’intero patrimonio in una società a favore di un’altra società di nuova costituzione, il cui capitale è partecipato sostanzialmente dagli stessi soci, sia retta non già dalla volontà di procedere ad una trasformazione, bensì dalla volontà di rendere la nuova società, in prosecuzione delle precedente, impermeabile rispetto alla situazione debitoria pregressa”. Un simile comportamento pertanto viola le clausole di non concorrenza. Lo afferma il Tribunale di Pescara decidendo sulla controversia nata tra un concessionario delle scommesse e una società che gestiva alcune agenzie. Quest’ultima si era allacciata a un provider differente e aveva iniziato a operare sotto la nuova egida. Il contratto originario a quel punto era stato risolto, la società che gestiva le sale scommesse però “per evitare di risarcire il danno cagionato (…) avrebbe trasferito tutti i suoi beni a una nuova società con compagine societaria pressoché identica”, ha sostenuto il concessionario d’origine, che a quel punto si è rivolto ai giudici sostenendo che fosse stato violato il patto di non concorrenza. Una tesi che ha convito il Tribunale: “Tale fattispecie è riconducibile a un caso di abuso di buona fede” si legge nella sentenza, “la cessione d’azienda è stata effettuata per un fine diverso da quello tutelato e quindi con violazione della causa concreta del negozio”. La società che gestiva le agenzie è stata quindi condannata a versare le penali previste dal contratto. gr/AGIMEG