Titolare sala scommesse Eurobet Chiavari (GE): “Il settore massacrato da un’ignoranza generalizzata come nella confusione tra spesa e raccolta”

“Qualora la ventilata ipotesi di un’aggiuntiva tassazione dell’1% sul volume di gioco raccolto dovesse divenire realtà, prevedo un infausto destino per buona parte dei miei colleghi. Conoscendo il settore delle scommesse e la natura dei flussi economici tra raccolta e spesa, solo un incompetente potrebbe pensare a un tassazione vessatoria di questo genere. Credo che, in tal caso, saremmo l’unico settore su scala nazionale a subire una tassazione non basata su gli effettivi utili prodotti. Spero chi di dovere si possa ricredere al fine di salvare un settore che, volenti o nolenti, allo stato attuale delle cose, funge da fonte di reddito per 11 mila imprenditori e tutti i loro collaboratori”. E’ l’allarme lanciato dal titolare di una sala scommesse Eurobet a Chiavari (GE), in merito all’ipotesi di un innalzamento della tassazione sulla raccolta delle scommesse sportive, così come previsto nel Dl Rilancio. “E’ opinione diffusa che i gestori di sale scommesse si arricchiscano nell’espletamento delle proprie funzioni imprenditoriali. Un importante ruolo nella diffusione di tale idea è stato ricoperto dalle più importanti testate giornalistiche nazionali le quali, riportando dati fallaci e talvolta faziosi, hanno alimentato il credere comune che lo svolgimento d’attività di agenzia di scommesse sia l’eldorado dell’imprenditorialità. In questi anni non sono certo mancati gli articoli da brividi frutto della completa ignoranza del settore da parte degli autori. Per portare un semplice esempio la costante confusione tra raccolta e spesa fa drizzare i capelli a tutti gli addetti ai lavori, stiamo parlando dell’ABC: tale confusione, non so se voluta o meno, equivale alla mescolanza tra ricavi e profitti per qualunque altra tipologia di attività. Fatta questa premessa veniamo al dunque: chi e quanto guadagna da questo settore?. Facendo riferimento ai dati relativi all’anno solare 2018 (è l’ultimo anno di cui sono usciti i dati ufficiali da parte di ADM, ndr) abbiamo una raccolta su scala nazionale pari a 9,59 miliardi di euro per quanto concerne le scommesse a quota fissa su eventi sportivi ed una raccolta pari a 1,48 miliardi per quanto concerne le scommesse su eventi virtuali. Per ambe due le tipologie di gioco il payout medio è stato pari all’85%, ciò vuol dire che ogni 100 euro giocati, 85 sono tornati nelle tasche dei giocatori. Rapportando questo valore ai suddetti dati di raccolta ne deriva che su oltre 1 miliardo di raccolta – valore spesso erroneamente indicato come spesa – i denari effettivamente persi dai player ammontano a circa 160 milioni di euro. In Italia sono presenti circa 11 mila agenzie di scommesse che si spartiscono la torta generando così una media di 15.000 euro di utile ad agenzia. Per determinare a chi e in che misura vengano destinati questi denari, prendiamo come assunto un ipotetico profilo provvigionale che preveda lo splittamento del profitto tra concessionario e punto vendita. Questi 1.5000 euro vengono tassati alla fonte con una ritenuta pari al 20% destinata alle casse erariali (quindi scaliamo 3000 euro) e la parte restante (12.000 euro) viene suddivisa in egual misura tra l’esercente gestore del punto vendita e azienda titolare del titolo concessionario. Pertanto, in virtù di vendite complessive pari a 100.000€, il gestore matura un ricavo pari a 6.000€. Questa cifra servirà per pagare canone di locazione, spese condominiali, gestione separata INPS, utenza Sky, utenza elettrica, telefonica, idrica, commercialista, consulente del lavoro, canone Rai, Tasi, cancelleria, manutenzione ordinaria e straordinaria, costi bancari, assicurazione danno a terzi e compensi e contribuiti di eventuali collaboratori. Qualora a fine anno dovessero risultare utili al netto dei costi sostenuti, si dovrà pagare su tale importo il 24% di IRES ed il 3,9% di IRAP. Inoltre, se ili gestore avesse anche la malaugurata intenzione di voler guadagnare qualcosa per sé e la propria famiglia, dovrà altresì modo sostenere un ulteriore costo variabile tra il 23% ed il 43% a seconda del proprio scaglione IRPEF. Alla luce di queste valutazioni prettamente numeriche, analitiche, oggettive ed incontrovertibili, prevedo un infausto destino per buona parte dei miei colleghi”, conclude. cr/AGIMEG