Il Tar Emilia respinge il ricorso intentato da una società che gestisce una sala da gioco a Cervia contro l’interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di Ravenna. La società ha provato a far leva su una serie di motivi di ricorso, tra cui il fatto che mancassero i presupposti per emettere l’interdittiva. Ad esempio, i legami di parentela non implicano necessariamente che la gestione della sala possa essere condizionata da organizzazioni criminali di tipo mafioso. Inoltre, la Prefettura non avrebbe fornito elementi indiziari sulle “frequentazioni, da parte degli amministratori della società, con altri soggetti di accertata appartenenza o contiguità ad associazioni di tipo mafioso”. E ancora, non ha individuato “fatti concreti dai quali emerga una situazione societaria tale da far ritenere che la ricorrente sia oggetto di possibile condizionamento da parte di tali sodalizi criminali”. Il Tar tuttavia ricostruisce una fotta rete di rapporti e elementi che hanno spinto la Prefettura a ritenere che la società in questione fosse vicina agli ambienti mafiosi, e quindi conclude che “a fronte del complessivo, consistente e rilevante quadro indiziario raccolto dall’Autorità procedente, risultano poco significativi e frammentari i motivi di ricorso diretti a contrastare, non già tale complessivo ed unitario quadro indiziario, bensì i diversi, singoli elementi che lo compongono”. Inoltre, ricorda che – secondo un orientamento ormai costante della giurisprudenza – “non vi è necessità che la interdittiva antimafia debba essere motivata sulla base di condanne penali subite per reati di mafia da parte di amministratori o familiari di amministratori della società”, ma bastano appunto degli elementi indiziari che lascino temere il rischio di condizionamenti. lp/AGIMEG