Il contenzioso sui giochi è sempre ricco, e nel 2014 il comparto è finito diverse volte di fronte alla Corte Costituzionale. A giugno è arrivata la sentenza sulla norma che affidava al Tar Lazio la competenza esclusiva sui ricorsi riguardanti il rilascio dell’88 Tulps a centri collegati ai bookmaker esteri, in modo da garantire un orientamento giurisprudenziale univoco sul rilascio della licenza. La norma – l’art. 135, lett. q-quater), del codice di procedura amministrativa, introdotto con la legge 44 del 2012 – è stata però bocciata dalla Consulta: “le deroghe alla ripartizione ordinaria della competenza territoriale devono essere valutate secondo un «criterio rigoroso»”. La Corte non ha trovato giustificazioni valide per legittimare il trattamento “di favore” riconosciuto ai giochi, e quindi ha affermato che “la probabilità che si formino pronunce contrastanti tra i vari uffici giudiziari dislocati sul territorio non è superiore a quanto accade nella generalità delle controversie attribuite alla cognizione dei giudici amministrativi, rispetto alle quali l’uniformità della giurisprudenza viene garantita, in sede di gravame, dal Consiglio di Stato, ed in particolar modo dalla sua Adunanza Plenaria”. A luglio, la Consulta si è pronunciata anche sulla cosiddetta ” win tax”, la tassa introdotta nel 2012 che si applica alle vincite di alcuni giochi, se superano i 500 euro di importo. Nel caso delle videolottery, era necessario adeguare i sistemi di gioco per conteggiare la tassa; i Monopoli avevano imposto ai concessionari di intervenire entro i 1° settembre 2012, termine che però le compagnie sostenevano fosse impossibile rispettare. La Corte ha dichiarato non fondata la questione, ma ha salvato la posizione delle concessionarie, affermando che l’obbligo di versare il prelievo non sarebbe sorto fino all’effettiva omologa dei sistemi di gioco. L’omologazione infatti è un “presupposto necessario per la nascita dell’obbligazione tributaria”. Una pronuncia che comunque ha evitato ai concessionari il rischio di pesanti sanzioni. E sempre a luglio, la Consulta ha affrontato anche la questione dei poteri dei sindaci di limitare l’offerta di gioco, un percorso intrapreso dagli enti locali già nel 2013 con l’introduzione di “distanziometri” per le sale giochi, orari di accensione delle slot, orari di apertura degli esercizi commerciali, o incentivi irap per i locali che fanno a meno di apparecchi da intrattenimento. Al centro della questione, questa volta, le ordinanze sulle distanze minime e sui limiti orari adottate dai Comuni di Santhià e Rivoli, nel torinese. Il Tar Piemonte chiedeva venisse dichiarata l’illegittimità dell’art. 50, comma 7, del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, laddove non riconosce esplicitamente ai sindaci il potere di adottare ordinanze finalizzate al contrasto delle ludopatie. Una richiesta che però la Consulta ha respinto con una sentenza interlocutoria: il Tar Piemonte non ha infatti considerato “l’evoluzione della giurisprudenza amministrativa” con cui è stata fornita un’interpretazione della norma controversa “compatibile con i principi costituzionali evocati, nel senso di ritenere che la stessa disposizione censurata fornisca un fondamento legislativo al potere sindacale in questione”. In altre parole, la questione è stata affrontata in diverse occasioni dai giudici amministrativi – tra cui anche il Consiglio di Stato, pochi mesi prima – e molti hanno affermato che “il sindaco può disciplinare gli orari delle sale giochi e degli esercizi nei quali siano installate apparecchiature per il gioco e che ciò può fare per esigenze di tutela della salute, della quiete pubblica, ovvero della circolazione stradale”. gr/AGIMEG