L’anno agli sgoccioli è stato protagonista dell’annullamento del bando di gara del bingo, e della gara per la privatizzazione del casinò di Venezia andata deserta. Ad aprile, infatti, non ha ricevuto alcuna offerta, la gara per la privatizzazione della casa da gioco veneziana che avrebbe portato nelle casse del Comune circa 508,5 milioni di euro nel corso delle gestione trentennale, così come scritto nel bando. Il Comune stava valutando diverse ipotesi, come una trattativa privata con i soggetti interessati, ma la soluzione più plausibile sembrava un bando-bis, con un ribasso della base del 15-18%. A giugno tuttavia , il sindaco Orsoni è rimasto coinvolto nello scandalo Mose, e la questione della privatizzazione della casa da gioco è stata accantonata, ora in mano al commissario Zappalorto. Nulla da fare, però, anche per la gara del bingo. A ottobre, infatti, il Tar Lazio ha annullato il bando di gara per le concessioni del gioco del bingo. Per il giudice sono illegittime quelle previsioni che “prescrivono che i concorrenti debbano versare metà dell’importo dell’offerta economica complessiva (e non già dell’importo a base d’asta) alla data di presentazione della domanda di partecipazione”. Simili norme infatti “violano il più generale principio della segretezza delle offerte economiche”, si leggeva nella sentenza. Legittima invece la decisione di non prevedere una distribuzione territoriale delle sale: la norma analoga che era stata prevista nel 2000 per le agenzie di scommesse “contrasta con i principi comunitari vigenti in materia, da ultimo ribaditi dalla sentenza della Corte di Giustizia U.E., 16 febbraio 2012 in cause riunite C-72/10 e C- 77/10, i quali, per la loro portata generale, appaiono applicabili anche alla fattispecie in esame”. La gara metteva in palio 228 concessioni, con base d’asta di 200mila euro a diritto, e avrebbe dovuto portare nelle casse dello Stato ben 45,6 milioni di euro. (segue) gr-im/AGIMEG