Spallone (Univ. Pescara): “Una parte del prelievo erariale dei giochi come tassa di scopo per le autonomie locali aiuterebbe a centralizzare le norme ed a togliere disomogeneità dei tanti regolamenti regionali e comunali esistenti”

“Il regime riguardante la pubblicità del gioco in Italia è il più restrittivo. Riguardo il confronto internazionale, balza agli occhi una relazione molto stretta tra le basi imponibili scelte dalle legislazioni e l’apertura dei mercati. Il Paese più aperto dal punto di vista del mercato legale del gioco è il Regno Unito, dove si trova quasi esclusivamente una tassazione che ha come base imponibile il margine. Nei Paesi che sono più restrittivi dal punto di vista dell’offerta di gioco, come la Germania, la tassazione va esclusivamente sulla raccolta”. E’ quanto ha dichiarato in audizione in Commissione parlamentare di inchiesta sul gioco illegale e sulle disfunzioni del gioco pubblico al Senato il Professor Marco Spallonedocente di economia degli intermediari finanziari presso l’Università “G. D’Annunzio” di Pescara.

“Nei Paesi dove c’è un regime di apertura misto, come l’Italia, la Francia e la Spagna, si trovano entrambe le basi imponibili, sia il margine che la raccolta. La Spagna è più simile a noi dal punto di vista della concorrenza e della numerosità degli operatori. Qui abbiamo lo Stato che dà concessioni, quindi gli operatori del mercato legale del gioco sono concessionari dello Stato. L’idea corretta è che bisogna tentare di allineare gli interessi dello Stato con quelli dei concessionari“, ha aggiunto.

“Ovviamente l’obiettivo di un’impresa privata concessionaria è la massimizzazione del profitto. Se ci dimentichiamo dei problemi di natura sociale, l’obiettivo economico dello Stato è quello di massimizzare le entrate erariali. L’impresa tende a massimizzare il profitto, quindi il margine, massimizzando allo stesso tempo la base imponibile su cui lo Stato ha il prelievo. Avviene quindi un allineamento degli interessi. Se la base imponibile è la raccolta, c’è però una discrepanza di interessi. L’impresa anche se è tassata sulla raccolta tende a massimizzare il profitto, cercherà di porre in essere strategie che minimizzino il prelievo fiscale, mentre lo Stato vuole avere come base imponibile la raccolta e la vuole più alta possibile. Nei sistemi dove la base imponibile è la raccolta, i concessionari tendono ad elevare i margini unitari, dove la base imponibile è il margine questi cercano di minimizzare il profitto unitario e di andare su grandi quantità. Quindi quando la base imponibile è data dal margine ci si avvicina molto ai mercati perfettamente concorrenziali. Quando ci avviciniamo a sistemi dove invece si cerca di fare tanto margine su quantità più piccole ci avviciniamo a mercati dove le imprese hanno potere di mercato. Siamo più vicini alla concorrenza perfetta se tassiamo il margine, mentre siamo più vicini ai monopoli quando la base imponibile è la raccolta. In Italia abbiamo un sistema ibrido: per le scommesse siamo sul margine, mentre per gli apparecchi sulla raccolta”, ha aggiunto.

“Rimanendo sul confronto internazionale, mi sembra molto interessante osservare anche un altro dato che riguarda l’omogeneità del sistema impositivo, intesa come ruolo che le autorità locali svolgono all’interno dei diversi paesi. In Germania e in Spagna le autonomie locali hanno una voce in capitolo molto forte rispetto al modo in cui si deve applicare il prelievo fiscale sulle diverse tipologie di gioco, hanno anche un ruolo importante nella concessione delle licenze di gioco ai diversi operatori. In alcuni Paesi l’importanza delle Autonomie Locali è superiore rispetto al ruolo che hanno assunto in Italia le autonomie locali nell’applicare alcune indicazione pervenute dalla Conferenza Stato-Regioni. Il ruolo che le autonomie locali hanno svolto in Italia nell’applicazione di alcuni principi approvati nella Conferenza Stato-Regioni hanno portato spesso a situazioni di incertezza. Distanziometri e luoghi sensibili interpretati diversamente, a seconda delle Regioni, hanno portato a disomogeneità per l’offerta di gioco nei diversi territori. Questo è un problema molto importante, perchè cercare di acquisire una concessione significa per chi è operatore privato fare un investimento e il principale nemico di un investimento è l’incertezza”, ha continuato.

“Nei Paesi tipo Spagna e Germania, dove c’è un’importanza più elevata delle autonomie locali, come si gestisce questa incertezza? Dal punto di vista dell’organizzazione del mercato dei giochi noi siamo molto avanti rispetto a ciò che succede in Europa, anche se diversi dal Regno Unito. Devo dire che uno dei punti cruciali che vorrei sottolineare è che in Spagna e in Germania una parte dei proventi erariali che vengono dal gioco sono ridistribuiti direttamente nei territori locali. Questo fa una grande differenza. In Italia i territori, comuni e regioni, spesso sono costretti ad accollarsi solo i costi del gioco, quelli sociali del gioco che vivono i territori sulla loro pelle, senza avere accesso diretto ai benefici che il gioco comporta. Torniamo a un problema di disallineamento degli interessi. Esiste il conflitto tra Autorità centrale che ha come obiettivo la massimizzazione dei proventi erariali e le autonomie locali che invece sopportano del gioco esclusivamente i costi. Questo esaspera il problema dell’incertezza futura di ciò che sarà il mercato del gioco in Italia”, prosegue.

“Un altro tema importante è quello del problema legato ai CTD. In passato, attraverso questi centri di trasmissione dati, buona parte dei volumi di gioco transitavano verso operatori esteri senza che ci fossero benefici per lo Stato, generando una dinamica di concorrenza scorretta nei confronti dei concessionari che operavano all’interno della legge dello Stato. Con la riemersione di questi Centri ci sono stati molti benefici: sono emersi dall’area grigia in cui operavano, hanno contribuito all’innalzamento dei proventi erariali e il problema è stato pian piano risolto con interventi sensati. Un problema analogo si sta verificando in questi giorni con i punti di vendita o di ricarica. Esiste una sorta di rete parallela, ci sono punti vendita dove si può esclusivamente andare per fare la ricarica per giocare online e altri dove si possono effettuare le giocate. La legge è restrittiva ma non chiarissima: dice che in questi luoghi si possono vendere ricariche e, negli stessi punti vendita, in teoria ci possono anche essere macchine che permettono di accedere a internet, ma non devono essere macchine connesse solamente per andare a giocare sul sito dell’operatore che vende le ricariche presso quel punto vendita, dovrebbero essere macchine con le quali si naviga in internet. Il problema in verità è complesso perchè in molti di questi punti di vendita e ricarica sembra quasi che si vada lì per ricaricare a poi sedersi per giocare sul sito dell’operatore che ha venduto la ricarica. Per avere questo punto vendita aperto non è necessaria una concessione, è quindi evidente che se devo decidere una strategia aziendale sarebbe molto più comodo acquistare una concessione e aprire 10mila punti vendita e ricarica. E’ ovvio che è una chiara distorsione della concorrenza che si verifica in questi giorni. I punti vendita e ricarica stanno crescendo in modo esponenziale e quindi siamo di nuovo in una area grigia, molto simile a quello che era successo con i CTD. Esiste sostanzialmente una rete parallela che non drena risorse verso l’estero ma che impedisce allo Stato di avere un controllo completo sulle concessioni, e svolgere il ruolo di massimizzare i proventi che derivano dalle concessioni. E’ un problema importante che dovrebbe essere all’ordine del giorno del regolatore: c’è bisogno di intervenire in modo efficace su questo punto”, ha detto.

“ED’ importante mettere in evidenza un tema tecnico che scaturisce dal confronto internazionale: le aliquote che vengono applicate alle diverse tipologie di gioco nei vari Paesi. E’ interessante fare un confronto tra chi tassa di più il gioco al livello Europeo. Non è un confronto banale, perchè le basi imponibili variano, l’offerta di gioco è eterogenea e a livello statale ci possono essere differenze cospicue da un territorio all’altro. Quello che emerge è che il peso delle aliquote fiscali sul gioco in Italia è in media più alto rispetto agli altri paesi. Questo richiama due problemi: il primo rimane la concorrenza internazionale, che soprattutto sul gioco online fa sentire il suo peso, se gli operatori italiani sono tassati di più in media rispetto agli altri, a livello interazionale è difficile essere competitivi, restringere la concorrenza internazionale sul gioco online è un compito difficile da fare soprattutto se la si vuole controllare per far sì che sia conforme a tutte le norme circa la concorrenza europea; l’altro punto fondamentale è che nel momento in cui la tassazione è molto elevata il gioco illegale ha un differenziale molto elevato su cui poter fare leva”, ha sottolineato.

“Ci sono delle tendenze in atto significative: c’è stata una migrazione forte del cittadino giocatore dalla rete fisica all’online, con tutto quello che questo comporta dal punto di vista delle filiera e delle abitudini al gioco dei cittadini giocatori. Esiste ancora un problema di incertezza forte che limita la possibilità dello Stato di passare effettivamente a una nuova stagione delle concessioni, che permetta di ristrutturare l’offerta di gioco, che non debba essere quantitativamente grande come quella degli anni passati, ma deve essere qualitativamente più elevata e quindi deve essere incentivata con regole certe che permettano agli operatori di fare investimenti nella direzione giusta e coerente con gli interessi pubblici. Bisogna parlare con gli operatori privati e coscienziosi, con i concessionari dello Stato. Credo infatti sarebbero favorevoli a un innalzamento qualitativo dell’offerta di gioco, anche a discapito della quantità, purchè questo avvenga nell’alveo di una regolamentazione certa che dia un valore che si può predire con certezza rispetto agli investimenti che devono essere effettuati per raggiungere questi scopi”, ha continuato.

Nel rispondere alle domande dei senatori Spallone ha aggiunto: “In Conferenza Stato-Regioni ci siamo trovati di fronte al tentativo, poi fallito, di arrivare ad un nuovo assetto nuovo dell’offerta di gioco. Il contenuto politico di questo assetto che si stava cercando andava nel senso di una riduzione dell’offerta soprattutto di macchine vecchie e locate in posti assurdi. Era prevista una riduzione del 50% delle macchine in tre anni. Si volevano sostituire con macchine di nuova concezione che permettevano maggior controllo del gioco per tutelare la salute dei cittadini. L’idea politica era quella di riorganizzare il gioco in modo che la filiera di gioco potesse continuare a crescere e ad evolversi dal punto di vista qualitativo dell’offerta, ma allo stesso tempo si poteva far fronte alle distorsioni dal punto di vista della salute che erano apparse evidente a tutti. Anche se sui dati riguardanti la ludopatia è sempre stato difficile capire la quantità dei giocatori effettivamente ludopatici. Questa era l’idea. Quella Conferenza doveva anche provare a sistematizzare e organizzare una lista di punti sensibili che fosse uguale per tutti e lavorare su distanziometri omogenei. Prevedere una disomogeneità di quei distanziometri aveva un duplice scopo: i diritto delle autonomie locali di limitare più fortemente il gioco quando dal punto di vista centrale non si riusciva a fare ciò che era giusto ma anche evitare che distanziometri che andavano bene per una grande città significava per piccoli centri spostare tutto il gioco lontanissimo dai centri abitati che non è necessariamente un buona cosa, infatti rendendo periferica l’offerta di gioco si rischia di rendere l’offerta ghettizzante. Lasciare alle autonomie locali un po’ di libertà andava nelle due direzioni: restringere se si pensava che il gioco fosse troppo diffuso e allo stesso tempo permettere al giocatore di non diventare un reietto che poteva giocare esclusivamente in un ghetto. Se vogliamo avere un approccio centralizzato è imprescindibile che le autonomie locali vengano ricompensate in qualche modo, devono avere accesso a una parte dei proventi del gioco. Se decidiamo che non debbano essere ricompensati non puoi pretendere che i territori non tentino di mitigare i costi che poi devono sostenere. Tra queste due posizioni estreme poi si può trovare un compromesso, punti di incontro comuni che diano una certezza per chi deve fare investimenti. Sono aspetti che vanno disciplinati. Sul discorso proventi ad autonomie locali molte si configurano come tasse di scopo, quindi destinati ad alcuni progetti specifici e voci del bilancio delle autorità specifiche. Non parlo di una tassa di scopo aggiuntiva, ma del prelievo erariale che avviene sul gioco una parte di questo va alle autonomie locali che nella maggior parte dei casi devono destinare questi proventi ad alcune specifiche voci di bilancio che spesso riguardano alla salute. Questo è quello che succede in Spagna e Germania. Se i mercati a cui ci riferiamo fossero perfettamente concorrenziali, non ci sarebbe nessuna differenza dal punto di vista di locazione delle risorse tra raccolta e margine lordo. Se i mercati si discostano dalla perfetta concorrenza, allora possono sorgere delle differenze. La differenza può essere grande o piccola a seconda della struttura di mercato. Trovare una tassazione ideale per noi è molto complesso, dipende anche dagli obiettivi politici e dalle struttura del mercato”, ha concluso. cdn/AGIMEG