Due società di giochi hanno presentato un ricorso al Tar del Lazio per contestare i provvedimenti con i quali il Dirigente dell’Ufficio Apparecchi da Intrattenimento dell’Agenzia delle Dogane dei Monopoli, ha concluso il procedimento “finalizzato all’applicazione delle penali previste per il mancato rispetto dei livelli di servizio descritti nell’Allegato 2 all’Atto di convenzione di concessione” relative al periodo di rilevazione 21 marzo 2013 – 31 dicembre 2013, e per l’effetto ha irrogato nei confronti delle due aziende delle penali, imponendo il pagamento entro 60 giorni.
Il Tar del Lazio ha ricordato che la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha chiaramente affermato – con una recentissima sentenza a cui il Collegio intende conformarsi (cfr. Cons. St., sez. VII, 29 aprile 2024, n. 3916) – che proprio le penali di cui ora si controverte (segnatamente le penali previste dalle concessioni di ADM al fine di sanzionare l’inosservanza dei livelli di servizio da parte dei concessionari del servizio di gestione telematica del gioco lecito mediante apparecchi da divertimento e intrattenimento di cui all’articolo 110, comma 6, TULPS) non hanno natura di sanzioni amministrative. Dette penali assolvono, infatti, ad una funzione esclusivamente civilistica di predeterminazione convenzionale del risarcimento dei danni in caso di inadempimento contrattuale del concessionario (cfr. art. 1382 c.c.), e ciò lasciando ovviamente impregiudicata sia la rilevanza pubblicistica del servizio erogato dal concessionario, sia i poteri di vigilanza che l’Amministrazione conserva in relazione a tale servizio”.
Dunque, la res controversa è se le penali contrattuali in questione abbiano natura di sanzione amministrativa oppure, invece, di sanzione civilistica. Com’è noto, la giurisprudenza sovra-nazionale e nazionale è stata interessata, negli ultimi 50 anni, da una fitta elaborazione esegetica, il cui fine ultimo è stato quello di tracciare i confini della sanzione “ontologicamente” penale. Quanto precede sotto l’impulso decisivo della Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che ha voluto ricondurre sotto lo statuto garantistico degli artt. 6 e 7 della CEDU non soltanto le sanzioni “formalmente” penali, ma anche tutte quelle sanzioni che – pur non avendo il nomen juris della sanzione penale – di quest’ultima condividono scopi e connotati sostanziali. Ne è discesa in ambito nazionale una nozione di “sanzione amministrativa in senso stretto” che – proprio perché permeata dalla stessa linfa vitale che irrora la sanzione penale (con l’unica differenza del minor disvalore sociale del fatto sanzionato) – si distingue nettamente dalla nozione di “sanzione amministrativa in senso lato”.
Per “sanzione amministrativa in senso lato” si intende, infatti, ogni provvedimento amministrativo interdittivo e/o ripristinatorio e/o annullatorio, il cui fine ultimo non è quello di punire un illecito penale o amministrativo, bensì quello di ripristinare uno stato di fatto che sia capace di assicurare il pieno soddisfacimento di uno specifico interesse pubblico (nel qual caso l’eventuale effetto “punitivo” materialmente subìto dal soggetto privato sarebbe soltanto un incidente occasionale dell’esercizio del potere, potere il cui scopo – lo si ripete – è soltanto ripristinatorio e non sanzionatorio).
Detto in altri termini, “la “sanzione” (in assenza di ulteriori qualificazioni) ben può essere anche una sanzione civile finalizzata a perseguire un inadempimento contrattuale, quale per l’appunto è la penale contrattuale ex art. 1382 c.c. Va da sé che l’esatto significato giuridico del termine “sanzioni” evocato dall’art. 30 della Convenzione concessoria va ricostruito sulla base del complessivo quadro negoziale in cui detto termine si inserisce, un quadro che nel caso di specie – come detto – assegna alle sanzioni in questione una funzione tipicamente civilistica di “reazione” all’inadempimento contrattuale del concessionario. Né rileva il fatto che l’art. 30 della Convenzione evochi anche (ai fini dell’applicazione delle penali de quibus) gli elementi della colpa dell’inadempimento e quelli della gravità dell’inadempimento e della proporzionalità della sanzione”.
“Ricondotte le penali de quibus all’ambito civilistico al quale appartengono, va peraltro escluso che il mero ritardo con cui esse sono state irrogate nel caso di specie (circa 8 anni) basti a determinarne l’inesigibilità o illegittimità. Il credito risarcitorio cristallizzato nelle penali in questione ha infatti natura contrattuale, sicchè il regime di esigibilità dello stesso soggiace all’ordinario termine prescrizionale decennale, termine che nel caso di specie è stato incontestabilmente rispettato”.
In sintesi, sostiene il Tar del Lazio che “atteso che l’art. 30 della Convenzione del 2013 consentiva ad ADM di “applicare le penali stabilite dai successivi commi, secondo principi di ragionevolezza, proporzionalità ed effettività della sanzione in relazione alla gravità dell’inadempimento” (già allora fissando chiaramente i limiti minimi e massimi di ogni singola penale), la successiva Determinazione Direttoriale del 16 marzo 2021 si è soltanto limitata ad offrire all’Amministrazione alcuni criteri d’azione nel rispetto dei quali stabilire il preciso quantum della singola penale all’interno di detti limiti, ciò al solo scopo di assicurarne (come previsto dall’originaria Convenzione del 2013) la piena ragionevolezza, proporzionalità ed effettività”.
Per tutti questi motivi, il Tar del Lazio ha deciso di respingere i ricorsi e confermare i provvedimenti adottati dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. ac/AGIMEG