Il TAR per la Emilia Romagna (Sezione Prima) ha respinto il ricorso presentato da una società avente sede in comune di Faenza che esercita l’attività di installazione di apparecchi da intrattenimento con vincite in denaro e gestione di sale giochi per l’annullamento della comunicazione interdittiva antimafia; del provvedimento della comunicazione antimafia; della comunicazione emessa dall’AAMS – ufficio dei Monopoli per l’Emilia Romagna, di avvio del procedimento di decadenza all’iscrizione all’elenco di cui all’art. 1, comma 533, L. 266/2005, modificato dall’art. 1, comma 82, L. 220/2010 (elenco soggetti Ries ndr.); della comunicazione emessa dall’ Unione dei Comuni della Romagna Faentina, di avvio del procedimento di decadenza di diritto dalle licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni, attestazioni, abilitazioni, nonché divieto di prosecuzione delle attività esistenti agli atti del Suap; della Determina del Segretario Generale, emessa dalla Camera di Commercio di Ravenna, per cessazione/divieto di prosecuzione dell’attività di commercio ingrosso. “Il Collegio ritiene che, riguardo alla fattispecie in esame, non sussistano i presupposti per procedere alla sospensione del giudizio. Infatti tra giudizio impugnatorio dinanzi al giudice amministrativo avente ad oggetto provvedimento interdittivo antimafia e procedimento con il quale un’impresa assoggettata a tale misura interdittiva è ammessa – a sua richiesta – a controllo giudiziario non paiono sussistere i “…rigidi presupposti di pregiudizialità logica e giuridica richiesti”. Inoltre il Collegio osserva che i due procedimenti giudiziari in questione operano su piani tra loro del tutto diversi sia sotto il profilo dell’oggetto e delle finalità dei procedimenti stessi, sia sotto il profilo temporale. Il provvedimento interdittivo, in quanto adottato, nasce legittimo ed esso può essere riconosciuto illegittimo solo a seguito di provvedimento amministrativo di annullamento dello stesso in autotutela da parte della stessa amministrazione che lo ha adottato o, anche, mediante sentenza caducatoria del provvedimento adottata dal giudice amministrativo, a seguito di tempestiva presentazione di ricorso giurisdizionale da parte del soggetto interessato. Pertanto, in tale contesto, l’eventuale sentenza del giudice amministrativo che respinge il ricorso proposto dalla impresa assoggettata a interdittiva antimafia avverso l’adozione di tale misura non ha alcun effetto giuridico nuovo sul provvedimento, che era legittimo prima della decisione e che tale rimane anche dopo la pronuncia di reiezione del giudice amministrativo, con la conseguenza che da tale tipologia di pronunce del G.A. oggettivamente non può scaturire alcun ulteriore nuovo effetto giuridicamente rilevante anche riguardo al procedimento di “controllo giudiziale” a cui è sottoposta l’impresa già destinataria di interdittiva antimafia. D’altra parte, essendo tale ultimo procedimento finalizzato proprio a consentire all’impresa colpita da interdittiva, oltre che a proseguire – pur con limitazioni e previa autorizzazione – la propria attività, a tal fine avvalendosi della sospensione degli effetti della suddetta misura prevista dalla citata norma, anche e soprattutto a permettere alla stessa, al termine del predetto periodo di controllo e in caso di esito positivo dello stesso da attestarsi a cura dell’organo giudiziale, di inoltrare motivata e documentata istanza di aggiornamento dell’interdittiva alla competente prefettura, al fine del rientro in bonis dell’impresa e dell’attività da questa svolta. Pertanto, i commissari giudiziali effettuano il controllo su tutta l’attività dell’impresa relativamente ad un periodo necessariamente successivo all’adozione della misura antimafia e la loro valutazione riguarda l’operato e l’attività dell’impresa, proprio in quanto e se diretti al ritorno in bonis dell’attività rispetto alla situazione antecedente, quale è stata a suo tempo accertata dall’Autorità prefettizia con l’adozione dell’interdittiva. Da tali considerazioni discende conseguentemente che, anche sotto tale esaminato profilo, non sussistono i presupposti ex lege necessari per sospendere il presente giudizio ai sensi dell’art. 295 c.p.c.. Sulla base delle stesse ragioni dianzi esposte, nemmeno si ritiene praticabile il percorso alternativo indicato dalla difesa della ricorrente con la decisione di rinviare la trattazione della causa nel merito ad una data successiva rispetto a quella fissata per la conclusione del procedimento di controllo giudiziale. (…) Nel merito il collegio osserva che il gravato provvedimento con il quale U.T.G – Prefettura di Ravenna ha adottato misura interdittiva antimafia nei confronti della società ricorrente è immune dai vizi di legittimità rassegnati nel ricorso”, si legge nella sentenza. “Il Collegio conclusivamente ritiene che tutti i suddetti elementi – valutati nel loro complesso e contestualizzati all’attività imprenditoriale svolta dalla società ricorrente, per numero, oggettiva consistenza e rilevanza, univocamente convergano in un giudizio di piena condivisibilità dell’operato della Prefettura di Ravvena che porta detta Autorità a concludere che i “…rapporti di parentela e di frequentazione con figure di spicco della criminalità organizzata sono da ritenersi idonei a sostenere in via autonoma la verosimiglianza dell’ipotesi di contiguità “compiacente” e dunque di connivenza, desumibile dai rapporti e dagli incarichi societari, che denotano un chiaro ed evidente intreccio di interessi economici…”, con conseguente accertata permeabilità della società ricorrente da più che possibili tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata di tipo mafioso.Né il Collegio ritiene di potersi determinare con diverso e opposto esito della controversia in ragione dei motivi evidenziati nel ricorso. Innanzitutto preme rilevare che tutte le considerazioni svolte dalla ricorrente riguardo al recente mutamento delle cariche sociali e delle partecipazioni detenute dalla società ricorrente e alle vicende connesse ad altri organismi citati nella gravata interdittiva antimafia, all’evidente fine di rilevare il venir meno dell’attualità della misura adottata da U.T.G. – Prefettura di Ravenna, non inficiano in alcun modo il provvedimento impugnato, ben potendo, semmai, costituire, tali elementi, oggetto di eventuale istanza della ricorrente volta ad ottenere l’aggiornamento dell’interdittiva. Inoltre, a fronte del complessivo, consistente e rilevante quadro indiziario raccolto dall’Autorità procedente, risultano poco significativi e frammentari i motivi di ricorso diretti a contrastare non già tale complessivo ed unitario quadro indiziario, bensì i diversi, singoli elementi che lo compongono. Per quanto concerne la rilevata carenza di motivazione, il Collegio ritiene palese l’infondatezza della censura, a tal fine non potendo che richiamare i plurimi, circostanziati e diversificati elementi indiziari che, come sopra si è accertato, forniscono sufficiente e congruo apparato motivazionale al provvedimento interdittivo. In ultimo, il Tribunale ritiene di dovere ulteriormente osservare che, secondo quanto affermato dal consolidato indirizzo della giurisprudenza amministrativa in materia, non vi è necessità che l’interdittiva debba essere motivata sulla base di condanne penali subite per reati di mafia da parte di amministratori o familiari di amministratori della società, con conseguente inconsistenza e comunque infondatezza della relativa censura rassegnata in ricorso. L’azione impugnatoria è pertanto infondata”, conclude. cdn/AGIMEG
Home In Evidenza Slot, Tar Emilia Romagna respinge ricorso società di installazione slot e gestore...