Il Collegio “esprime il parere che i ricorsi straordinari, assorbite le istanze cautelari e previa loro riunione, debbano essere entrambi respinti”. Si legge nel parere espresso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato, su due ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica, per l’annullamento dell’ “Approvazione criteri di insediamento di esercizi con attività prevalente di gioco con apparecchi da intrattenimento con vincita in denaro” nonché degli atti tutti antecedenti, preordinati, consequenziali e, comunque connessi al procedimento di un comune trentino. Con i ricorsi in esame le ricorrenti hanno impugnato la deliberazione del Consiglio comunale di San Michele all’Adige, con la quale sono stati approvati i criteri di insediamento di esercizi con attività prevalente di gioco con apparecchi da intrattenimento con vincita in denaro, “in quanto imporrebbe dei limiti all’insediamento di nuovi apparecchi da gioco, ritenuti illegittimi e lesivi dei loro interessi”. La deliberazione in contestazione è stata adottata in applicazione dell’art. 13 bis della L. P. 9/2000 (Disciplina dell’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande ed attività alberghiera) secondo cui i comuni possono limitare o vietare la collocazione di apparecchi da intrattenimento con vincita in denaro, “per tutelare soggetti maggiormente sensibili e vulnerabili, in un raggio non inferiore a 300 metri da luoghi sensibili”. Secondo i giudici di Palazzo Spada “la giurisprudenza amministrativa ha anche di recente ribadito essere “uno dei principi fondamentali del sopravvenuto decreto Balduzzi…l’esigenza – sia pure valutata con un diverso grado di urgenza – che tra i locali, ove sono installati gli apparecchi da gioco, e determinati luoghi di aggregazione e/o permanenza di fasce vulnerabili della popolazione “debba intercorrere una distanza minima, idonea ad arginare i richiami e le suggestioni consistenti nell’illusoria possibilità di facile ed immediato arricchimento”. Del tutto inconferente, è infine l’accenno alla violazione della legge provinciale urbanistica – sostiene il Collegio – ove si sostiene che il Comune avrebbe dovuto adottare una variante, e ciò per il semplice motivo che il provvedimento in questione non ha nessuna correlazione con la disciplina urbanistica, essendo stato adottato per la tutela di interessi pubblici del tutto distinti da quelli del mantenimento dell’ordinato assetto degli edifici e delle infrastrutture relative. Così come pure è destituito di fondamento il rilievo secondo cui l’art.13 bis della legge provinciale (…) non riguarderebbe tutti gli esercizi pubblici commerciali, mentre invece è chiarissimo il senso delle disposizioni citate, che consentono ai comuni di adottare provvedimenti che limitano o vietano la collocazione di apparecchi da gioco in un raggio non inferiore a trecento metri da luoghi sensibili quali ad esempio istituti scolastici o formativi di qualsiasi ordine e grado”. Inoltre, le “censure di costituzionalità mosse nei riguardi del citato art.13 bis della legge provinciale sono del resto manifestamente infondate, essendo già state affrontate analoghe questioni nella sentenza della Corte Costituzionale”: il giudice delle leggi “ha evidenziato in proposito che l’identificazione della materia nella quale si collocano tali disposizioni normative richiede di fare riferimento all’oggetto e alla disciplina stabilita dalle medesime, tenendo conto della loro ratio e tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi, così da identificare correttamente e compiutamente anche l’interesse tutelato. La Corte Costituzionale, pertanto, ha affermato che le disposizioni consimili a quelle ora in esame “sono dichiaratamente finalizzate a tutelare soggetti ritenuti maggiormente vulnerabili, o per la giovane età o perché bisognosi di cure di tipo sanitario o socio assistenziale, e a prevenire forme di gioco cosiddetto compulsivo, nonché ad evitare effetti pregiudizievoli per il contesto urbano, la viabilità e la quiete pubblica”, concludono i giudici. rg/AGIMEG