“Anche l’esercente dei locali ove sono installate le macchine da gioco deve conoscere le conseguenze della risoluzione del rapporto contrattuale tra il concessionario e il gestore e quindi è tenuto a verificare che tali apparecchi siano costantemente in possesso di tutti i titoli autorizzatori prescritti”. La Corte di Cassazione ha ritenuto ‘fondato’ il ricorso presentato da Aams contro la sentenza del Tribunale di Arezzo che aveva rigettato l’appello proposto dall’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato per violazione dell’art. 110 TULPS e successive modifiche (per avere consentito all’interno del proprio esercizio due apparecchi da divertimento di cui all’art. 110 comma 6 TULPS non collegati alla rete telematica e sprovvisti di nulla osta per effetto della intervenuta risoluzione su iniziativa del concessionario). Il giudice di appello aveva osservato che il pubblico esercente aveva
dimostrato di avere agito in buona fede e senza colpa, come si ricavava dal fatto che la comunicazione di risoluzione del contratto e della revoca del nulla osta era stata trasmessa dal concessionario unicamente al proprietario-gestore degli apparecchi e non anche all’esercente, e dalla mancanza di altri elementi per ritenere che il titolare del bar fosse consapevole (o avrebbe dovuto sapere) che, per vicende inerenti i soli rapporti tra gestore e concessionario, erano venuti meno i presupposti per il legittimo utilizzo delle
apparecchiature. Contro tale decisione la Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato ha proposto ricorso per cassazione. AAMS osserva che “anche l’esercente dei locali ove sono installate le macchine da gioco deve conoscere le conseguenze della risoluzione del rapporto contrattuale tra il concessionario e il gestore e quindi è tenuto a verificare che
tali apparecchi siano costantemente in possesso di tutti i titoli autorizzatori prescritti”. Per la Cassazione dunque il “motivo è fondato”. Le norme a cui si riferisce l’ordinanza ingiunzione (art. 110 TULPS comma 9 lett. c) e d) puniscono “chiunque distribuisce, installa o comunque consente l’uso in luoghi pubblici o aperti al pubblico” di apparecchi o congegni non rispondenti alle caratteristiche e prescrizioni indicate nei commi 6 e 7 e nelle disposizioni di legge ed amministrative attuative di detti commi (lett. c) oppure privi dei titoli autorizzatori previsti dalle disposizioni vigenti (lett. d). E’ chiaro dunque che il ricorrente, quale titolare del pubblico locale nel quale sono stati rinvenuti gli apparecchi, rientra tra i soggetti passivi della violazione in questione.
Nel caso in esame il Tribunale di Arezzo, “premesso l’accertamento della originaria regolarità amministrativa delle macchine, ha ravvisato la buona fede dell’opponente sulla base di un’unica considerazione, il fatto che non fosse stato messo al corrente della avvenuta risoluzione del contratto tragestore e concessionario di rete e per giungere a tale conclusione ha valorizzato un unico elemento documentale, la raccomandata del concessionario indirizzata al solo gestore e non anche all’esercente”. Così facendo però il Tribunale di Arezzo ha indebitamente preteso che fosse l’Amministrazione a dover fornire
ulteriori elementi “per far ritenere che il titolare del bar fosse consapevole (o quanto meno avrebbe potuto/dovuto essere a conoscenza) che erano venuti meno, per vicende pacificamente inerenti ai soli rapporti tra gestore e concessionario) i presupposti di legittimo utilizzo delle apparecchiature)”: la regola dell’onere probatorio vigente in materia è stata invertita e l’errore di diritto è palese. Per la Cassazione “si rende pertanto necessaria la cassazione della sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Arezzo in persona di diverso magistrato che, attenendosi ai citati principi, rivaluterà i fatti, traendone le debite conseguenze e provvedendo all’esito sulle spese anche di questo giudizio. Per questi motivi accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata”. lp/AGIMEG