Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Prima ha respinto un ricorso di una sala scommesse per l’annullamento del provvedimento della Prefettura di Lecce. La ricorrente ha dedotto l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura in esame, non essendo essa titolare di pubbliche commesse e/o di sovvenzioni pubbliche, ma limitandosi a svolgere la propria attività in regime autorizzatorio. Tuttavia il Tar evidenzia come “il giudice delle leggi ha adottato una interpretazione ampia dell’interdittiva antimafia, in linea con la sua funzione, che è quella di evitare che soggetti a rischio di permeabilità mafiosa possano svolgere attività in settori caratterizzati dall’intervento della mano pubblica. Avuto riguardo a tale ratio, è del tutto naturale che l’interdittiva colpisca anche soggetti che svolgano attività in regime autorizzatorio, in presenza però di concessioni rilasciate a monte dalla pubblica amministrazione, e relative ad attività costituenti esercizio di funzione pubblicistica. Orbene, nel caso in esame, la ricorrente è titolare di autorizzazione per l’esercizio del gioco e delle scommesse. In altri termini, lo Stato, che è titolare esclusivo dell’attività di gioco e scommessa, può attribuire a privati – all’esito di una gara pubblica – la concessione per l’esercizio di tale attività. Il concessionario, a sua volta, si avvale di soggetti che operano quali intermediari nell’ambito delle scommesse, con il compito di raccogliere e registrare le giocate degli scommettitori sul territorio. Tali intermediari, al fine di svolgere tale attività di raccolta di giocate, necessitano di autorizzazione ex art. 88 n. 773/31 (TULPS). Tale è il caso della ricorrente, che è intermediario nell’esercizio dell’attività di raccolta di giocate, per conto del concessionario, e come tale necessita di autorizzazione ex art. 88 TULPS”. Per i giudici dunque “ne discende che anche nei suoi riguardi trova applicazione la citata normativa, essendo del tutto coerente con la ratio della citata misura che attività ad alto rischio di inquinamento mafioso venga svolta da soggetti nei cui confronti non vi sia fondato sospetto di permeabilità mafiosa”.
Il Tar sottolinea come “l’elemento centrale per la definizione della fattispecie non è, quindi, costituito dalla sussistenza di un rapporto di contiguità o di una vera e propria affiliazione dell’esponente aziendale all’associazione criminale, ma dal rischio di condizionamento delle scelte societarie che deriva dal tentativo di infiltrazione mafiosa”. Nella relazione degli esperti nominati in relazione alla gestione aziendale della società “è emerso un giudizio di non discontinuità con il passato. Sulla scorta di tali elementi, gli esperti concludono nel senso che la società in questione non abbia ancora conseguito un sufficiente grado di autonomia organizzativa e imprenditoriale, di tal che ‘la governance della stessa non presenta indici certi e incontrovertibili di capacità e policies proprie, orientate all’integrità verso il mercato e alla legalità nei confronti delle istituzioni'”.
Il Tar ribadisce dunque “la natura preventiva della misura in esame e ad avviso del Collegio è del tutto coerente – in termini logici, prima ancora che giuridici – che una interdittiva antimafia colpisca chi sia imputato (non rileva in questa sede indagare se a torto o a ragione) di associazione a delinquere di stampo mafioso”. Per questi motivi il Tar Puglia Lecce – Sezione Prima rigetta il ricorso. lp/AGIMEG