La querelle tra lo Stato italiano e la Stanleybet si arricchisce di una nuova puntata. Questa volta Stanleybet è stata oggetto di un decreto di sequestro per 56 milioni di Euro, sul presupposto di aver evaso l’imposta sui redditi. Il provvedimento, emesso dal Tribunale di Roma e’ una misura punitiva a carico di un operatore dell’Unione Europea “colpevole” di aver perseguito per 15 anni la legalità e il suo diritto alla parità di trattamento. “Tutto ciò all’interno di un Paese che, di contro, ha protetto un sistema concessorio caratterizzato da misure legislative discriminatorie e logorato da tre gare contrarie ai principi comunitari – riporta una nota di Stanleybet -. Le suggestive ricostruzioni contabili-fiscali predisposte per la Procura della Repubblica dal Nucleo Tributario della Guardia di Finanza sono errate, parziali e prive di fondamento. E, considerato il livello di presunta competenza del Corpo, sorprendentemente fuorvianti. Il Gruppo Stanley opera in Europa dal 1956. E’ oggi uno dei maggiori operatori del settore dei giochi e delle scommesse, presente in 10 Stati comunitari, e non ha mai perpetrato comportamenti puniti dal codice penale o qualsivoglia omissione fiscale. Questo non e’ mai stato messo in dubbio da alcuna autorità dei paesi ove opera, a parte l’Italia, dove e’ stata oggetto in 15 anni di circa 5000 procedimenti penali contro i suoi CTD e i suoi dirigenti, tutti conclusisi a favore degli stessi. Purtroppo la Procura di Roma, prima di trarre le attuali conclusioni e procedere al sequestro, non ha valutato fatti, circostanze e documentazione fondamentali e decisive ai fini di una corretta indagine penale – si legge – non ha inteso procedere all’audizione dei dirigenti Stanley malgrado fosse stata espressamente richiesta, non ha approfondito i dati contabili, non ha sentito il bisogno di rivolgersi a periti esperti in materia fiscale. Segnatamente: non ha approfondito i bilanci del Gruppo StanleyBet, acquisiti solo parzialmente; non ha verificato la rigorosa cultura aziendale Stanley in tema di adempimenti fiscali, rimasta identica a quella delle società quotate Inglesi, appare sorprendentemente inconsapevole del ruolo di controllo e di compliance fiscale che viene assicurata dagli Auditors nella più rigorosa osservanza della legge; non ha accertato che la Stanleybet Malta Limited, pur essendo legalmente costituita a Malta, è residente fiscalmente nel Regno Unito secondo il principio di “place of effective management” che e’ a Malta ai fini del rischio (trading) e nel Regno Unito ai fini della Gestione. Quindi e’ assoggettata nel Regno Unito, senza alcuna esenzione o benefici fiscali di altro tipo, ad imposizione sui redditi prodotti ai sensi dell’art. 4 della Convenzione contro le doppie imposizioni conclusa tra Regno Unito e Malta. Non ha preso in considerazione che nel Regno Unito le aliquote pagate dalla Stanleybet Malta sono state in alcuni anni più elevate di quelle italiane. Già questo sarebbe bastato a concludere che anche la sola ipotesi di un intento evasivo – si legge nella nota di Stanley – e’ semplicemente ridicola, con conseguente insussistenza del reato contestato. In realtà, l’impianto accusatorio finisce per far “rientrare dalla finestra” le sanzioni penali nei confronti degli esponenti aziendali di Stanley, già “uscite dalla porta” a pieno titolo per effetto delle sentenze Gambelli, Placanica e Costa-Cifone della Corte di Giustizia. L’effetto della nuova contestazione del reato fiscale è il medesimo di sempre: impedire l’accesso al mercato nazionale da parte di Stanley e, quindi, il suo legittimo esercizio diretto delle libertà fondamentali. Occorre rammentare che la Corte di Giustizia ha più volte accertato che l’applicazione del divieto penalmente sanzionato contenuto nell’art. 4 della Legge 401/89 costituisce una restrizione non consentita della libertà di prestazione dei servizi di Stanley e dei suoi CTD, poiché fu loro impedito di ottenere i requisiti abilitanti nazionali prescritti (concessioni e autorizzazioni), in violazione del diritto dell’Unione. La giurisprudenza della Corte è costante nel ritenere che il modus operandi di Stanley e dei CTD a lei affiliati costituiva, di fatto e di diritto, l’unico possibile per essere presente sul mercato nazionale delle scommesse, poiché a Stanley – non per sua colpa, e bensì a causa delle discriminazioni in suo danno poste in essere da pregresse misure legislative, regolamentari, amministrative e giudiziarie italiane – fu impedito di prendere parte alle procedure di affidamento dapprima delle concessioni CONI del 1999, e successivamente di quelle AAMS (c.d. concessioni Bersani) del 2006 (oltre a quelle ultime del 2012). Ciò nonostante, lo Stato Italiano, anzi specifici ambienti del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza, vanificano le libertà fondamentali garantite a Stanley ed ai suoi organi direttivi dal diritto dell’Unione, prospettando nei loro confronti una differente tipologia di reato, l’omessa dichiarazione delle imposte sui redditi, utilizzando allo scopo l’art. 5 del D.Lgs. 74/2000. In sostanza – si legge ancora – le autorità italiane rimettono in discussione la legittimità del modus operandi di Stanley, pur ripetutamente riconosciuta dalla Corte di Giustizia.
John Whittaker, Chief Executive del Gruppo, ha dichiarato a riguardo: “Oggi, alla vigilia del riordino del sistema concessorio fissato nel 2016, compare un nuovo e infamante procedimento penale a carico dei dirigenti della Compagnia. Questo dopo che decine di funzionari pubblici, prevalentemente della Guardia di Finanza, sono stati avvisati della intenzione di Stanley di chiamarli a giudizio per il risarcimento del danno (in corso le relative notifiche già pervenute, ad oggi, a 71 di loro). Il dott. Fanelli e’ stato chiamato a risarcire 5 milioni di Euro. La prima udienza si terrà il 3 dicembre di fronte al Tribunale di Roma. Nei confronti del Dott. Magistro e’ in corso di preparazione, e ne e’ stato reso consapevole, di una richiesta risarcitoria, in solido con il gruppo l’Espresso, per 3 milioni di sterline. Per tutti i dirigenti apicali AAMS, all’epoca della emanazione dell’ultimo bando di gara, anche non più in AAMS, e’ in corso di preparazione, e ne sono consapevoli, una richiesta risarcitoria di 375 milioni di sterline.” “Come non pensare” – prosegue John Whittaker – “che il nuovo attacco alla Stanley, questa volta dal lato fiscale, non sia direttamente o indirettamente connesso con le chiamate a giudizio dei funzionari della Guardia di Finanza e dell’AAMS?”. “A parere della Stanley – riporta la nota odierna – l’ipotesi di reato, completamente infondata e pretestuosa, ha pero’ l’effetto di una nuova stagione di discriminazioni a carico del Gruppo con successivi nuovi contenziosi e conseguente paralisi del sistema concessorio italiano. A causa della pendenza di questo procedimento, infatti, anche nel 2016 Stanley non potrà accedere al sistema concessorio Italiano e trovare una stabile sistemazione e organizzazione con la creazione di una Stanley Italia. In sintesi: lo Stato Italiano contro se stesso. La Stanley si difenderà con la risolutezza che gli e’ congeniale e ben conosciuta da tutti. Questo ennesimo attacco non farà venir meno la azioni di Stanley avviate nei confronti dei funzionari che hanno agito con colpa grave a danno dei principi fondamentali dell’ordinamento, violando, di propria iniziativa e malgrado gli avvertimenti ricevuti, il giudicato delle Alte Corti Nazionali ed Europee. E’ opinione della Stanley – conclude la nota – che il nuovo procedimento che si apre porterà nel tempo grandi benefici e cambiamenti all’intero Paese perché la Stanley, come e’ suo costume, non si limiterà a dimostrare la propria estraneità al nuovo reato contestato, ma la difesa punterà anche alla risoluzione del grave problema della mancanza, di fatto, di rimedi risarcitori quando si subisce un procedimento penale ingiusto. Si tratta di un problema che ha due aspetti, in relazione al doveroso rispetto che i funzionari delle Pubbliche Amministrazioni devono garantire: ai cittadini e all’Amministrazione della Giustizia”.
La nota di Stanley si riferisce alla notizia riportata oggi da Il Messaggero su un sequestrato di beni alla società e ai soci, in parti diverse, fino all’ammontare della somma di circa cinquanta milioni di euro. Stando all’inchiesta della procura di Roma – riporta Il Messaggero – la società di scommesse avrebbe guadagnato da attività che “producono reddito” senza versare le imposte necessarie. rg/AGIMEG