La Corte di Giustizia ha appena emesso sentenza sulla causa Politanò-BetUniq che ruota attorno al requisitito della doppia referenza bancaria previsto dal Bando Monti. Secondo la Corte la direttiva del 2004 sugli appalti pubblici non si applica a una materia come quella delle concessioni per i giochi e le scommesse. Non rientrano, infatti, nell’ambito di applicazione della direttiva appalti le concessioni di servizi: in queste ultime, a differenza che negli appalti di servizi, il vantaggio per il concessionario consiste esclusivamente nel potere esercitare un’attività, assumendone il rischio d’impresa. Negli appalti di servizi, invece, l’amministrazione aggiudicatrice si obbliga a pagare un corrispettivo per i servizi dell’aggiudicatario dell’appalto. La materia dei giochi d’azzardo, infatti, è non armonizzata a livello dell’Unione e quindi è regolata a livello europeo non in base a specifiche direttive o regolamenti ma soltanto in base ai principii generali del diritto dell’Unione (parità di trattamento, effettività, libertà di stabilimento, libera prestazione di servizi), unici parametri alla luce dei quali debbono essere vagliate le variegate discipline nazionali.
A sollevare la questione pregiudiziale è stato il Tribunale di Reggio Calabria, chiamato a decidere sulla vicenda del signor Domenico Politanò, accusato di avere raccolto scommesse in assenza di autorizzazione o licenza per conto del bookmaker maltese UniqGroup LTD. Secondo il Tribunale di Reggio Calabria la società maltese potrebbe essere stata illegittimamente esclusa dal bando Monti, sicché il signor Politanò potrebbe essere stato ingiustamente accusato. Ed in effetti, nel caso di specie, la società maltese, Uniqgroup LTD, è stata esclusa dalla gara, nonostante avesse presentato regolare domanda di partecipazione, in ragione della ritenuta assenza dell’attestazione della capacità economico-finanziaria da parte di “due” istituti bancari e per non essere stata indicata in modo evidente, nell’unica dichiarazione presentata, la capacità finanziaria richiesta. Il Giudice del rinvio ha chiesto se, trattandosi di selezione a livello comunitario, ove si fossero messi a confronto operatori di gioco appartenenti a Paesi diversi, dovesse essere rispettato il principio scaturente dalla direttiva 2004/18/CE sugli appalti pubblici, che sancisce – di base – tre autonomi criteri per la valutazione della capacità economico-finanziaria, oltre che un rimedio residuale “mediante qualsiasi altro documento considerato idoneo dall’amministrazione aggiudicatrice”.
Secondo la Corte di Giustizia, in astratto, misure come quelle contestate possono essere considerate suscettibili di violare la libertà di stabilimento. Anche un principio cardine di tale portata ammette, però, deroghe e restrizioni giustificate da possibili ragioni imperative di ordine pubblico, dall’interesse nazionale e da altri diritti fondamentali. Appare, per esempio, legittimo per gli Stati membri prevedere delle legislazioni più restrittive in materie particolarmente delicate come quella del gioco d’azzardo al fine di precludere il settore all’azione della criminalità. Naturalmente, la deroga dovrà sempre rispettare il canone della proporzionalità. Nel caso di specie, la Corte rileva che i succitati oneri imposti dalla normativa italiana, in una materia delicata come l’azzardo, appaiono a prima vista appropriati e non eccessivi, tenendo conto delle suddette ragioni imperative. Sarà tuttavia compito del giudice nazionale verificare, nel concreto, se le misure previste dallo Stato siano proporzionate o meno rispetto al perseguimento di questi obiettivi. rg/AGIMEG