“L’individuazione della distanza minima di 1.000 metri e dei luoghi c.d. sensibili sono irragionevoli”. Con questa sentenza il Consiglio di Stato ha dato ragione a una sala scommesse di Bologna contro il ricorso del Comune di Bologna nei confronti di una sala, in quanto non “non rispetta la distanza minima di 1.000 metri, misurata sul percorso pedonale più breve che collega i rispettivi punti di accesso più vicini dai seguenti luoghi sensibili: asili, scuole di ogni ordine e grado, luoghi di culto, ospedali, case di cura, camere mortuarie, caserme e strutture protette in genere”, così come richiesto dall’art. 23, comma 3, del Regolamento di Polizia Urbana del Comune di Bologna” del novembre 2013. Il diniego è stato impugnato dalla società, unitamente alla disposizione regolamentare presupposta. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello del Comune di Bologna, “lo respinge”. Per il CdS “l’individuazione della distanza minima di 1.000 metri e dei luoghi c.d. sensibili sono irragionevoli, e comunque sono avvenute senza una specifica approfondita istruttoria e senza adeguata motivazione (in particolare, circa l’incidenza del nuovo limite di distanza in ordine alla localizzazione delle sale), in violazione dell’art. 41 Cost e del principio di buon andamento ed imparzialità della P.A.; l’indicazione quali luoghi sensibili dei luoghi di culto, delle caserme, delle camere mortuarie e dei cimiteri (questi ultimi, non considerati dalla norma statale), la mancanza di una previa mappatura dei luoghi sensibili, e la ricomprensione in essi della categoria, generica, delle “strutture protette in genere”, impedisce una pianificazione delle attività imprenditoriali; non si è tenuto conto che proprio alle agenzie di scommesse sono assegnate dalla normativa funzioni di tutela del giocatore e di presidio di legalità sul territorio, e che i dati dell’Osservatorio epidemiologico dipendenze patologiche dell’Università di Bologna dimostrano che le ludopatie hanno un’incidenza limitata nella città”. Per la Corte “la Regione Emilia Romagna non ha stabilito una distanza minima, così onerando gli enti locali di individuarla, contemperando gli interessi in gioco in relazione alle caratteristiche che assumono nello specifico contesto sociale di applicazione. Pertanto, il Comune di Bologna avrebbe dovuto analizzare in modo approfondito l’incidenza delle ludopatie nel proprio territorio, valutare in relazione ad essa quale distanza di rispetto poteva ritenersi astrattamente adeguata alla consistenza del fenomeno da contrastare, e verificare se, in relazione alla diffusione dei siti sensibili, una simile distanza fosse misura proporzionata e sostenibile, in quanto tale da non impedire di fatto nuove ubicazioni per gli esercizi commerciali del settore e la disponibilità di sedi alternative in vista di possibili trasferimenti degli esercizi in attività”. lp/AGIMEG