Scommesse, Cassazione: Sulla raccolta illecita non si può invocare la buona fede

Commette il reato di raccolta abusiva di scommesse chiunque “compia attività di intermediazione per conto di un allibratore straniero senza il preventivo rilascio della prescritta licenza di pubblica sicurezza o la dimostrazione che l’operatore estero non abbia ottenuto le necessarie concessioni o autorizzazioni a causa di illegittima esclusione dalle gare”. Lo ribadisce la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione affrontando il caso di due esercenti di Acireale (Catania) sorprese a raccogliere scommesse per un bookmaker estero. La compagnia – sottolinea ancora la Suprema Corte – “non era titolare di alcuna concessione rilasciata dallo Stato italiano, né era stata illegittimamente esclusa dalle gare per l’aggiudicazione delle concessioni per l’esercizio dell’attività di raccolta delle scommesse”. Le due donne avevano provato anche a sostenere di essere in buona fede, dal momento che sul reato i giudici non hanno espresso un orientamento pacifico. Al contrario, anzi, avrebbero emesso delle sentenze contrastanti. Ma la Cassazione replica che – anche a voler ammettere che esista un contrasto giurisprudenziale – proprio questo fatto “avrebbe dovuto indurre le ricorrenti a risolvere il dubbio attraverso l’esatta conoscenza della specifica norma o, in caso di soggettiva invincibilità di esso, astenersi dall’azione illecita”. E spiega che “chi intende svolgere una data attività commerciale deve informarsi prima sulla normativa di settore. Di conseguenza, chi vuole invocare la buona fede “non può limitarsi ad affermare l’incertezza derivante da contrastanti orientamenti giurisprudenziali nell’interpretazione e nell’applicazione di una norma (…) al contrario, il dubbio sulla liceità o meno della condotta deve indurre il soggetto ad un atteggiamento più attento fino cioè, secondo quanto affermato dalla sentenza 364 del 1988 della Corte Costituzionale, all’astensione dall’azione se, nonostante tutte le informazioni assunte, permanga l’incertezza sulla liceità o meno dell’azione stessa”. In altre parole, “il dubbio, non essendo equiparabile allo stato d’inevitabile ed invincibile ignoranza” non può “escludere la consapevolezza dell’illiceità”. rg/AGIMEG