IL titolare di un centro trasmissione dati che non richiede la licenza di pubblica sicurezza commette il reato di raccolta non autorizzata di scommesse, e si trova in sostanza in una situazione differente da quella del soggetto che si vede negare la licenza per il solo fatto di non essere in possesso della concessione. E’ in sostanza quanto ribadisce la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione decidendo sul ricorso intentato dai titolari di un centro trasmissione dati condannati dalla Corte d’Appello a quattro mesi di reclusione. “Lo svolgimento in forma organizzata dell’attività di accettazione o raccolta o di intermediazione, anche per via telefonica o telematica, di scommesse” effettuata da una persona che non abbia richiesto la licenza di pubblica sicurezza, “ed agisca per conto di un allibratore estero privo di concessione, integra, indipendentemente dalla illegittimità del mancato rilascio di quest’ultima, il reato di cui all’art. 4, commi 1 e 4-bis della legge 401” scrive infatti la Cassazione. Nel caso in questione, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibili le censure sulla configurabilità del reato, mentre ha accolto la richiesta di sospensione condizionale. Sul primo aspetto ha ricordato il particolare caso dei ricorrenti. Questi infatti non si erano visti negare la licenza di pubblica sicurezza, avevano invece deciso di non chiederla, certi che non avrebbero ottenuto il titolo visto che il bookmaker cui erano collegati era privo della concessione dei Monopoli. La Suprema Corte sottolinea però che “non sarebbe stato possibile conoscere gli eventuali esiti della domanda una volta formulata (né l’autorità giudiziaria poteva di per sé sostituirsi all’autorità amministrativa nella valutazione della relativa istanza). Atteso ciò, andava ritenuta la responsabilità degli imputati per il solo fatto di avere esercitato, in carenza di autorizzazione perché non richiesta, l’attività organizzata al fine di raccogliere o comunque favorire le scommesse in via telematica”. rg/AGIMEG