La titolare di una sala giochi a Città di Castello ha presentato un ricorso in Cassazione per chiedere l’annullamento della sentenza del Tribunale di Perugia con la quale era stata condannata per aver esercitato abusivamente un’attività organizzata al fine di accettare o raccogliere o comunque favorire la raccolta o accettazione, anche per via telefonica o telematica, di scommesse su eventi reali e virtuali senza concessione, autorizzazione o licenza ai sensi dell’art. 88 TULPS.
La Cassazione ha ribadito che i “giudici di merito hanno accertato in fatto che durante i controlli nella sala giochi, di cui l’imputata era legale rappresentante, i finanzieri avevano verificato che un dipendente stava raccogliendo le scommesse tramite il computer collegato alla rete internet, utilizzando un provider non autorizzato a operare sul territorio nazionale e che la raccolta avveniva attraverso un bookmaker del pari non autorizzato a operare sul territorio nazionale”.
Inoltre, “questa Sezione ha già chiarito che in tema di esercizio abusivo di attività di gioco o di scommessa, solo l’adesione, da parte dell’operatore privo di licenza di pubblica sicurezza e di concessione, alla speciale procedura di regolarizzazione prevista dal comma 643 dell’art. 1 della L. 23 dicembre 2014, n. 190, è suscettibile di comportare riflessi sananti sul reato di cui all’art. 4, comma 4-bis, L. 13 dicembre 1989, n. 401″.
“Nel caso in esame, la prova dell’illecita intermediazione è stata raggiunta con adeguato apprezzamento delle fonti di prova e degli esiti investigativi dei verbalizzanti da cui è emersa, come detto, l’esistenza di una complessa organizzazione con predisposizione di postazioni connesse alla rete internet e di stampanti per le ricevute di gioco. Sono state poi rinvenute numerose ricevute di gioco”.
Per questi motivi la Cassazione ha rigettato il ricorso e confermato quanto stabilito dal Tribunale di Perugia. ac/AGIMEG