Ricerca Università Tor Vergata, l’eteroesclusione dal gioco: opportunità giuridica di realizzazione del Registro Unico delle eteroesclusioni

Uno degli aspetti più interessanti della ricerca presentata questa mattina dai ricercatori della Facoltà di Scienze Cliniche e Medicina Traslazionale dell’Università di Tor Vergata è quella dell’opportunità giuridica di realizzazione del Registro Unico delle eteroesclusioni.

Pur se il contesto della presente ricerca afferisce alla realizzazione di un registro unico inerente il gioco fisico (a fronte della vigenza di un R.U.A. sul gioco on line), la medesima ricerca riguarda anche la realizzazione di un “Sistema R.U.E.” inerente sia il gioco fisico che il gioco on line.

Queste sono doverose premesse funzionali volte a giustificare il richiamo che, nel corso del testo, si è inteso effettuare anche ad atti comunitari inerenti unicamente il gioco on line (in assenza di specifici provvedimenti inerenti il gioco fisico), dai cui contenuti tuttavia possono estrarsi principi, necessità ed opportunità funzionali alla realizazione di un R.U.E.

E qui il riferimento è inevitabilmente alla già citata Raccomandazione del 14 luglio 2014, dalla quale si vogliono estrarre talune considerazioni, in particolare sia quelle inerenti all’impatto che il gioco patologico possa avere sulla famiglia e, dunque, su soggetti terzi al giocatore patologico sia quelle inerenti all’opportunità che gli Stati membri dispongano “norme relative alla richiesta di terzi interessati,

…per l’esclusione dei giocatori dal “sistema gioco”.

Si pone dunque la cogente necessità di offrire tutela, mediante adeguati strumenti, a tutti quei soggetti terzi che, seppur non affetti da patologia, possano non solo essere interessati a forme snelle di tutela preventiva mediante esclusione dei propri familiari, ma interessati specialmente alla tutela del patrimonio familiare chiaramente “intaccabile” dall’operatività di gioco del soggetto invece direttamente affetto da patologia.

A tal punto si impone una riflessione preliminare.

Calare l’essere umano all’interno di una società -intesa quest’ultima sia in senso ampio come qualsivoglia sede o contesto all’interno del quale l’uomo svolge le proprie attività, realizza i propri desideri, intrattiene relazioni sociali, sviluppa la propria persona e assume decisioni a rilevanza economica per il proprio

sostentamento, significa approfondirne i diritti costituzionalmente garantiti, le libertà, gli interessi e specialmente valutare quanto ampi siano gli spazi di autodeterminazione e di eterodeterminazione nelle proprie scelte quotidiane.

Proprio in relazione al presente progetto scientifico, risulta dunque chiaro il collegamento tra diritto a porre in essere un determinato comportamento (l’azione ludica), la capacità nel porlo in essere nonché eventuali forme legali impositive (da terzi) o volontarie di limitazione dell’agire umano che possano trovare la loro fonte causale in patologie cliniche e, più in generale, in forme di incapacità più o meno assolute che possano minare la coscienza e consapevolezza dei propri atti e che l’ordinamento giuridico vuole tutelare, riponendo così grande attenzione alla cura dei soggetti incapaci di agire.

Ma è altrettanto importante evidenziare il contrasto tra le esigenze di tutela della salute come diritto costituzionalmente garantito e libera scelta dell’individuo nell’autodeterminarsi a porre in essere tutte quelle attività -anche di cura- funzionali a prendere una consapevole decisione di salvaguardarsi da rischi che potrebbero appunto incidere sulla propria persona.

Al centro di tale contrasto vi è la dignità umana da intendersi come valore naturale e giuridico di ogni individuo e che diviene centro motore per azionare forme di bilanciamento tra l’interesse dello Stato a tutelare la salute della persona e l’esercizio, da parte di quest’ultima, di altri diritti costituzionalmente garantiti.

Proprio su questo bilanciamento di interessi si fonda la necessità di realizzare adeguate e snelle forme di eteroesclusione dal gioco.

Riveste dunque particolare importanza analizzare la salute sia come diritto del singolo costituzionalmente garantito sia come limite al proprio potere di autodeterminazione nelle proprie scelte (anche e specialmente di natura economica) partendo dal presupposto logico che l’azione di gioco o di scommessa può essere intesa sia come mero comportamento umano ricreativo (seppur a chiara valenza contrattuale) sia come manifestazione negativa, espressione di una malattia, come azione foriera di patologie psichiatriche, come vera infermità, come processo morboso che possa incidere quantitativamente e qualitativamente sulle capacità di intendere e di volere del singolo e, dunque, sulla propria capacità di autodeterminazione, sulle capacità volitive e che dunque possa impedire l’assunzione della scelta di “fermare” la propria azione.

Pur non offrendo una definizione ben precisa di “salute”, la nostra Carta costituzionale la qualifica espressamente come diritto fondamentale presupposto per la realizzazione di ogni soggetto umano, e dunque quale diritto primario, inalienabile, intrasmissibile, irrinunciabile e, in certi limiti, indisponibile, in tal modo inserendo la salute tra i diritti ascrivibili all’idea stessa di persona e di cui costituiscono connotati imprescindibili.

Tuttavia, al diritto alla salute riteniamo debba attribuirsi una rilevanza ambivalente, in quanto non solo deve essere inteso come “fondamentale diritto dell’individuo” bensì anche come “interesse della collettività”, configurandosi dunque come diritto complesso poiché garantirebbe una molteplicità di posizioni giuridiche soggettive diverse.

Dunque la salute, intesa quale diritto costituzionalmente garantito, impone all’ordinamento di assicurare prestazioni sanitarie assistenziali e di prevenzione, apprestando le risorse (umane, organizzative, finanziarie) necessarie per l’erogazione dei relativi servizi e garantire cure adeguate, in ciò evidenziandosi quell’ambivalenza strutturale e funzionale del diritto alla salute inteso così anche come interesse della collettività che si sostanzia nei mezzi predisposti da parte dello Stato affinché tutti i cittadini possano godere del miglior stato di salute.

L’interesse della collettività che chiaramente rientra anche nel concetto di ordine pubblico (di protezione).

Ma strettamente collegato al diritto alla salute è il diritto all’autodeterminazione, cioè il diritto di ogni paziente di operare una scelta consapevole e libera circa il trattamento sanitario al quale sottoporsi al fine di garantire, nel rispetto dell’art. 32 Cost., le proprie libertà fondamentali: è la stessa Costituzione che riconosce la libertà dell’individuo nel decidere se e come esercitare tale diritto (c.d. autodeterminazione) scegliendo (o non scegliendo) le modalità di cura migliori, utilizzando l’autonomia privata come strumento per realizzare al meglio lo sviluppo della propria persona.

Stabilendo che “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”, l’art. 32 della Carta Costituzionale conferma in modo esplicito il divieto di effettuare trattamenti sanitari che prescindano dalla volontà del malato (salvo espresse previsioni legislative), indicando come limite invalicabile il rispetto della persona umana.

Con tale formula il legislatore costituzionale mira, dunque, a valorizzare il diritto di autodeterminazione del malato come strumento di garanzia individuale alla completa autodeterminazione “sul se e sul come” del trattamento sanitario, riconoscendo il c.d. diritto all’inerzia di fronte a talune necessità terapeutiche.

Tali rilievi trovano una specifica applicazione specialmente nel settore dei giochi e delle scommesse: considerando l’agire ludico come forma e strumento negoziale di autonomia privata si nota dunque una stretta correlazione tra il riconoscimento dell’individuo di autodeterminazione al compimento di una specifica azione a valenza negoziale, le conseguenze di tale azione e la necessità di garantire la consapevolezza degli effetti, e ciò in funzione di predisporre idonei strumenti o forme di tutele legali ed assistenziali che non solo possano intervenire al momento del verificarsi dell’aspetto patologico clinico del disturbo da gioco, ma che possano anche “intercettare ed anticipare” conseguenze lesive ancora non verificatesi.

Si potrebbe allora procedere ad una categorizzazione di strumenti di tutela distinguendoli tra quelle forme legali di tutela volte a limitare l’azione individuale di gioco e di scommessa (ed a prevedere idonee cure) ma caratterizzate dalla volontarietà e dall’autodeterminazione del malato, quale ad esempio lo strumento dell’autoesclusione, da forme invece caratterizzate dall’eterodeterminazione, in quanto innescate da soggetti differenti dal giocatore patologico o problematico, compreso lo Stato (si pensi ad esempio all’ipotesi di Tizio, economicamente autonomo e titolare del diritto di disporre dei propri averi anche mediante forme dilapidative del proprio patrimonio, e lo Stato che intervenga al fine di evitare che forme patologiche di prodigalità portino a produrre effettivi negativi sia sulla collettività che sui familiari del prodigo), ma che tuttavia abbiano un effettivo interesse alla cura del disturbo da gioco che può e deve essere inteso sia come malattia ma anche come forma di incapacità (seppur nelle sue diverse graduazioni) di intendere e di volere, come situazione psicopatologica a sé stante che può certamente rientrare, come anche rilevato dalla giurisprudenza di legittimità, nel concetto di infermità di cui agli artt. 88 e 89 del c.p., e dunque come ipotesi di declaratoria di non imputabilità o di semiimputabilità, di cui anche il giudice penale deve tener conto .

Ed è proprio tale coscienza e consapevolezza dei propri atti che l’ordinamento giuridico italiano vuole tutelare in termini generali: si pensi al motivo per il quale il nostro legislatore ripone grande attenzione alla cura dei soggetti incapaci di agire, contemperando tutela e libertà del singolo, al fine di evitare i pregiudizi che potrebbero derivare a seguito del compimento di un atto da parte di un incapace. E talmente elevata è la cura prestata dal nostro ordinamento che, ai sensi dell’art. 428 c.c. si è inteso disciplinare anche le c.d. incapacità “non legali” e cioè naturali, cioè non cristallizzate in una sentenza o in generale in un pronunciamento giudiziario, con ciò anche tutelando quelle forme di incapacità di intendere e di volere anche transitorie.

E ciò invece a fronte di forme di limitazioni legali alla capacità di agire, quali gli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione a cui, nell’oramai non più recente passato si è aggiunta la figura della c.d. amministrazione di sostegno: tale sistema di tutela si fonda sull’investitura fatta al giudice del compito di rendere effettiva la tutela dell’incapace, con l’applicazione, al singolo caso concreto, dei principi dettati a tutela degli interessi della persona e del suo patrimonio.

Tuttavia, queste forme legali e giudiziarie di tutela portano con sé il problema della loro azionabilità non tanto e solo da parte del soggetto direttamente interessato bensì da parte di altri soggetti, le c.d. “Terze parti”, toccate direttamente o indirettamente dalle conseguenze lesive, reali o potenziali dell’agire ludico patologico.

Si pone ciò il problema, da parte di altri soggetti interessati, di azionare forme di tutela giudiziarie, quasi a valere “contro il diretto interessato”, e che possano portare a quella che definiremo come pericolosa “forma di segregazione sociale” del tutelato, sia esso interdetto sia esso inabilitato sia esso sottoposto a procedura di amministrazione di sostegno.

A ciò si aggiungano anche i costi giudiziari volti a richiedere un determinato provvedimento, a fronte anche di eventuali forme non solo patologiche bensì problematiche, anche transitorie, che non rientrino ad esempio nell’alveo dell’incapacità legale ma nel diverso, diremo, più ampio campo della capacità naturale.

E proprio in relazione alla tutela giudiziaria delle suddette ipotesi, molto spesso le “Terze parti” si trovano “moralmente e familiarmente obbligate” a non intervenire formalmente e giudizialmente, e ciò al fine di evitare di “trascinare” l’interessato in un giudizio accertativo della propria eventuale condizione patologica.

Se infatti, ed a titolo di esempio, l’istituto dell’amministrazione di sostegno13 avrebbe lo scopo di fornire tutela alle persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, mediante l’applicazione del principio di gradualità delle misure di protezione – in forza del quale il giudice deve scegliere tra gli strumenti di protezione offerti dall’ordinamento quello che realizzi la funzione di protezione apportando la minore limitazione possibile della capacità del soggetto interessato ed il principio di flessibilità della risposta protettiva – è altrettanto vero che, per modalità di accesso, per ente legittimato alla nomina, per la procedura e, soprattutto, per i costi e per la tempistica, ci troviamo dinanzi ad una vera azione giudiziaria, a volte incompatibile, per modalità operative, con lo scopo di intercettare e bloccare, con tempestività, situazione di gioco patologiche o problematiche.

Se cioè risponde a verità l’assunto in base al quale il beneficiario-destinatario dell’applicazione dell’istituto conserverà la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedano la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno, potendo dunque continuare a compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana, con ciò non acquistando la qualità giuridica di incapace, è altrettanto chiaro che, mediante la formalizzazione di richiesta di applicazione dell’istituto da parte di un familiare del soggetto interessato, emergerà con chiarezza la volontà, da parte appunto del familiare, specificamente individuato, di eterodeterminare l’interessato nella parte più importante della sua quotidianità, e cioè l’aspetto economico di gestione delle proprie disponibilità economiche che inevitabilmente porta con sé un forte limitazione dell’operare quotidiano.

In tal modo, e la prassi lo conferma, vi sarebbe una sorta di “ritrosia familiare” ad azione formalmente tale istituto.

Se dunque oggi da un lato ci troviamo dinanzi a forme di autoesclusione dal gioco, peraltro ingiustificatamente limitate al gioco on line, ed a forme “giudiziarie” di etero-limitazioni dell’agire economico e ludico (mediante l’istituto dell’amministratore di sostegno), si ritiene che il nostro ordinamento debba riflettere con urgenza, e sulla base anche di esperienze straniere, sulla realizzazione di forme altrettanto semplificate, ma allo stesso tempo proattive ed intercettative di forme di disagio patologico o problematico, che vadano ad ampliare la tutela preventiva del giocatore e, dunque dell’ordine pubblico, mediante procedure snelle di “eterosegnalazione”.

Tutto ciò coinvolge il problema della tutela della riservatezza del segnalante, del segnalato e pone la problematica se, in Italia oggi, vi siano similari ammesse forme di eteroindividuazione o di eterosegnalazione di soggetti terzi in funzione di tutela sia dei diritti dei privati che dello Stato, cioè dell’ordine pubblico di protezione.

Per i motivi evidenziati si auspica, nel futuro, una riflessione sulla possibilità di introdurre forme di eterosegnalazione (ad esempio da parte di parenti, familiari, medici, banche e, non da ultimo dei concessionari e degli esercenti), utilizzando strumenti già ampiamente presenti nella nostra attuale legislazione quali, a titolo di esempio, il c.d. “Whistleblowing” o, in campo penale, la procedura di c.d. ammonimento in tema di stalking che certamente potrebbe essere utilizzato come schema procedurale per creare ulteriori forme preventive di tutela anche nel settore dei giochi e delle scommesse.

Ovvero si pensi ancora alla disciplina di cui all’art. 35 del d.lgs. 231/07 in tema di segnalazione di operazioni sospette, od ancora, sempre nel medesimo tema, l’istituzione del Registro unico dei titolari effettivi tramite il quale, un terzo (e cioè il rappresentante legale dell’impresa obbligata) ha l’obbligo di comunicare, sotto la propria responsabilità, ad un registro a gestione pubblica, i nominativi dei titolari effettivi dell’azienda da egli rappresentata e, dunque, terzi rispetto alla carica da Egli esercitata ed in generale terzi rispetti alla sua soggettività giuridica.

In termini di “vulgaria eloquentia”, e come di seguito approfondito, ci troviamo dunque e sovente dinanzi a procedure e processi, ampiamente ammessi dallo Stato italiano, consistenti in forme di “ostracismo legalizzato” o di comunicazione di dati di terzi, a prescindere dalla volontà di questi ultimi, ed in virtù di un sistema di bilanciamento di interessi in cui l’ordine pubblico prevale sulla volontà del singolo. Un “ostracismo” che tuttavia non porta con sé e come conseguenza l’automatismo di un provvedimento giudiziario, di una condanna o di una esposizione al pubblico dei contenuti dei dati trasmessi, e men che meno ha come conseguenza diretta l’estromissione legale del segnalato dalla vita sociale, bensì realizza un sistema di prevenzione in funzione di tutela sia di un interesse pubblico che di un interesse privato.

Rilevanti sono le considerazioni che seguono, sul presupposto che il seguente campo di indagine è funzionale all’emersione di principi vigenti, che potrebbero essere applicabili al sistema dell’eteroesclusione.

Procedura di ammonimento

In tema di maltrattamenti in famiglia e atti persecutori si discute da tempo sulla ricerca dei migliori strumenti finalizzati alla tutela delle vittime, specialmente in relazione alla lunghezza del processo e, dunque, all’attesa di una sentenza definitiva nonché di strumenti alternativi alla querela, con lo scopo di garantire al soggetto passivo una tutela più rapida ed anticipata rispetto alla definizione del procedimento penale o comunque ai tempi di intervento da parte dell’Autorità giudiziaria.

Il provvedimento di ammonimento questorile è “istituto di natura amministrativa” e di derivazione anglosassone, introdotto nel nostro Ordinamento dal D.L. n. 11 del 23.02.2009 recante “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”, convertito con modificazioni dalla L. n. 38 del 23.04.2009. Con lo stesso intervento legislativo si è anche inserito nel Codice penale il medesimo delitto di atti persecutori.

Così, l’art. 8 del D.L. n. 11/2009 oggi prevede che “Fino a quando non è proposta querela per il reato di cui all’articolo 612 bis del codice penale, introdotto dall’articolo 7, la persona offesa può esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta. La richiesta è trasmessa senza ritardo al questore.

Il questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l’istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Copia del processo verbale è rilasciata al richiedente l’ammonimento e al soggetto ammonito.”.

L’analisi dell’istituto e le considerazioni ad esso afferenti, mostrano stridenti analogie con le dinamiche afferenti i problemi legati ai giochi e le scommesse, in relazione all’interesse di terzi alla salvaguardia, ad esempio, non solo della salute del giocatore ma, come già rilevato, alla salvaguardia dell’integrità del patrimonio familiare ed in generale della tutela degli interessi familiari anche di natura affettiva.

Ed infatti non si può non considerare come spesso, chi subisce atti persecutori, abbia difficoltà a confidarsi con qualcuno per cercare aiuto o sostegno, probabilmente per paura, disagio o perché nutre la speranza di essere in grado di saper gestire da soli la situazione e che tutto si concluda al più presto, sottovalutandone i rischi, o, ancora, sia frenato dal ricorrere immediatamente alle vie giudiziarie a causa del legame affettivo pregresso nei confronti del persecutore.

L’ordinamento ha voluto così offrire alla stessa vittima uno strumento in più che possa dunque incentivarla a reagire mentre, dall’altro lato, si mira a disincentivare l’autore a perpetrare le condotte nella speranza, evidentemente, che tale avviso abbia, soprattutto per il fatto che comunque proviene da una Autorità di polizia, un effetto dissuasivo.

È poi opportuno evidenziare che l’istante non sarebbe neanche perseguibile o punibile per il reato di calunnia nel caso di dichiarazioni eventualmente non veritiere, considerato che non si determina il pericolo di instaurazione di un procedimento penale non gravando sull’Autorità di polizia di trasmetterle a quella giudiziaria.

Il provvedimento emesso, costituisce dunque una misura di prevenzione con finalità dissuasive, finalizzata dunque a scoraggiare ogni forma di persecuzione, come in più occasioni precisato dalla giurisprudenza, la quale ha rilevato che l’ammonimento è preordinato a che gli atti persecutori posti in essere contro la persona non siano più ripetuti e non cagionino esiti irreparabili.

Dunque, al pari della ratio che dovrebbe sottendere la procedura di eteroesclusione nel settore dei giochi, il provvedimento di ammonimento assolve ad una funzione tipicamente cautelare e preventiva, in quanto teso a evitare che le azioni sanzionate persistano e provochino danni irrimediabili.

Tuttavia, nel caso in esame l’ammonimento sarebbe un “comando” a carico del prevenuto, che rimane in ogni caso libero di aderirvi o meno senza che ciò comporti di per sé alcuna sanzione penale.

Un ulteriore aspetto di nostro interesse afferisce la partecipazione alla procedura da parte del possibile ammonito, procedura che si ricorda essere molto snella e rapida, perché si tratta di un procedimento amministrativo di prevenzione ed ove -per arrivare alla decisione- il Questore assume, se necessario, informazioni dagli organi investigativi e sente le persone informate sui fatti quando gli occorrono dei chiarimenti (ad es., potrebbe decidere l’audizione di familiari della vittima piuttosto che colleghi di lavoro).

La partecipazione dell’ammonendo garantirebbe nei suoi riguardi il contraddittorio ai sensi della legge generale del procedimento amministrativo, concedendo la possibilità di esporre per iscritto, oltretutto con maggiore ponderazione, quindi con maggior completezza ed efficacia, le proprie ragioni.

È dunque la ratio del procedimento di ammonimento che deve essere utilizzata al fine di ricercare le basi giuridiche dell’introduzione di una procedura di eteroesclusione in funzione dell’istituzione di un R.U.E.

Il superamento di una soglia di rispetto della libertà e dignità altrui, comunemente insita nei limiti di un “civile” disaccordo e confronto nelle relazioni interpersonali, ha dunque destato un allarme sociale (pari alla dinamica afferente il D.G.A.) che ha spinto il legislatore a prevedere e sanzionare con l’ammonimento condotte che potrebbero sfociare in ben più gravi forme di violenza e, di conseguenza, a sostegno del provvedimento, è sufficiente un quadro istruttorio da cui emergano sul solo piano indiziario eventi che recano un vulnus alla riservatezza della vita di relazione o, in senso lato e su un piano anche solo potenziale, all’integrità fisica e psichica della persona dal momento che, anche all’ammonimento, deve applicarsi quella logica dimostrativa a base indiziaria e di tipo probabilistico che informa l’intero diritto amministrativo della prevenzione. Proprio per questo, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, l’ammonimento della Questura è un provvedimento discrezionale chiamato ad effettuare una delicata valutazione delle condotte poste in essere dal potenziale stalker, in funzione preventiva e dissuasiva, finalizzata a scoraggiare ogni forma di persecuzione nel contesto delle relazioni affettive/sentimentali e preordinato a impedire che gli atti persecutori non siano più ripetuti e cagionino esiti irreparabili (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, Sez. III, 25 maggio 2015, n. 2599) e, di conseguenza, il provvedimento di ammonimento presuppone non l’acquisizione della prova richiesta ai fini della condanna per il reato di stalking, ma la sussistenza di soli elementi indiziari dai quali sia possibile desumere, con un adeguato grado di attendibilità, un comportamento reiterato anomalo, minaccioso o semplicemente molesto atto a determinare un perdurante e grave stato di “ansia e paura” nella vittima e potenzialmente degenerare, se non fermato, in condotte costituenti reato (Consiglio di Stato Sez. III, 10/12/2020, n.7883; 25/06/2020, n. 4077; 15/02/2019, n.1085; 7/9/2015, n. 4127 25/5/ 2015, 2599).

Whistleblowing

In termini sociali e, diremo quasi giornalistici, il segnalatore (o segnalante) di illeciti è un individuo che denuncia pubblicamente o riferisce alle autorità attività illecite o fraudolente all’interno del governo, di un’organizzazione pubblica o privata. Sono ritenuti tali i soggetti che denuncino le condotte illecite o pericoli di cui sono venuti a conoscenza all’interno dell’organizzazione stessa, all’autorità giudiziaria o renderle pubbliche attraverso i media o le associazioni ed enti che si occupino dei problemi in questione.

La figura del “whistleblower14 è stata introdotta dall’art. 1, comma 51 della legge 6 novembre 2012, n. 190 che ne ha disciplinato per la prima volta la figura, con particolare riferimento al “dipendente pubblico che segnala illeciti”, al quale viene offerta una parziale forma di tutela15.

Nell’introdurre un nuovo art. 54-bis al decreto legislativo 30 marzo 2001, 165, si è infatti stabilito che, esclusi i casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile italiano, il pubblico dipendente che denuncia all’autorità giudiziaria italiana o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto a una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia.

Inoltre, nell’ambito del procedimento disciplinare, l’identità del segnalante non può essere rivelata (rilievo di particolare interesse ai fini di una futura introduzione del sistema R.U.E.) senza il suo consenso, sempre che la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione.

Si è tuttavia precisato che, qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione, l’identità può essere rivelata ove la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato, con conseguente indebolimento della tutela dell’anonimato.

Dunque, con la legge 190/2012 il legislatore è intervenuto a disciplinare il fenomeno dando attuazione agli specifici obblighi assunti dall’Italia in sede internazionale, poiché le convenzioni internazionali in più occasioni si erano occupate della necessità di adottare norme a tutela dei dipendenti pubblici (o privati) che avessero segnalato illeciti rispetto ai quali fossero estranei16. Ed infatti, come già evidenziato, il nostro legislatore con l’art. 1 comma 51 della l. 190/2012116, conformandosi alla tendenza inaugurata in sede internazionale, ha sancito per la prima volta la tutela del whistleblower introducendo nel d.Lgs. 165/2001 una specifica norma, l’art. 54 bis, rubricato “Tutela del dipendente che segnala illeciti”, assegnando rilevanza ad un principio, quello del bilanciamento degli interessi (rilevante in tal caso anche ai fini della presente ricerca), per individuare un punto di equilibrio fra il dovere di fedeltà nei confronti del datore di lavoro e il dovere di riferire i fatti illeciti quanto, in funzione della costituzione di un sistema di controllo diffuso della legalità.

Al fine di comprendere poi quanto sia elevato l’interesse del nostro ordinamento alla maggiore realizzazione di strumenti di “eterosegnalazione” in funzione della legalità, si ricorda altresì come la richiamata disciplina è stata poi modificata con un ulteriore intervento del legislatore che, con la l. 179/2017 ha da un lato integrato la disciplina già prevista a seguito della l. 190/2012 con disposizioni volte a rafforzare la tutela del dipendente e, dall’altro, ha esteso l’applicazione della suddetta normativa anche ai dipendenti privati introducendo tre nuovi commi all’articolo 6 del Decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300, incidendo sui contenuti dei modelli organizzativi”.

Nella sostanza, ed in estrema sintesi, anche nelle relazioni imprenditoriali privati, il sistema di bilanciamento degli interessi in funzione della legalità ha inteso impattare anche sui modelli organizzativi delle aziende private.

Volendo sintetizzare le novità introdotte, al comma 2-bis si dispone che i modelli di organizzazione e gestione debbano prevedere:

  1. adeguati canali che, garantendo la riservatezza dell’identità del segnalante, consentano ai soggetti apicali e sottoposti di presentare, a tutela dell’integrità dell’ente, segnalazioni circostanziate di condotte illecite o di violazioni del modello;
  2. almeno un canale alternativo di segnalazione che garantisca la riservatezza del segnalante;
  3. il divieto di atti di ritorsione o discriminatori nei confronti del segnalante per ragioni collegate alla segnalazione;
  4. adeguate sanzioni nei confronti di chi violi le misure a tutela del segnalante nonché di chi effettui, con dolo o colpa grave, segnalazioni che si rivelino infondate.

Ma l’evoluzione della disciplina ha anche apportato modifiche alla attuale disciplina in tema di contrasto al riciclaggio bancario e finanziario mediante il d.lgs. 90/2017 che ha recepito la direttiva 2015/849/UE (Quarta direttiva Antiriciclaggio), introducendo nel decreto 231/07 l’art. 48 “segnalazioni di violazioni” ai sensi del quale i destinatari della disciplina sono, oggi, tenuti a istituire “procedure per la segnalazione al proprio interno […] di violazioni, potenziali o effettive, delle disposizioni dettate in funzione di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo”.

Ai sensi dell’art. 48 del richiamato decreto 25 maggio 2017, n. 90, sono i dipendenti e le persone in posizione comparabile a poter effettuare segnalazioni di comportamenti in violazione delle disposizioni antiriciclaggio e di finanziamento del terrorismo.

Ed ancora, il recepimento delle Direttive MiFID II e MiFIR ha costituito l’occasione per l’introduzione nel TUF di una disciplina unitaria dei sistemi di segnalazione delle violazioni nel settore del mercato finanziario. La nuova disciplina è contenuta negli articoli 4-undecies e 4-duodecies inerenti, rispettivamente, il c.d. whistleblowing interno e il c.d. whistleblowing esterno.

In particolare, con l’art. 4-undecies del TUF, è stato stabilito che tutti gli intermediari finanziari e assicurativi, “adottano procedure specifiche per la segnalazione al proprio interno, da parte del personale, di atti o fatti che possano costituire violazioni delle norme disciplinanti l’attività svolta, nonché del Regolamento (UE) n. 596/2014”.

E da ultimo, sempre in ambito bancario, l’articolo 52-bis Sistemi interni di segnalazione delle violazioni” del T.U.B. dispone che “Le banche e le relative capogruppo adottano procedure specifiche per la segnalazione al proprio interno da parte del personale di atti o fatti che possano costituire una violazione delle norme disciplinanti l’attività bancaria. 2. Le procedure di cui al comma 1 sono idonee a:a) garantire la riservatezza dei dati personali del segnalante e del presunto responsabile della violazione, ferme restando le regole che disciplinano le indagini o i procedimenti avviati dall’autorità giudiziaria in relazione ai fatti oggetto della segnalazione; b) tutelare adeguatamente il soggetto segnalante contro condotte ritorsive, discriminatorie o comunque sleali conseguenti la segnalazione; c) assicurare per la segnalazione un canale specifico, indipendente e autonomo”.

L’informatore dunque “spera di fermare il gioco dell’illegalità” al pari delle c.d. “Third parties” nel settore dell’eteroesclusione in funzione di fermare le conseguenze lesive del gioco e delle scommesse.

Sistema di Segnalazione di operazione sospetta antiriciclaggio e bilanciamento degli interessi

Ulteriori spunti di riflessione, funzionali a ricercare adeguate basi normative, già vigenti nel nostro ordinamento, dalle quali far emergere la chiara possibilità e giustificatezza di un sistema di “eteroesclusione” nel settore giochi e scommesse, riguarada il sistema segnaletico di cui all’art. 35 del d.Lgs. 231/07 la cui vigenza, oramai da anni, ha già posto in evidenza la problematica coinvolgente il giusto e ragionevole bilanciamento che deve essere effettuato tra valori omogenei allo scopo di non sacrificare diritti e libertà del cittadino in mancanza di specifiche esigenze di tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza generale.

Bilanciamento degli interessi e dei valori coinvolti che deve avvenire tramite un processo di proporzionalità che si snoda attraverso una prima fase di individuazione dell’interesse pubblico meritevole di tutela che giustifica la misura limitativa, di una seconda fase che valuta l’idoneità della misura a perseguire, concretamente, quel dato interesse ed una terza fase di verifica della non eccedenza della misura rispetto alle finalità, ovvero possibilità di escludere ragionevolmente che quel dato interesse non sia tutelabile anche attraverso altre misure, meno restrittive (tutti ragionamenti questi funzionali alla presente ricerca).

Cosi come in tema di prevenzione del disturbo da gioco, anche in tema di presidi antiriciclaggio ci troviamo dinanzi all’interesse e tutela della sicurezza pubblica (e, in tema di D.G.A.A., tutela della salute pubblica e dell’ordine pubblico di protezione) rispetto ai diritti dei singoli ed alla privacy dei dati afferenti i singoli che, proprio con il sistema della Segnalazione di operazione sospetta, vengono trasmessi all’autorità pubblica in funzione non più solo eventualmente repressiva, bensì in funzione preventiva.

Proprio in tema di antiriciclaggio, già il legislatore europeo e poi nazionale in sede di recepimento, hanno dimostrato l’interesse a tutelare come “interessi generali” e dunque preminenti, la tutela del mercato interno e la tutela della sicurezza nazionale, in quanto considerati interessi meritevoli di essere perseguiti dagli Stati membri e dall’Unione Europea, talvolta anche mediante l’utilizzo di misure particolarmente restrittive, al fine di rendere maggiormente efficace la loro protezione, ma allo stesso tempo l’art. 43 della direttiva n. 849/2015 dispone che il corretto trattamento dei dati personali, effettuato sulla base della medesima direttiva, è da ritenersi di preminente interesse pubblico.

Pertanto, è opportuno considerare che tale normativa, per sua natura intrinseca volta alla lotta dei suddetti crimini, determina l’utilizzo di numerosi dati inerenti una o più persone fisiche, al fine di poter essere in grado di identificare concretamente potenziali minacce e, dunque, determinando inevitabilmente una vera e propria compressione legittima e/o legalizzata della tutela inerente la privacy e il trattamento dei dati personali.

Compressione questa certamente rinvenibile in un futuro sistema di eterosegnalazione in tema di D.G.A., che deve necessariamente prendere in considerazione, come già rilvato in precedenza, la attuale disciplina circa i c.d. “dati ex sensibili” di cui all’art. 9 del GDPR ove si stabilisce il divieto di trattare queste “categorie particolari di dati personali”, salve particolari eccezioni in relazione a casi o fattispecie che possono qualificarsi come indispensabili per il raggiungimento del fine prefissato; ad ogni modo, laddove si rendessero assolutamente necessario in determinate circostanze, è compito del legislatore individuare eventuali linee di azione, al fine di evitare discriminazioni ingiustificate: questa previsione dovrà chiaramente essere oggetto di specifica norma di legge.

Affiancando la normativa in tema di S.o.s. all’esigenza di realizzare un registro delle eteroesclusioni sulla base di una apposita procedura, si denota con immediatezza una base comune di principi e ragionamenti afferenti la problematica relativa al bilanciamento, in un contesto storico in cui se la privacy si configura come un diritto fondamentale, centrale per la continuità di una società democratica, le sue limitazioni sono comunque ammissibili ma devono avvenire in circostanze estremamente specifiche e devono essere assistite da idonee garanzie.

Dunque anche nel caso dell’istituzione di un R.U.E., le limitazioni di tale diritto saranno da considerarsi legittime e non eccessive, laddove:

  • vi sia una base legislativa precisa e specifica;
  • vi sia la necessità di una simile limitazione al fine di perseguire uno scopo legittimo, considerato anch’esso di interesse generale;
  • via sia la sicurezza che una tale limitazione avvenga secondo corretti parametri di proporzionalità, rispetto allo scopo perseguito;
  • vi sia la necessità di una tale limitazione per realizzare l’attuazione di interessi superiori e generali di sicurezza.

Nuovo Registro dei titolari effettivi e le problematiche sulla tutela dei dati personali

Un ulteriore argomento giustificativo circa la base giuridica su cui si dovrà ragionare in sede di istituzione del R.U.E. può essere ricercato nella recentissima disciplina introduttiva del Registro dei Titolari Effettivi, materia questa che è già stata sottoposta al vaglio del Garante della Privacy proprio in relazione al principio del bilanciamento degli interessi.

È stato infatti pubblicato in Gazzetta ufficiale (n. 121 del 25 maggio 2022) il Decreto 11 marzo 2022 n. 55 del Ministero dell’economia e Finanza di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, dal titolo “Regolamento recante disposizioni in materia di comunicazione, accesso e consultazione dei dati e delle informazioni relativi alla titolarità effettiva di imprese dotate di personalità giuridica, di persone giuridiche private, di trust produttivi di effetti giuridici rilevanti ai fini fiscali e di istituti giuridici affini al trust”.

Il decreto, che contiene le disposizioni regolamentari relative al c.d. registro dei titolari effettivi delle imprese dotate di personalità giuridica, delle persone giuridiche private e dei trust e istituti affini, ha già posto vari interrogativi in merito alla liceità dei trattamenti di dati personali derivanti dal suo funzionamento, sulla quale il Garante per la protezione dei dati personali è stato chiamato ad esprimere il proprio parere.

Anche in tale disciplina, anch’essa collegata alla normativa antiriciclaggio, si rammostra con evidente chiarezza un sistema di eterosegnalazione di dati.

In forza dell’istituzione del Registro dei Titolari Effettivi, gli amministratori di persone giuridiche (e si vuole precisare anche se non soci e non titolari effettivi dell’impresa da essi rappresentata) trust e istituti giuridici affini, dovranno comunicare alla Camera di Commercio, entro i 60 giorni successivi alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del provvedimento con il quale il Ministero dell’Economia e delle Finanze attesterà l’operatività del Registro stesso, i dati personali dei titolari effettivi, ovvero, secondo la definizione di cui al d. Lgs 231/2007, della persona fisica o delle persone fisiche che in ultima istanza possiedono o controllano l’ente o che in altro modo esercitano il controllo sullo stesso.

Si tratta in particolare di dati identificativi (nome, cognome e anno di nascita) e cittadinanza, nonché entità della partecipazione al capitale dell’ente o modalità di esercizio del controllo.

La finalità del Registro è ovviamente quella di prevenzione e contrasto dell’uso del sistema economico per finalità di riciclaggio e finanziamento del terrorismo. Pur nell’ambito di tale finalità, sussistono aspetti delicati relativi al trattamento dei dati personali delle persone fisiche individuate quali titolari effettivi in ragione dei quali l’emanazione del Decreto è stata preceduta da diverse interlocuzioni con il Garante per la protezione dei dati personali, le cui indicazioni sono confluite nello schema di decreto sul quale il Garante ha espresso il proprio parere favorevole con provvedimento del 14 gennaio 2022.

Anche in tali ipotesi, e sempre in funzione di prevenzione, si ammette la possibilità che dati di terzi siano “comunicati” o “segnalati” a soggetti terzi, da persone che non siano i diretti interessati al trattamento del dato personale: ciò, ad esempio, al fine di prevenire il reato di cui all’art. 512 bis del codice penale, ovvero il reato di “Trasferimento fraudolento di valori”, notoriamente reato presupposto al riciclaggio. lp/AGIMEG