Rapp. Censis: Concessionari figure chiave ecosistema gioco

“Il periodo pandemico è stato, ed è ancora, una fase assolutamente
eccezionale, che ha stravolto regole che sembravano ormai definitive e
inscalfibili.
Un esempio emblematico è il blocco delle attività economiche sulla base di
un criterio di essenzialità che è stato trasferito poi nel gioco dei codici
Ateco, o ancora la normazione minuta su attività e relazioni quotidiane delle
persone.
Una fase segnata dall’urgenza sanitaria, legittimante sociale delle restrizioni
e che persiste ancora oggi, coinvolgendo ad esempio il tema della
vaccinazione con i relativi obblighi, divieti e controlli.
Tuttavia, guai a perdere di vista la gravità della situazione, ovvero il suo
essere legata ad una pandemia dai costi sanitari e sociali straordinari che
richiedono risposte adeguate e tempestive.
È una situazione in cui lo Stato è vissuto dai cittadini come il salvagente
irrinunciabile a cui aggrapparsi nel pericolo. Di fronte alla potenza dei
numeri di contagi, ricoveri e morti, all’inappellabilità delle argomentazioni
scientifiche, la società ha accettato quasi con sollievo che i comportamenti
individuali fossero oggetto di una regolazione ferrea, intrusiva fin dentro
sfere molto intime di vita.
Come rilevato in precedenza, fuori dall’eccezionalità sanitaria, è
indispensabile che i comportamenti sociali riconquistino la loro autonomia,
e le persone possano tornare ad operare nella piena libertà individuale delle
scelte, con responsabilità e rispetto degli altri.
Una libertà che deve essere lasciata dispiegarsi nei tanti e diversi ambiti
della vita individuale e collettiva e nei conseguenti comportamenti
quotidiani, consentendo alle persone di farlo in sicurezza.
Fissati i confini della legalità e quelli del rispetto del bene comune e degli
altri membri della comunità, l’autoregolazione responsabile dei
comportamenti rappresenta un principio costitutivo della società
contemporanea”. E’ quanto riporta il rapporto Lottomatica-Censis presentato oggi a Roma. “Nel periodo pandemico ha prevalso l’eccezionalità legata al rischio sanitario
da tutti riconosciuto e temuto, portando gli italiani ad accettare vite non
sovrane volontariamente sottomesse a regole fissate dall’alto tramite i
Dpcm.
È vero che nella situazione di emergenza sanitaria la disciplinata
accettazione delle restrizioni da parte degli italiani, con una sorta di delega
di fiducia in bianco allo Stato, è stata un tratto distintivo in positivo del
nostro Paese rispetto a paesi omologhi in cui hanno avuto largo spazio
negazionismi regressivi.
È però fondamentale esplicitare che, anche nella cultura sociale collettiva
degli italiani, il dirigismo quotidiano, inteso come una cultura della
fissazione dall’alto dei comportamenti virtuosi, dovrà essere assolutamente
transitorio, pena il rischio di ritrovarsi, a pandemia finita, con una velenosa
eredità del virus fatta di limitazioni delle libertà personali.
Infatti, pensare di trasferire nell’oltre-pandemia questa logica, magari
applicandola a tutto ciò che, opinabilmente, si ritiene minacci la salute
individuale o collettiva, oppure è suscettibile di generare costi sociali,
sanitari e umani, rischia di stravolgere la sostanza del buon vivere italiano.
Si è già constatato che anche in ambito strettamente sanitario, ad esempio in
materia di stili di vita salutari, il ricorso a proibizionismi estremi, divieti e
restrizioni generiche e immotivatamente generalizzate alla fin fine è
risultato inefficace o addirittura con effetti opposti a quelli ricercati”, aggiunge. “
La soggettività matura delle persone, che sono capaci di praticare
un’autoregolazione responsabile nei micro-comportamenti quotidiani, grazie
anche a un’informazione di qualità che innalza la capacità di discernimento
e di filtrare informazioni buone da quelle cattive, è una componente
costitutiva del buon vivere italiano.
Anche da questo punto di vista, emblematica è stata l’esperienza della
pandemia: infatti, di fronte ad una comunicazione sul virus che ad 8 italiani
su 10 è apparsa per lunghi tratti confusa, contraddittoria e incerta, dal
lockdown in avanti la grande maggioranza degli italiani ha dato prova di sapersi districare bene nell’infodemia quotidiana, tanto da esprimere una
compliance molto alta alle regole, dando prova di grande maturità
nell’emergenza pandemica.
Nel quadro di scelte e decisioni a sovranità individuale limitata di questi 20
mesi di pandemia, trova ulteriore conferma il fatto che l’autoregolazione
responsabile non è mai libero arbitrio, ma il portato finale di un percorso
individuale e collettivo di lungo periodo in cui le persone assumono
decisioni:
– per propria iniziativa, utilizzando le informazioni rese disponibili
tramite una buona comunicazione, così da avere supporto;
– disponendo di strumenti socioculturali sufficienti per comprendere
tra diversi possibili comportamenti, scegliendo quelli che sono più
congeniali e operando un buon compromesso tra le tante diverse
opzioni.
Nel caso del gioco, l’autoregolazione responsabile rifugge dagli eccessi, sia
da quelli della cultura del no sempre e comunque sia da quelli della
sregolatezza. Piuttosto, è compito dell’azione pubblica e in generale della
società garantire empowerment individuale e nelle tante reti sociali,
mettendo sempre e comunque le persone nelle condizioni di fare le scelte
responsabilmente migliori.
Ecco dove si radica l’essenza del vero criterio concreto dei buoni
comportamenti individuali: la capacità soggettiva, discrezionale, di scegliere
comportamenti appropriati, che non sono solitamente l’incarnazione di una
presunta virtù suprema, ma un compromesso molto pragmatico e funzionale
tra stimoli diversi con soluzioni pratiche a beneficio del benessere
soggettivo”, continua. “La società del divieto dall’alto eticamente motivato è la negazione di quella
della maturità soggettiva, che pratica scelte oculate e che rispetta la
complessità delle persone e la connessa varietà estrema di bisogni e
desideri.
Giocare ogni tanto un po’ di soldi, pur nella estrema improbabilità di
vincere, non è di per sé un comportamento patologico che necessita di
sanzioni, né una minaccia sociale che richiede interventi per editto per spingerli nella sfera del divieto: è un comportamento profondamente umano
e, anche per questo, molto diffuso e socialmente legittimo.
Diversa è la problematica degli eccessi, la ludopatia, i disturbi da gioco
d’azzardo e le derive patologiche sul piano sanitario, umano e sociale.
Una società che pian piano dovrà uscire dalle costrizioni dell’emergenza,
recuperando le dinamiche di libertà individuale a cui in fondo deve
storicamente il suo sviluppo, non potrà che rilanciare la potenza
dell’autoregolazione responsabile:
– promuovendo comunicazione ed educazione delle persone,
rendendole edotte dei rischi di eccessi prolungati in ogni ambito,
incluso il gioco;
– attivando una rete efficace di servizi sanitari, sociali, comunitari
capaci di fronteggiare le derive patologiche, in termini di
prevenzione e di riabilitazione nei casi conclamati”, sottolinea. “I dati del periodo pandemico sono la certificazione concreta che al ridursi
del gioco legale cresce quello illegale: tutto converge in questa direzione,
inclusi gli esiti delle attività di contrasto delle forze dell’ordine.
Il proibizionismo del gioco legale è un boomerang rispetto all’obiettivo
socialmente prioritario di ridurre il gioco illegale: ecco allora che solo
comprendendo con estrema attenzione le caratteristiche del secondo si riesce
ad elaborare una strategia vincente.
Il concetto chiave, ad alto valore funzionale, è la distinzione sostanziale tra
il gioco legale, regolato e monitorato, e quello illegale, in mano alla
criminalità, opaco e votato all’eccesso, vera e propria minaccia alla salute
pubblica.
Dal punto di vista delle singole persone è evidente che ci sono patologie
legate agli eccessi nel rapporto con il gioco: ludopatia, disturbi del gioco
d’azzardo non sono invenzioni, ma una triste realtà.
L’evoluzione del gioco illegale, in linea con quello della criminalità, che
tende a riflettere a volte in modo velocissimo l’evoluzione sociale, impone di capire i trend più significativi e le implicazioni per le attività di controllo
e contrasto.
Sul piano operativo il dato altamente significativo è che nel periodo
pandemico e delle restrizioni il gioco illegale ha beneficiato del boom del
gioco a distanza. Per certi versi si può dire che il gioco illegale si è preso la
sua quota di giocatori che sono trasmigrati dal fisico all’online, fenomeno
che attesta come la criminalità, al controllo fisico dei luoghi di gioco abbia
affiancato da tempo un uso intenso e diversificato della tecnologia,
attestando la propria azione illegale sulle nuove frontiere del gioco.
In questo senso, le indagini indicano che i protagonisti del gioco illegale
utilizzano vari strumenti tecnologici e sistemi di frode, con server o
piattaforme illegali situate fuori dei confini nazionali, con opzioni che
rendono particolarmente difficili anche tecnicamente gli accertamenti.
Conta anche il grado di compartecipazione consapevole del giocatore,
poiché non pochi sono i casi in cui le persone si rivolgono scientemente a
siti illegali. È un universo pericoloso, sfuggente, in ascesa, non facile da
controllare come del resto è ormai evidente per tutto il digitale.
Alle nuove modalità di gioco illegale, la criminalità continua ad affiancare,
e per certi versi a rilanciare, il tradizionale impegno sul gioco d’azzardo,
con una pluralità di azioni quali il controllo diretto dei totem all’interno
degli esercizi pubblici, costretti spesso con violenza ad accettarne
l’installazione. E poi ci sono le tante tecniche di alterazione degli slot e una
molteplicità di altre tecniche criminali per impossessarsi dei contesti del
gioco.
E del resto ci sono situazioni in cui i giocatori si rivolgono a punti vendita e
sale di gioco e scommesse completamente illegali, oppure si rivolgono a
soggetti o addirittura corner installati in punti gioco legali, gestiti da regolari
concessionari che però integrano le proprie entrate con attività in nero.
È evidente che il sistema di gioco criminale, oltre alle minacce fisiche,
utilizza la sua capacità di ridistribuire risorse per creare consenso o almeno
accettazione passiva della propria presenza nei punti vendita.
In questo senso, le difficoltà economiche in cui si dibattono troppi esercenti,
tanto più per gli effetti del periodo pandemico, sono un pericoloso fattore di
facilitazione dell’attività di penetrazione criminale.
Del resto, già prima di questa fase eccezionale era evidente che gli esercenti
fossero stretti da vincoli economici non facili da affrontare, quali una tassazione particolarmente elevata e/o regole e divieti vari, ad esempio sul
posizionamento dei punti gioco. Una fragilità economica che rende gli
esercenti più vulnerabili alle pressioni criminali”, aggiunge. “Si è già evidenziato come il concessionario sia una figura chiave
dell’ecosistema del gioco legale e, più ancora, della sua capacità di fare
argine a quello illegale. È un aspetto di cui poco si parla e che invece è ben
compreso da una maggioranza di italiani.
Regole e trasparenza sono criteri importanti nel settore, proprio perché
marcano la diversità del gioco legale rispetto a quello illegale.
Il settore, peraltro, è anche un caso di scrupolosa applicazione della
trasparenza negli appalti, sottoposti a regole particolarmente stringenti e
finalizzate a far emergere possibili problematiche degli aspiranti
concessionari.
È chiaro che le regole per la trasparenza sui meccanismi di controllo e di
verifica sono una dimensione decisiva per rendere il gioco legale il contesto
migliore per consentire alle persone di giocare in sicurezza. Il
concessionario implementa le regole dello Stato, le trasforma da parole
scritte in pratiche concrete, mutando il valore sociale potenziale del gioco
legale in risultati materiali molto concreti, che appunto consentono agli
italiani di praticare un gioco sano.
I concessionari sono imprenditori e pertanto, oltre a implementare le regole
statuali sul gioco, devono garantire le finalità d’impresa, nel rispetto delle
logiche delle attività di intrapresa e delle non poche norme sul lavoro.
Un’operazione complessa, che può essere espletata solo da gruppi con una
solidità di base e cultura imprenditoriale adeguata per la duplice funzione
che sono chiamati a svolgere:
– di voce e volto dello Stato in un settore molto complesso;
– di operatore economico che crea occupazione e genera redditività
economica.
In ultima analisi, è anche importante che il concessionario, che è in fondo il
volto dello Stato anche nell’esercizio indiretto, sia interprete delle regole
che, di fatto, bloccano la strada alla criminalità. Anche questa è una
dimensione di valore sociale che è opportuno richiamare e riconoscere”, conclude. cdn/AGIMEG