Prof. Sacchetti (Pres. Soc. Italiana Psichiatria): “Parlare di gioco patologico è di moda. I casi presi in carico dai Serd (13mila) contrastano con l’allarme sociale sul gioco. Il distanziometro non serve”

“La tendenza alle dipendenze fa parte dell’essere umano. Non a caso esistono dipendenze da alcol e droghe, ma anche dipendenze comportamentali. Tutte le forme di dipendenza hanno un’origine multifattoriale, cioè non hanno un unico fattore; certamente pesa la dinamica dei rapporti sociali, ma esistono poi una componente genetica, una componente ambientale, una componente relazionale”. Lo sostiene il professor Emilio Sacchetti, già Presidente della Società Italiana di Psichiatria, Presidente Eletto della Accademia Italiana di Scienze delle Dipendenze Comportamentali, in un’intervista rilasciata ad Alberto Baldazzi sul magazine L’Eurispes.it. Parlando di dipendenze vecchie e nuove, il prof. Sacchetti ha affermato che “la sanità pubblica e i SerD non sono assolutamente efficaci nel contrastare le diverse dipendenze. In particolare, sul disturbo da gioco d’azzardo (DGA), ma sostanzialmente ho forti dubbi che siano efficaci anche per l’alcolismo e per le droghe. Inoltre, mi sento dire che non sempre la qualità di chi va ad operare in questi servizi è adeguata, mentre i SerD, per le complessità che affrontano, necessiterebbero del meglio di ciò che può offrire la sanità pubblica”. In particolare, riguardo al tema della ludopatia, il Prof. Sacchetti sostiene: “Parlare di gioco patologico è di moda. In realtà, i numeri assai bassi dei presi in carico dai Serd (13mila), sembra contrastino con l’allarme sociale che accompagna in molti settori l’area del gioco”. Inoltre aggiunge: “L’idea di spostare una sala giochi in aree più periferiche, non porta a nessun risultato: forse può impedire a me, che gioco una volta l’anno, a giocare, ma non serve affatto ad impedirlo al giocatore patologico che sarebbe disposto a fare anche 200 chilometri, pur di riuscire a giocare. Questo tipo di provvedimento è frutto di una lettura distorta, secondo cui il gioco d’azzardo rappresenterebbe di per sé un male, in barba ai reali problemi cui va incontro il giocatore patologico”. Il Professore ricorda come “il gioco d’azzardo è sempre esistito, ma ai giorni nostri è molto più frequente perché oggi si gioca in molte più forme. Una volta, nell’antichità, a giocare erano i soldati e i nobili, oggi è cambiata l’utenza, tutti possono giocare con le diverse tipologie anche 24 ore al giorno, e molto più spesso; per questo è illusorio pensare di risolvere gli eccessi limitando le ore dell’offerta di alcuni giochi. Questa idea di ‘comprimere’ è generata da comprensibili e rispettabili atteggiamenti culturali, ma non ha reale efficacia. Spesso le persone che hanno delle dipendenze di tipo comportamentale non pensano affatto di essere ammalati. Chi manifesta una patologia, ad esempio, il DGA, ma anche altre dipendenze e, da ultimo, quelle legate a Internet, assai raramente è consapevole del proprio stato. In proposito, per quel che riguarda il DGA si ipotizza una rilevanza sotto il 2% della popolazione. Per uno studio serio, scientifico, sulle dipendenze da gioco servirebbe studiare un bacino di almeno 100.000 casi. Sarebbero necessarie politiche sanitarie pubbliche che ad oggi non ci sono”. L’Eurispes ha studiato diverse aree della dipendenza, in particolar modo l’alcolismo, il tabagismo e l’azzardopatia. Nel panorama della comunicazione, nel dibattito pubblico e anche politico, come affermato recentemente dall’Istituto Superiore di Sanità, si parla però soprattutto, se non esclusivamente, del gioco patologico. Come mai? “Perché è di moda – ha affermato Sacchetti – perché ha più presa e perché apparentemente è più facile da gestire; perché in qualche misura è stigmatizzato ma a livello diverso, ad esempio, del consumo di droga o di alcol. Del gioco d’azzardo, poi, con più facilità si può parlare come se fosse un “vizio”, e non una malattia. Sull’alcol e sulle sostanze si è fatto di più, sull’azzardo e sulle dipendenze comportamentali si è fatto poco e male. Ciò avviene perché spesso gli input e i riferimenti non sono tanto medici, ma di natura genericamente culturale e politica. Ad esempio, l’idea di spostare una sala giochi in aree più periferiche, non porta a nulla; forse serve a non far giocare me, che gioco una volta all’anno, ma non serve affatto al giocatore patologico che sarebbe disposto a fare anche 200 chilometri, pur di riuscire a giocare. Ciò è frutto di una lettura distorta, secondo cui il gioco d’azzardo rappresenterebbe di per sé un male, in barba ai reali problemi cui va incontro il giocatore patologico. In questa maniera si ottiene solo di impedire l’accesso al gioco del cittadino che, a mio giudizio, ha diritto di giocare, magari una volta l’anno. Il proibizionismo in senso lato, le distanze e gli orari fortemente ridotti, infatti, colpiscono tutti. In più ciò avviene in una fase nella quale sempre di più avanzano i volumi del gioco online, e da quello fisico si passa a quello attraverso Internet” o peggio nell’illegale. “Certo, e ciò identifica uno spaccato particolarmente oscuro che spinge il giocatore problematico proprio verso l’illegale. Prendendo in esame l’area dell’azzardopatia, i numeri assai bassi dei presi in carico dai SerD (13mila), sembra contrastino con l’allarme sociale che accompagna in molti settori l’area del gioco. In più, questi provvedimenti, che possiamo definire “usa e getta”, segnalano la povertà culturale di chi li propone. Oltretutto, c’è un aspetto economico che si dimentica o, meglio, si vuole dimenticare: il gioco legale è tassato, anche se questo, certo, non è un valore “in assoluto”; quello su Internet è tassato per percentuali poco significative, quello illegale non è tassato per nulla. Siamo per l’oggi e per il futuro, di fronte a problematiche molto complicate che, in quanto tali, non possono essere affrontate con strumenti senza senso e controproducenti”. Per il Professore “il modo migliore per prevenire le dipendenze, in questo caso quelle da gioco, è informare, informare ed educare. In primo luogo – sembrerebbe banale – bisogna ripetere ai quattro venti che il gioco d’azzardo, e soprattutto quello legato puramente alla “sorte”, per sua natura è legato alla casualità, e quindi scervellarsi ipotizzando sistemi “sicuri” per vincere, rappresenta una regressione dalla logica e una negazione del buon senso. In questo àmbito sollecitare lo spirito critico sarebbe essenziale. Il paradosso è che lo Stato che “si preoccupa” di prevenire le dipendenze da gioco, è lo stesso Stato che consente un’informazione veramente delittuosa che induce ad affidare una parte del proprio destino economico proprio alla sorte. Siamo di fronte ad una bivalenza strutturale che non può produrre nulla di buono”. Infine, in merito alle politiche pubbliche che hanno portato ad una stretta sulla pubblicità del gioco: “È l’unico elemento delle politiche pubbliche che mi sento di condividere”, ha concluso Sacchetti. lp/AGIMEG