Tassa 500 milioni, Tar Lazio respinge due ricorsi: “Questione di legittimità costituzionale non può essere riproposta, contribuzione è proporzionale al numero di apparecchi”

Il Tar Lazio ha in parte respinto ed in parte dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse due ricorsi contro la tassa da 500 milioni introdotta con la Stabilità 2015. “Deve considerarsi che, per poter sollevare una questione di legittimità costituzionale, oltre alla non manifesta infondatezza, occorre altresì la rilevanza della questione stessa – sottolineano i giudici – che si traduce in un interesse concreto al suo accoglimento, con la dichiarazione di incostituzionalità della norma ritenuta violativa di un parametro costituzionale e la conseguente sua non applicazione al caso concreto oggetto del giudizio dinanzi al Giudice a quo. In questo caso la società ricorrente, data la circoscritta applicazione della norma unicamente all’anno 2015, rispetto al quale emerge il dato storico riferito alla data del 31.12.2014, non ha fornito prova del beneficio che tratterrebbe dalla dichiarazione di incostituzionalità della norma de qua, nella parte in cui prevede il criterio oggettivo degli apparecchi disponibili alla suddetta data appunto del 31.12.2014, e non già l’altro del volume di giocate, in via del tutto generica ritenuto più appropriato. Ne discende che, in assenza di rilevanza, la questione di legittimità costituzionale riferita al contrasto appena esaminato non può essere riproposta”. I giudici – riferendosi ai ricorsi di Codere e Admiral Gaming – evidenziano come “non sussiste la lamentata violazione della libertà di iniziativa economica in relazione al fatto che al concessionario (e, a valle, agli altri operatori della filiera) viene imposto il versamento della somma suindicata poiché ancora una volta occorre considerare che l’attività in questione è data in concessione dallo Stato a soggetti privati con la conseguente potere del primo di incidere sui rapporti con questi ultimi. Tenuto conto dell’accertata limitata incidenza del prelievo de quo e dell’accertato rispetto del principio di proporzionalità per le ragioni suesposte, non sussiste, dunque, la dedotta violazione della libertà di iniziativa economica”, posto anche che la misura di cui si discute “è ormai un una tantum”. “Con riguardo, infine, al criterio stabilito per ripartire tra i concessionari – e tra gli altri operatori della filiera facenti capo a ciascuno di questi – la misura di contribuzione rispetto alla quota da versare (500 milioni di euro), si rammenta che il comma 649 dell’art. 1 della legge n. 190/2014 ha stabilito che “ciascuno in quota proporzionale al numero di apparecchi ad essi riferibili alla data del 31.12.2014”.
Al centro della vicenda c’è la tassa dei 500 milioni, che venne introdotta con la Stabilità 2015. Il balzello colpiva tutta la filiera degli apparecchi, ma la norma era stata studiata male: obbligava i concessionari a raccogliere i denari necessari ripartendo il prelievo con gli altri soggetti. In realtà sono i gestori a controllare i flussi di cassa e alcuni si rifiutarono di versare il dovuto. La tassa venne cancellata con la Stabilità dell’anno successivo – il Governo ha puntato su un più sicuro aumento del Preu – e venne introdotta una norma esplicativa per riscuotere il prelievo 2015. I concessionari intanto si erano rivolti al Tar Lazio, e avevano ottenuto il rinvio alla Corte Costituzionale. La Consulta – nella sentenza dello scorso giugno – ha fatto leva proprio sul cambio di disciplina per rispedire le carte al Tar Lazio: “è mutato, di conseguenza, anche il presupposto della non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità”, scriveva la Consulta. In sostanza la Corte Costituzionale aveva chiesto al Tar di valutare se ci sono dubbi di legittimità anche sulla norma interpretativa. lp/AGIMEG