Palermo, Cassazione conferma condanna ad un affiliato di un clan mafioso che gestiva una lotteria abusiva

E’ stato presentato un ricorso in Cassazione l’annullamento della sentenza di custodia cautelare emessa dal Tribunale di Palermo ad un soggetto affiliato ad un clan mafioso, accusato di autorizzare per conto del sodalizio le attività imprenditoriali sul territorio.

I giudici della Corte di Cassazione hanno ricordato che “un collaboratore di giustizia ha dichiarato che dal mese di settembre al mese di giugno dell’anno successivo la famiglia mafiosa organizzava una riffa, per i titolari delle attività commerciali presenti nel quartiere, i quali erano costretti a pagare 10 euro alla settimana per assicurarsi uno dei 90 numeri al lotto. La famiglia mafiosa incassava così 900 euro a settimana pagando poi tre premi da 150 euro ciascuno ai commercianti detentori del primo numero estratto ogni martedì, giovedì e sabato sulla ruota di Palermo, così guadagnando i restanti 450 euro a settimana“.

La Cassazione ha poi rilevato che “la partecipazione del soggetto emerge da una conversazione captata il 4 luglio 2022” e quindi correttamente il Tribunale di Palermo ha ritenuto che “la richiesta di pagamento di un biglietto della riffa, priva di qualsiasi titolo legittimo integra gli estremi della minaccia implicita, anche se formulata in termini di mero invito o consiglio, in quanto finalizzata a incutere nella vittima timore di rischi e pericoli inevitabili”.

Infine, “del tutto aderente all’indirizzo di questa Corte, invero, è la ritenuta gravità indiziaria quanto al delitto contestato, tenuto conto che integra il reato di partecipazione ad un’associazione di tipo mafioso la condotta di colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno status di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi, come attraverso la partecipazione ad attività che foraggiano il gruppo e lo finanziano”.

Per questi motivi la Cassazione ha respinto il ricorso e confermato l’ordinanza emessa dal Tribunale di Palermo. ac/AGIMEG